Il Trattato dei Pirenei: Una frontiera naturale o una grande menzogna?
Elnacional.cat – Marc Pons– Barcelona. 3-7 Gennaio 2021
Siamo a Donibane Lohitzune (oggi Paese basco francese), 31 maggio 1660. 360 anni fa. I rappresentanti diplomatici delle monarchie spagnola e francese firmavano il Trattato definitivo del nuovo confine. Mesi prima, nell’isola dei Fagiani (07/11/1659) – un isolotto fluviale che sorge sul fiume Bidasoa, che oggi segna il confine naturale tra Francia e Spagna–, gli ispanici avevano ceduto ai francesi i domini catalani del Roussillon, del Conflent e del Vallespir. E in quest’ultimo round di trattative cedono l’Alta Cerdanya, dal Vilar d’Ovança (l’attuale Montlluis) fino alla Guingueta d’Ix (chiamata in francese Bourg-Madame). Vale a dire, la testa del fiume Segre; chiaramente situato nel versante sud dei Pirenei. Gli accordi di Donibane Lohitzune hanno smascherato il falso argomento della cosiddetta frontiera naturale; difesa, paradossalmente, dalle due legazioni diplomatiche; e rivelano il timore ispanico che la Catalogna possa seguire le orme dei Paesi Bassi e del Portogallo.
Il Trattato dei Pirenei fu il culmine di un lungo processo politico e militare iniziato con la Guerra dei Trent’anni (1618-1648); un conflitto deliberatamente creato (come tutti i conflitti) con l’obiettivo di risolvere la leadership continentale. Superato il secolo del 1500, la monarchia spagnola (“l’impero dove non tramonta mai il sole”) era entrata in una fase di crisi dalla quale non sarebbe più uscita. Le spedizioni di metalli americani (i nervo dell’economia ispanica) erano diminuite drasticamente: l’esaurimento delle mine e gli attacchi dei corsari inglesi e francesi mettevano in luce la debolezza di quel gigante dai piedi di fango. Ma, soprattutto, avevano contribuito a svelare il mostruoso fenomeno della corruzione che infangava tutte le sfere del potere nella corte di Madrid. Una formidabile crisi economica che aveva fatto precipitare una gigantesca crisi politica.
In quel contesto, la monarchia francese tracciava una traiettoria radicalmente opposta al declino ispanico. Dopo le cosiddette Guerre di Religione (1562-1598) che avevano massacrato il paese, il gallo francese riappariva sui campi di battaglia europei con la cresta sorprendentemente recuperata. Svaniti i grandi fardelli che avevano impoverito e dissanguato il paese durante il secolo del 1500. Gli inglesi si erano già ritirati dalla Guascogna; e le lotte interne tra i diversi rami reali per rilevare il decrepito lignaggio Valois (opportunamente travestite da conflitto religioso), si erano anche risolte più o meno con soddisfazione di tutti. Nel 1589, Enrico di Borbone, il più sanguinario a sud della Senna, proclamava che Parigi val bene una messa (“Paris bien vaut une messe”), e posava il sedere sul trono di Parigi inaugurando un periodo di relativa pace e stabilità interna.
Per comprendere il perché del Trattato dei Pirenei, basta osservare l’evoluzione spagnola e francese nella prima metà del XVI secolo: nel 1656, quando erano iniziati i colloqui che avrebbero portato al Trattato dei Pirenei, la stafetta era già compiuta. La pace di Westfalia (1648), che pose fine alla Guerra dei Trent’anni (1618-1648) —la prima grande guerra mondiale dell’era moderna — disegnò un nuovo scenario dominato dalle potenze atlantiche: Francia, Paesi Bassi, Inghilterra e Svezia. Il declino della stella ispanica sarebbe confermato con l’esito finale del particolare confronto tra Madrid e Parigi (1635-1659), con lo sfondo della rivoluzione catalana (1640-1652). Il Trattato dei Pirenei fu la sconfitta diplomatica spagnola che seguì la sconfitta militare dei “Tercios”* sui campi di battaglia.
* tercios – organizzazione militare costituita da una parte di picchieri e una parte di moschettieri armati di archibugi.
Questo è molto importante, in quanto smaschera il falso mito ampiamente diffuso da una certa pseudo-storiografia spagnola che afferma che la “perdita” del Roussillon e la Cerdanya fu a causa del “tradimento catalano”. A questo punto, è chiaro che il presidente Pau Claris non ha mai compromesso le contee della Catalogna settentrionale in cambio dell’aiuto militare francese nella Rivoluzione dei Mietittori (1640) – Guerra del Segadors. Luigi XIII, proclamato conte di Barcellona dalle istituzioni catalane (27/01/1641) e il suo erede Luigi XIV, agivano come principi eletti – totalmente al margine della loro condizione di re di Francia; e questo significa che non incorporavano la Catalogna in Francia, né alienavano una parte del loro territorio a beneficio della monarchia francese. Tra il 1640 e il 1652, la Catalogna era uno stato indipendente che condivideva la figura del monarca con la Francia e la Navarra.
Detto questo, è anche molto importante ricordare che nei negoziati di pace che sarebbero culminati nel Trattato dei Pirenei, i rappresentanti francesi non avevano alcun interesse per le contee catalane settentrionali. Durante l’ultima fase del conflitto ispano-francese (dal 1650), le truppe ispaniche avevano rioccupato militarmente il Principato. Ma la cancelleria di Versailles era molto chiara sul fatto che ciò che valeva la pena era che Luigi XIV conservasse, almeno nominalmente, il suo status di conte di Barcellona. Pertanto, il cardinale Mazzarino, ministro plenipotenziario di Luigi XIV, diede priorità alle richieste francesi nei confronti della Franca Contea ispanica e dei Paesi Bassi ispanici. La squadra negoziale francese cospirò per ottenere il controllo dell’attuale Belgio e Borgogna (il “corridoio ispanico” che circondava e minacciava la Francia). La Catalogna poteva aspettare.
Che fine hanno fatto le ambizioni francesi? I fatti ci mostrano che in quel panorama negoziale, né la monarchia spagnola era crollata definitivamente, né la monarchia francese aveva quello slancio che intendeva. Mazzarino, paziente e pratico, rinunciò alla vittoria totale in cambio della somma di piccoli guadagni che aveva programmato di ottenere nel tempo. Per non sperperare la vittoria militare in un tavolo di trattative senza fine, accettò l’offerta ispanica: le vecchie contee di Roussillon, Conflent e Vallespir; e alcune piazze nel sud dei Paesi Bassi. Era il 7 novembre 1659, e quella “concessione” ispanica fu suggellata con l’accordo matrimoniale tra Luigi XIV e Maria Teresa di Spagna, figlia del re spagnolo Filippo IV; che, quattro decenni dopo, avrebbe aperto ai Borboni (1701) le porte dell’Alcázar di Madrid.
La squadra negoziale spagnola, invece, era tutt’altro: fonti documentarie rivelano che si trattava di un incontro di personaggi obsoleti e grotteschi, guidati da Luis de Haro (nipote dell’allora epurato conte-duca di Olivares), che venivano sempre trainati dagli uomini di Mazzarino. Non solo non avevano idea di dove fossero i Pirenei ma, erano mossi solo dall’ideologia punitiva contro la Catalogna, che aveva prevalso alla corte di Madrid fin dalla Rivoluzione dei Mietitori del 1640. E mentre i leader della Catalogna durante la fase “francese” ebbero un ruolo molto importante nel tavolo delle trattative (questo è il caso di Ramon Trobat o di Pere de Marca), Luis de Haro, per un’ovvia e manifesta questione di sfiducia, non contava per nulla sui pochi catalani fedeli al re ispanico Felipe IV.
Nel 1660, Mazzarino, seguendo la strategia di aggiungere piccole vittorie poco alla volta, riuscì a riaprire le trattative e chiese il trasferimento dell’intera Cerdanya e dell’Urgellet (l’alta valle del Segre, da Pont de Bar fino a Pla de Sant Tirs, compreso La Seu d’Urgell). Il pretesto di localizzare il confine sui crinali dei Pirenei (e restaurare il “limes” romano che più di mille anni prima aveva separato la Gallia dalla Hispania) fu lasciato nel cassetto delle sciocchezze e i negoziatori francesi dissero che la Catalogna, nella sua totalità, era di fabbrica carolingia. Quella strategia non ripristinò i pesi del 1640 ma, in compenso, Mazzarino riuscì a spostare la “linea” da Montlluís alla Guingueta: incorporò l’Alta Cerdanya, cioè le sorgenti del fiume Segre, che è chiaramente a sud dei Pirenei, nei domini del gallo francese;
Il penoso ruolo dei dirigenti catalani dell’epoca è l’anello della catena debole e definitivo che spiega l’amputazione delle contee catalane settentrionali. Dopo la rioccupazione militare ispanica del 1652, Filippo IV non soppresse l’autogoverno catalano, ma mise le istituzioni del paese sotto il controllo della cancelleria di Madrid. “Depurò” i Tre Comuni (l’equivalente del Parlamento) e gli oppositori del regime ispanico furono sostituiti “manu militari” da un’orribile fila di leccapiedi: un commissariamento nello stile dell’art. 155 che stiamo subendo ora, ma con musica barocca e che portò al potere tutti i collaborazionisti. L’amputazione delle contee catalane settentrionali era totalmente illegale; ma, d’altra parte, nel Diario della Generalitat ci sono solo poche note che riferiscono di timide proteste. Il Trattato dei Pirenei fu il prezzo del castigo che il re spagnolo Filippo IV inflisse alla Catalogna per la Rivoluzione del 1640.
* traduzione Àngels Fita – AncItalia
https://www.elnacional.cat/ca/cultura/tractat-pirineus-frontera-natural-mentida_570372_102.html