Devono pagare per quello che hanno fatto
- Il governo tace, non aggiorna la cifra dei morti, questa sinistra incertezza. Senza rendertene conto, fai delle addizioni con le storie concrete e, allo stesso tempo, non vuoi che le persone si riducano a una cifra in aumento e senza volto
06.11.2024 – Núria Cadenes – VilaWeb.cat
C’era una donna anziana, a Massanassa. Conosco suo fratello, un uomo rispettato, barba bianca, sempre con il sigaro, e di poche parole. Adesso ha ottantasette anni. Non lo vedo da un po’. Ci dicono che non vive più a Massanassa, ma che sua sorella era rimasta lì. Nella casa della madre, in un piano terra. Con una badante che si prendeva cura di lei e con la cugina che viveva al piano di sopra. Era su una sedia a rotelle. Il giorno dell’alluvione erano in casa. Nessuno aveva avvertito. L’acqua è arrivata fortissima. Non hanno avuto tempo di agire. La cugina scese come poté, trovò la badante che cercava di tirare fuori la nonna da quel vortice, che diventava sempre più alto, virulento. L’avevano presa insieme ma non ce la facevano. Non ce la facevano. Ed è stata lei a dire loro: lasciatemi, salite, salvatevi.
Salvatevi.
Non sono riusciti a rimuovere il corpo fino al giorno successivo.
Adesso, scrivo non per affliggervi con la mia pena, ma perché ne ho bisogno. Perché me ne hanno parlato ieri, perché saperlo fa tanto male e perché non riesco a togliermelo dalla testa. Non voglio farlo.
Ma ho bisogno di condividerlo.
Mi dispiace.
Perché l’informazione arriva così, tramite la telefonata di un amico o il messaggio della libraia Eva Gisbert: “Ieri [4 novembre] in un parcheggio comunale, a due strade da casa mia, ne hanno tirato fuori tre e ce n’erano anche nel parcheggio del comune”.
Tutto così vicino. Così specifico. Il governo valenciano tace, non aggiorna la cifra dei morti, questa sinistra incertezza. Senza volere, ti ritrovi a fare i calcoli con le storie concrete che arrivano. Stai sommando e, allo stesso tempo, non vuoi che le persone si riducano a quello, a un numero che cresce e non ha volto.
Giovedì scorso, da Catarroja, il giornalista Ramon Ramon, che è così serio e che scrive così bene, dopo due giorni passati a spalare fango, ha scritto, tremando, il suo articolo. Pilar Almeria, attrice così integerrima, ha finalmente potuto aprire il seminterrato di Picanya dove si conserva il materiale della Compagnia Teatrale Micalet, documentando il disastro ha scritto: “I miei pensieri non si danno pace. Ho la mente sporca, il cuore indignato. Non riesco nemmeno a immaginare il dolore di chi ha perso i propri cari”.
È questo. Con tante voci.
In questo momento, dopo una lunga settimana dopo l’alluvione, la sensazione di abbandono continua ad essere così enorme che le parole si scompigliano, si ribaltano le une sulle altre come le automobili spinte dalla corrente. Non so come riuscirò a spiegarlo, e suppongo che non sia spiegabile; penso che, forse, per capire la disperazione di tanta gente, la disperazione così disperata, basti guardare (l’ambiente, i gesti, la bocca contorta dal dolore), basti ascoltare (le parole, la voce, il suono viscido del fango sotto i piedi) la giornalista Mariló Gradolí in un video registrato nella sua strada, in Catarroja, sei giorni dopo la catastrofe. Dice molte cose in un minuto e mezzo. Moltissime. E chiedi aiuto. Sei giorni dopo, chiede aiuto. Sei giorni dopo, ancora.
“Vi prego, sappiate che abbiamo bisogno di aiuto qui.”
Questa è la prima cosa: aiuto. Quello di cui hanno bisogno le vittime e quello che il malgoverno del PP non ha saputo incanalare (peggio ancora: quello che ha ostacolato consapevolmente, quello che ha ritardato nei momenti vitali, quello che ha sprecato, quello che ha, addirittura, tentato di proibire).
Adesso penso alle migliaia di volontari (soprattutto giovani, diciamolo ad alta voce) che fin dall’inizio si sono rimboccati le maniche con scope, pale e secchi per togliere il fango, raccogliere i materiali necessari e distribuirli; penso ai contadini, sopra i loro trattori, ai sindaci, ai consiglieri comunali, ai giornalisti (sì: ci sono politici che sanno essere popolo, ci sono giornalisti che nobilitano la professione), ai vigili del fuoco e ai forestali che implorano di essere lasciati liberi di fare il loro lavoro.
Penso alla forza incommensurabile di tutte queste persone, così diverse e così uguali nella solidarietà che ci salva tutti, e il contrasto con l’inutilità criminale del malgoverno di Mazón è così estremo che fa male.
Proprio questo cantante di “paccottiglia” che occupa la presidenza della Generalitat di Valencia e che mente ogni volta che parla, preoccupato soltanto di salvare la propria immagine, la propria posizione, mascherato con un giubbotto di emergenza per far finta di lavorare, sempre scrollandosi di dosso la propria responsabilità, quella responsabilità che ha e che non è nemmeno lontanamente qualificato (né tecnicamente né umanamente) ad esercitare. Penso anche al partito che lo ha messo dov’è, a lui e a tutta la truppa afferrata alle poltrone, a quel delegato del partito “Ciudadanos” di Murcia, Argüeso, un criminologo che dovrebbe essere responsabile delle emergenze che, il martedì fatale “giorno della goccia fredda”, ha incontrato -fate attenzione- il capo delle “feste taurine” e, venerdì, ha twittato vantandosi di aver lavorato “da mercoledì alle 11” (!). Penso anche alla tizia che funge da consigliera regionale del Turismo, Montes, che si è rivolta ai parenti delle vittime con estrema arroganza per dire che non avrebbe permesso loro di avvicinarsi alla zona dove sono “tenuti” i morti e che dovevano tornare “alle loro case”: senza aiutare, senza organizzare uno spazio adeguato ad assisterli, senza dare assistenza psicologica e compagnia. Non aiuto ma crudeltà gratuita. Questi fanno così perché sono così.
Sono il governo dell’ignominia.
Ecco perché bisogna mandarli via. Non per qualche miserabile danza politica (vedi i calcoli di Sánchez in chiave di immaginari redditi partigiani o il borbone insieme alla sua banda di fascisti che cercano di approfittare dell’indignazione popolare) ma semplicemente, chiaramente, perché sono pericolosi. Pericolosi per non aver allertato la gente in tempo e per averlo fatto quando era troppo tardi (alle 20:11 di martedì!), pericolosi per l’assoluta incompetenza durante ogni singolo giorno da allora, pericolosi perché, tuttora, continuano a non fare quando gli scienziati hanno avvertito del pericolo di malattie e infezioni e la puzza lo sta già manifestando, quando non riescono nemmeno a offrire un tetto provvisorio e dignitoso alle persone che hanno perso la casa a chi non può restare proprio a causa del rischio di contagio.
Mandarli via è una questione di pubblica sicurezza. E devono pagare per quello che hanno fatto.
Non voglio nemmeno pensare a tutti i morti causati dalla loro inutilità, dalla loro negligenza o dall’interesse di bassa lega (non allarmare perché avrebbe rovinato il ponte di Ognissanti, perché prima dobbiamo pranzare, perché “tanto, passerà”).
Non voglio pensare che l’Università di Valencia invece agì velocemente e già lunedì sera (lu-ne-dì-se-ra) aveva sospeso le lezioni per evitare il pericolo di spostamenti. Non voglio pensare che soltanto questa mossa riesca a dimostrare che si sarebbe potuto fare bene. Non voglio pensarci perché mi si annebbia la vista, ma allo stesso tempo non voglio smettere di pensarci.
Pensare alla nonna di Massanassa.
Pensare a tutti quelli che mancano.
* traduzione Àngels Fita -AncItalia
https://www.vilaweb.cat/noticies/i-que-paguin-pel-que-han-fet/