Il miracolo catalano dopo la sconfitta del 1714
Non fu opera del regime borbonico, ma piuttosto la somma di una tradizione imprenditoriale e della voglia di superarsi.
ElNacional.cat Marc Pons
Barcellona Domenica 27 novembre 2022. 05:30
Madrid, 9 dicembre 1715. Quindici mesi dopo l’occupazione borbonica della Catalogna e la conclusione della Guerra dei Catalani (seconda e ultima fase della Guerra di Successione Ispanica nella Penisola). Il Consejo de Castilla, l’equivalente dell’attuale Consiglio dei ministri, emise un decreto per un nuovo regime fiscale per la Catalogna: il “Real Catastro”, una tassa di guerra che resterà in vigore per mezzo secolo e che, successivamente, sarà rinnovata e trasformata fino a diventare un bottino permanente ed eterno. E, nonostante ciò, dal 1750 la Catalogna inizierà uno spettacolare decollo economico e demografico, senza pari in nessun altro paese dell’Europa meridionale, che gli storici hanno chiamato “il miracolo catalano”. Come è possibile che un paese senza risorse naturali e con un regime contro, sia riuscito a collocarsi pronto sul punto di partenza della Rivoluzione Industriale?
Il falso mito dell’illuminismo borbonico
Una parte della storiografia spagnola, la più incline alla costruzione e alla diffusione di un racconto nazionalista, insistette fino al parossismo che l’esplosione economica e demografica catalana della seconda metà del secolo XVIII furono conseguenza delle politiche illuministiche di re Carlo III. Su questo punto si vuole vedere il Decreto di libero scambio con l’America (1778) come l’inizio di quel fenomeno. Ma è semplicemente un falso mito. Il “miracolo catalano” affonda le sue radici negli ultimi decenni del secolo precedente. Le fonti documentarie, ampiamente studiate e divulgate dallo storico Pierre Vilar, rivelano che dal 1680 la Catalogna era una potenza manifatturiera ed esportatrice di tessuti, armi, navi e alcool distillato. E contemporaneamente, il cronista Feliu de la Penya divulgava l’idea che la Catalogna avesse sviluppato un proprio spazio economico.
Il boom catalano e la rivoluzione austriaca
La crescita economica catalana alla fine del XVII secolo verso un modello mercantile pone il paese alle soglie della Rivoluzione Industriale e spiega il posizionamento politico della Catalogna nella guerra di successione spagnola (1705-1714/15). Alla vigilia del Patto di Genova e dello sbarco di Carlo d’Asburgo in Catalogna (1705), i ceti mercantili europei, catalani compresi, si opponevano ai regimi assolutisti (come quello borbonico) che si erano costruiti su dei principi che non distinguevano tra autoritarismo e arbitrarietà, e ciò danneggiava in modo significativo gli affari. Il decreto borbonico che vietava il commercio con l’Inghilterra e l’Olanda (1701), due potenze dell’alleanza internazionale austriaca e principali partner commerciali della Catalogna, sarebbe un buon esempio di queste arbitrarietà, capaci di distruggere l’economia di un paese.
Il regime borbonico e la rovina della Catalogna
E dicevamo che danneggiava l’economia del paese, perché la Catalogna, prima dello scoppio della guerra di successione spagnola sui campi di battaglia continentali (1701), aveva già sviluppato una “agricoltura industriale”. Già negli ultimi decenni del Seicento le contee catalane costiere e pre-costiere avevano iniziato a sostituire la tradizionale coltivazione dei cereali con “colture industriali”: la vite, destinata alla produzione di alcool distillato; e canapa e lino, destinati alla produzione tessile. Un provvedimento, dunque, drastico e del tutto inatteso (o forse no!), come il divieto borbonico di commerciare con le potenze atlantiche; condannava l’economia e la società dell’intero paese. Il tentativo di confisca ed espulsione di Arnold Jager, commerciante olandese naturalizzato catalano, presentato dal regime come un caso di monito pubblico, farà il resto (1702-1704).
La nuova generazione di commercianti del dopoguerra
Dopo la guerra e l’occupazione borbonica, la Catalogna era stata, per così dire, “bruciata”. Gli eserciti di occupazione franco-castigliani di Felipe V avevano schiacciato l’apparato produttivo catalano. E il buono e il meglio della società catalana – la classe imprenditoriale che aveva posto il Paese alle soglie della Rivoluzione Industriale – era scomparso: morto sui campi di battaglia, consumato nelle segrete borboniche, o espropriato e in esilio. Inoltre, la Catalogna fu sottoposta, per decenni, a brutali tassazioni di guerra che avevano lo scopo di amputare la forza economica del paese (nervo della rivoluzione austriaca). Il professor Josep Maria Torres i Ribé (UB), nei suoi vari lavori di ricerca, conferma che la nuova generazione di mercanti catalani sorta a metà e alla fine del XVIII secolo non aveva alcuna parentela con i lignaggi mercantili precedenti al 1714.
La ripresa dei mercati perduti
Ma, sorprendentemente, la società catalana fu in grado di sfidare il destino e avviare uno spettacolare decollo economico e demografico; che, per la sua straordinaria eccezionalità, è stato oggetto di dibattito nella ricerca storiografica. Lo storico Pierre Vilar indica le prime cause che spiegano questo “miracolo”. Vilar ci racconta che, a partire dal 1750, la produzione vinicola e tessile si riprese gradualmente. L’economia catalana tornò, molto lentamente, sui mercati perduti dopo il 1714 (Inghilterra, Paesi Bassi); e persino conquistò nuove piazze fino ad allora sconosciute (America coloniale ispanica). Questo spirito di intraprendenza – di recupero dei mercati perduti e di conquista di nuovi – stimolerà un processo di trasformazione costante che cambierà, per sempre, il volto del Paese.
Una società di imprenditori
Vilar mappa il percorso di quel viaggio; ma la risposta alla domanda iniziale ce la dà il professor Antoni Simón i Tarrés (UAB), il quale conferma che la Catalogna non disponeva di notevoli fonti di energia (carbone, ferro); né poteva destinare vaste aree alla “cultura industriale” (cotone, viti). Ma, d’altra parte, l’abilità degli uomini d’affari catalani (che avevano pazientemente riaperto i vecchi mercati e che si erano prudentemente posizionati in mercati nuovi e sconosciuti) avrebbe generato una domanda di prodotti che l’economia e la società catalane avrebbero assunto come stimolo, quasi per sfida. Naturalmente questo percorso fu possibile perché il Paese si sarebbe progressivamente dotato di capitale umano (la demografia era in ripresa) e capitale sociale (dalle prime imprese del dopoguerra).
La tradizione negoziale e contrattuale
Tuttavia, la Catalogna non era l’unico paese produttore di viti della penisola iberica. E, quindi, il “miracolo catalano” avrebbe potuto essere anche il “miracolo castigliano”. Ma, secondo il professor Simón i Tarrés, ciò che finirebbe per spiegare l’eccezionalità del “miracolo catalano” sarebbe l’esistenza di un’antica cultura politica della negoziazione e una tradizione giuridica del contrattualismo – sorta durante il Medioevo e che nel corso dei secoli avrebbe trasceso su tutti i settori della società e dell’economia—; e che nei paesi della Corona castigliana era totalmente assente. Nella Catalogna della sconfitta del 1714, le corporazioni (fulcro della rivoluzione austriaca del 1705 e custodi e trasmettitrici di questa cultura negoziale e contrattualista) saranno duramente perseguite dal regime borbonico.
Domanda: il “miracolo catalano”… opera dell’Illuminismo borbonico?!
Opera di un regime e di uno Stato contro?!
* traduzione AncItalia
https://www.elnacional.cat/ca/cultura/miracle-catala-desfeta-1714_924405_102.html