Quando la Spagna mandava i catalani in prigione
Elnacional.cat – Marc Pons – Barcelona, 29 settembre 2019
26 gennaio 1939. Dopo quasi tre anni di guerra civile, le truppe franchiste occuparono la città di Barcellona. Mentre questo accadeva, centinaia di migliaia di esuli attraversavano il confine franco-spagnolo. La stragrande maggioranza, persone che avevano mantenuto un impegno personale con la Catalogna e con la Repubblica, e che non avevano mai commesso alcun crimine o reato. Eppure, in questo scenario di “auto-depurazione”, sorprende la brutale caccia scatenata dalle autorità del nuovo regime e che rendeva eloquente la frase del generale golpista Emilio Mola: “Dobbiamo seminare il terrore…. dobbiamo dare la sensazione di dominio eliminando senza scrupoli o esitazioni tutti coloro che non la pensano come noi”. Secondo la ricerca storiografica, dall’inizio dell’occupazione franchista della Catalogna (1938), e durante i primi due anni di repressione franchista (1939-1940), il regime mandò in carcere diverse migliaia di catalani.
Orgaz: “La giustizia della nuova Spagna, autenticamente spagnola”
Il macabro apparato di repressione del regime franchista in Catalogna, durante i primi mesi di occupazione, era guidato da tre sinistri personaggi: il generale Eliseo Álvarez-Arenas y Romero e il suo successore, generale anche lui, Luis Orgaz Yoldi (che, in modo illuminante, si facevano chiamare “generale capo dei Servizi di Occupazione”), insieme all’ispettore carcerario Isidro Castillón López (direttore del Carcere Model di Barcellona e massima autorità penitenziaria in Catalogna). Il loro piano di esecuzione era riassunto nelle loro dichiarazioni pubbliche. Orgaz aveva proclamato: “A quelli che soffrono le ore di reclusione (…) elevate il vostro spirito pensando che la giustizia della nuova Spagna (…) autenticamente cristiana e autenticamente spagnola (…) che corregge gli errori (…) sotto la sapiente direzione del Caudillo ci permette di proclamare con orgoglio la nostra condizione di spagnoli”.
Ungría, le squadre falangiste e i delatori
Subordinato ad Álvarez-Arenas e, posteriormente, a Orgaz appare il poliziotto José Ungría Jiménez, direttore del SIPM, il servizio di spionaggio della fazione franchista creato in piena guerra civile (novembre 1937). Ungría ebbe un ruolo importante durante i primi mesi dell’occupazione franchista di Barcellona (da gennaio a settembre del 1939): fu l’artefice di una sordida rete di informatori (custodi di proprietà private, tassisti, portinai, vigilanti notturni e netturbini) che presentavano rapporto presso la Jefatura Provincial de Falange – (quartier generale falangista), sita nel P. de Gracia. Dal covo falangista si attivava la caccia e l’accusato -senza alcuna indagine preliminare– veniva arrestato, maltrattato e imprigionato per presunti crimini di sequestro di persona, rapina, omicidio o torture, presumibilmente commessi durante la guerra. E’ interessante notare che le vittime o i parenti delle vittime dei crimini imputati non si facevano mai vivi nemmeno per un giro di ricognizione.
“Ti ho ucciso perché sei mia!”
I falangisti furono gli esecutori dell’apparato repressivo durante i primi tre mesi di occupazione (da gennaio fino ad aprile 1939), e trasformarono la Catalogna in un cupo scenario dominato dal terrore. La proclamazione di uno dei suoi leader, il presunto intellettuale Ernesto Giménez Caballero (meglio conosciuto come Gecé) rivela e spiega quella sete di vendetta. Il 26 gennaio 1939, facendo parte delle truppe franchiste che occuparono la capitale catalana, clamava “il giovane trovatore, fatto di ferro e sangue (…) entrò con la Spagna a Barcellona, per sollevarla da terra e gridare Mia! Nostra! Sei di nuovo della Spagna!”. E poco dopo, in modo chiarificatore, aggiungeva: “una Catalogna sprezzante verso la Spagna e una Spagna che moriva di angoscia per il suo amore offrendole un corredo di comprensione e di matrimonio. Ma la Catalogna non volle matrimonio ma divorzio. Ha preferito andare via dalla Spagna con i russi, i francesi e i traditori. Ti ho ucciso perché sei mia!”
González Oliveros, Bravo Montero e la polizia franchista
In quel contesto, appare un altro personaggio rilevante dell’apparato repressivo franchista: il 12 marzo del 1939, il governatore civile Wenceslao González Oliveros (che, nel 1938, aveva scritto un rapporto legale che giustificava la distruzione delle istituzioni catalane), firmava il decreto per l’incorporazione dei cosiddetti “agenti investigativi” falangisti nel Corpo di Investigazione e Vigilanza (dal 1941 Corpo Generale di Polizia, attualmente CNP). Le squadre falangiste, di origine straniera e guidate dal capitano della Guardia Civile Manuel Bravo Montero (amico personale del generale Franco) divennero l’elemento originario e maggioritario della polizia franchista in Catalogna. Questi dettagli sono molto importanti perché rivelano due fatti fondamentali: l’assoluta libertà di manovra delle cellule repressive durante quella prima fase e le radici socio-ideologiche della polizia franchista in Catalogna.
Villamide e il tribunale di confisca
Pochi mesi dopo arrivò la terza fase della repressione: il 1° agosto 1939 il regime franchista ordinava la creazione del Tribunale delle Responsabilità Politiche della Catalogna, ubicato nel P. de Gracia e diretto dal colonnello Jorge A. Villamide Salinero. L’esistenza e le pratiche di quell’oscuro organismo (che era qualsiasi cosa fuorché un tribunale), rivelano che la sordida rete di informatori che mandavano rapporto ai falangisti era stata preservata ed era rimasta attiva, ora al servizio del TRP. A Villamide fu assegnata la missione di confiscare i beni (case, ville, tenute, denaro, mobili) di tutte le persone (esiliati, carcerati, perseguitati, morti o scomparsi) che avevano mantenuto un impegno con la Catalogna e la Repubblica. Saranno istruite migliaia di presunte cause che, sempre, finivano con la condanna alla confisca. Tra gli altri, i beni delle famiglie Macià e Companys (i due Presidenti della Generalitat catalana negli anni precedenti). Perseguiti, esiliati, imprigionati, fucilati e confiscati.
Le prigioni di Castillón: “un carcerato è la diecimilionesima parte di una merda”
Le prigioni franchiste della Catalogna erano autentiche punizioni medievali. Sovraffollamento, malnutrizione, maltrattamenti, malattie e torture erano gli elementi protagonisti nelle istituzioni penitenziarie di Isidro Castillón, che proclamava “Un carcerato –catalano e repubblicano, naturalmente– è la diecimilionesima parte di una merda”. Il carcere Model di Barcellona, ad esempio, che aveva una capacità massima di 1.000 detenuti, arrivò a ospitare 13.000 prigionieri politici. E la Casa de Pilats di Tarragona, che era un’antica fortezza romana con capacità per 200 detenuti, ospitò più di 2.000 prigionieri politici. La tubercolosi, la dissenteria, la polmonite e la difterite furono elementi fondamentali di quelle prigioni e causarono una significativa mortalità. Si stima che, nelle carceri del regime franchista in Catalogna, il tasso di mortalità si aggirava intorno al 20% della popolazione carceraria totale.
Reparaz, immagine piuttosto che giustizia
La “ufficializzazione” degli “agenti investigativi” falangisti non portò nessun cambiamento o alleggerimento della repressione franchista. Tant’è che arrivarono a protestare, perfino alcuni elementi delle classi più conservatrici e reazionarie di Barcellona. A quel punto emerse un’altra figura rilevante dell’apparato repressivo franchista di Barcellona: il commissario Luis de Reparaz, uno dei pochi che non proveniva dalle squadre falangiste. L’anno 1942, Reparaz –in un quadro di lotte interne tra “famiglie” del regime– denunciò pubblicamente che durante il triennio 1939-1942, a Barcellona la polizia spagnola aveva dato corso a migliaia di denunce basate su prove “fabbricate”, che erano costate reclusione e condanne per gli accusati. Tuttavia, e secondo le sue dichiarazioni, Reparaz non era mosso da un senso di giustizia, ma si rammaricava principalmente perché quelle pratiche avevano danneggiato l’immagine della Spagna all’estero.
* traduzione Àngels Fita – AncItalia