Dove e quando è sorta la lingua catalana?

Dove e quando è sorta la lingua catalana?

 

La lingua catalana emerse contemporaneamente alla prima formazione politica della nazione catalana

 

foto: il rotolo di Poblet

ElNacional.cat        Marc Pons

Barcellona – 26 giugno 2022

 

 

Aquisgrana (capitale dell’Impero carolingio), anno 812.   1.210 anni fa.   La cancelleria dell’imperatore Carlo Magno dettò l’obbligo di officiare la liturgia nella lingua volgare di ogni territorio: “In rusticam romanam linguam” (nella lingua latina volgare o popolare). Tale provvedimento rappresenterebbe la prima prova documentaria dell’esistenza di lingue volgari derivanti dalle diverse evoluzioni locali del latino. Poco dopo (813), il Concilio di Magonza, di Reims e di Tours (813) confermeranno tale disposizione. I professori Modest Prats e Josep Maria Nadal, nella Història de la llengua catalana (Edicions 62), affermano che “il popolo non capiva più il latino ecclesiastico”. E insistono sul fatto che “perché i “vulgus” (le classi popolari) capissero la predicazione, era necessaria un’altra lingua, quella che poi abbiamo chiamato catalano”.

Mappa del Conventus Tarraconense / Fonte: Università di Berlino

 

Il dialetto latino del Tarraconense

Il latino non fu mai una lingua uniforme in tutti i domini della Lupa Capitolina. Il professor Manuel Sanchis Guarner, spiegando l’origine dei dialetti del catalano, ha insistito sull’importanza del fenomeno del substrato, che significava l’influenza delle lingue indigene preromane (nel nostro caso, iberiche settentrionali) nella formazione di un latino genuinamente locale (genuino come quello di qualsiasi altra area dell’Impero) che si parlava tra il II e il V secolo d.C. sulla fascia costiera tra il Corberes (nel nord) e l’Albufera de Valencia (a sud) e tra la costa mediterranea (ad est) e la confluenza dei fiumi Segre ed Ebre (ad ovest). Insomma, il sito storico delle nazioni iberiche settentrionali che, ad eccezione dei Pirenei settentrionali, lo stato romano inquadrava entro dei limiti precisi: il Conventus Tarraconensis.

 

Il primo stadio

Tutti gli storici concordano sul fatto che l’invasione araba (711-723) comportò una rottura del filo della storia nella penisola iberica. All’estremità nord-occidentale della penisola (soprattutto a nord dell’Ebre), si produsse un importante esodo verso il regno dei Franchi e gran parte dell’attuale territorio della Catalogna diventò praticamente disabitato. Tarragona, la grande città della zona, perse tutti i suoi 15.000 abitanti. Barcellona, ​​Girona ed Empúries passarono da 5.000 abitanti a meno di 1.000. E i grandi poderi, eredi delle villae romane, disseminati nelle grandi pianure del paese furono abbandonati. Al momento non abbiamo ancora dati numerici per l’intero territorio, ma, di sicuro, quell’esilio fu un fenomeno di proporzioni colossali.

 

Il secondo stadio

Perlomeno, tra il 714 (partenza dei primi contingenti di esiliati) e il 759 (recupero di Narbonne), gli hispanii e i francii (come vengono chiamati nelle fonti contemporanee) si mescolarono e crearono una propria comunità culturale singolare nelle aree interne non occupate della Settimania e della Provenza. Naturalmente, la lingua popolare di questa nuova società non era più la stessa che si parlava, solo pochi decenni prima, nel Conventus Tarraconense, ma era sostanzialmente diversa dai latini volgari della Garonna e delle valli dell’Ebre. E, manco a dirlo, dei latini volgari che, a quel tempo, esistevano ancora (e che sarebbero scomparsi nel corso dell’VIII e IX secolo) nell’oriente peninsulare o nelle valli del Tago e del Guadalquivir.

 

Situazione della “marca” (frontiera) Gothia nel regno di Francia (IX secolo)

 

Il terzo stadio

L’impresa della conquista carolingia, che si concretizzò con la restaurazione di Avignone (737), Nimes (752), Narbonne ed Elna (759), Girona, Llívia con Urgell (785) e Barcellona (801), promuoverà un formidabile movimento di ritorno verso la “terra dei nonni”. I professori Ramon d’Abadal e Josep Maria Salrach spiegano che la cancelleria carolingia faciliterà il ritorno con formule occupazionali molto favorevoli ai discendenti dell’esilio. E, durante quella breve ma decisiva tappa (759-801), avverrà un secondo incrocio: i coloni discendenti dalla diaspora, che accompagnavano le truppe e l’amministrazione carolingia, con gli indigeni che non erano andati in esilio. Il risultato, in campo linguistico, sarebbe l’emergere di un dialetto locale, proprio e genuino, leggermente diverso da quello che si parlava nel resto della marca Gòtia (a nord di Narbonne).

 

Perché Narbonne ha fissato il limite?

I Pirenei non sono mai stati un confine naturale. Le prime società organizzate ad occupare il territorio (le nazioni iberiche settentrionali) vivevano, lavoravano e commerciavano già da entrambi i lati dei Pirenei. I sordoni del Roussillon avevano un rapporto umano, economico e culturale più stretto con gli indiketi dell’Empordà o con i ceretani di Cerdanya e Urgell che con i volchi della valle dell’Aude. I Pirenei sono sempre stati uno spazio comune per lo sfruttamento delle risorse e per gli scambi commerciali e culturali. Tra Salses e Narbonne, invece, l’area desertica di Les Corberes, formata da lande improduttive e zone umide e malsane, sono sempre state un confine. Tanto che, nel corso del IX e X secolo, avrebbe separato due mondi che avrebbero avuto una propria e differenziata evoluzione culturale: al nord, la Linguadoc e al sud, la Catalogna.

 

Carta del segno carolingio di Gòtia durante la fase dell’emersione del catalano / Fonte: Enciclopèdia

 

 

La Marca Gòtia: un territorio, due lingue

I professori Nadal e Prats rilevano la persistenza di una corrente accademica molto minoritaria che ancora sostiene che il catalano non sia altro che una variante dialettale del provenzale sorta a nord della marca Gòtia (VIII e IX secolo). E lo supportano con l’argomento che il provenzale e i suoi dialetti erano il latino volgare del marchio carolingio Gòtia (VIII-X secolo), che si estendeva dal delta del Rodano al delta del Llobregat. Non calcolano però che il ritorno dall’esilio causò un secondo incrocio con l’elemento autoctono delle alte valli del Tet, Ter, Fluvià e Segre (che non era stato né sottomesso dagli arabi, né si era aggiunto all’esodo). Nel luogo in cui avvenne questo contatto, formato dalle contee carolingie di Rosselló, Empordà, Cerdanya e Urgell, avvenne una propria evoluzione che avrebbe sfociato di lì a poco nel proto-catalano.

 

La prima consapevolezza della propria lingua

La predicazione della liturgia in lingua volgare rivoluzionò la società della metà meridionale della marca Gotia. Soprattutto quella che, all’ombra dell’impresa carolingia, si sviluppò a cavallo dei Pirenei. Il latino volgare della zona, sorto durante la fase della costruzione politica carolingia della nazione catalana ed elevato a lingua di comunicazione e divulgazione dalla Cancelleria di Carlo Magno, non entrò mai in conflitto con la politica imperiale. Il professor Flocel Sabaté afferma che, a quel tempo, le cancellerie carolingie associavano la diversità culturale e linguistica dei loro domini alla pienezza del potere imperiale. E quel proto-catalano che già compare in alcuni documenti ufficiali (Capbrevacions de la Seu, 839) diventerà il principale elemento identitario di una comunità che si forma politica e culturalmente in modo simultaneo.

 

* traduzione  AncItalia

https://www.elnacional.cat/ca/opinio/marc-pons-sorgir-llengua-catalana_778491_102.html

 

 

 

Torna in alto