Catastrofe di Valencia
Perché Paiporta non sarà più “il 23 Febbraio’81” di Felipe di Borbone
“Senza il PSOE e il PP che camminano insieme e nella stessa direzione, semplicemente non c’è un percorso percorribile per la monarchia, per il regime del 1969, o per la nazione spagnola. La discesa inesorabile della ferrovia ha già fatto il suo lavoro e l’aggressione contro Pedro Sánchez ne è il chiaro simbolo. Si uccidono a vicenda, metaforicamente parlando”
04.11.2024 – Editoriale – Vicent Partal – Vilaweb.cat
Subito dopo la storica rivolta popolare contro Felipe di Borbone a Paiporta (ground zero della catastrofe di Valencia), si è attivata la prevedibile campagna della corte per volgere quanto accaduto a favore del monarca. Ma questa volta ciò che ottennero il 23-Febbraio’81 (giornata del colpo di stato del generale Tejero) – e cioè, far sembrare che il re stesse facendo una cosa mentre faceva il contrario – non funzionerà più. Paiporta non sarà il 23—Febbraio’81 di Felipe de Borbone, per cinque motivi.
Primo. Il precedente del 23-Febbraio’81 va contro di loro
Dopo tanti decenni in cui il regime si è schierato attorno ad una descrizione angelica, salvifica e del tutto falsa del ruolo della monarchia nel colpo di stato del 23 febbraio 1981, è ormai pubblico e notorio che Juan Carlos non solo non salvò la democrazia, ma fu lui stesso a organizzare il colpo di stato. E le ultime rivelazioni di una delle tante amanti avute non lasciano più spazio ai dubbi (tranne i fanatici). Essere ingannati una seconda volta è molto più complicato.
Secondo. Il discredito della monarchia è enorme
Juan Carlos di Borbone ha distrutto il prestigio della monarchia, quel prestigio costruito per decenni su falsità e menzogne. La corruzione, l’immoralità e la fine frettolosa del suo regno non hanno messo a dura prova solo lui, ma l’istituzione nel suo complesso. Dopo aver presentato per decenni la famiglia reale spagnola su un altare come esempio di rettitudine, onestà ed esemplarità, la caduta del padre borbonico ha avuto enormi conseguenze per tutti. Il Borbone figlio, inoltre, non ha saputo condurre gli affari politici con l’abilità del suo progenitore, cosa che è stata evidenziata soprattutto il 3 ottobre 2017, con il suo famigerato discorso contro la Catalogna. Da allora ha continuato ad affondare nel pozzo partigiano, generando anticorpi sociali e allontanandosi dal ruolo di arbitro neutrale e di re di tutti, che è l’unica cosa che la costituzione del suo paese gli permetteva. La crisi dello stato è diventata, come era prevedibile, la crisi della principale istituzione statale.
Terzo. Il fango e le aggressioni dimostrano che hanno perso il rispetto popolare
Da quando Franco fondò l’attuale casa reale spagnola, nel 1969, mai, nemmeno una volta, la corona aveva dovuto affrontare una protesta popolare come quella di domenica a Paiporta. E questo dimostra delle cose, proprio per la novità e l’eccezionalità. La riverenza con cui il regime si aspettava che il popolo trattasse il monarca si è sgretolata e ora le macchie di fango sui volti della coppia reale non possono essere coperte né da successive sceneggiate né dalle dimostrazioni di condiscendenza di tanti media e della maggior parte della classe politica. Da domenica tutto è cambiato, e la prova migliore è l’impotenza non solo per reprimere la protesta, ma addirittura per prevenirla prima che avvenisse.
Quarto. I media tradizionali hanno perso il monopolio sulla comunicazione
Prima era possibile insabbiare i fatti, nascondere alla popolazione ciò che accadeva. Con quattro telefonate. Ma ora non più. I resoconti edulcorati non sopportano il contrasto con le fotografie e le riprese video reali. Cercare di presentare Filippo VI come un eroe a Paiporta e come l’uomo buono che ha calmato la popolazione non è solo prostituire il giornalismo, è prendere in giro la popolazione. Tutti hanno visto quello che stava accadendo e da qui nasce il rilievo storico che ieri e l’altro ieri hanno dato i giornali di tutta Europa e del mondo.
Quinto (e principale): la Spagna si è disgregata. Questo non è più il 1981
Affinché la parodia del 23-febbraio sortisse gli effetti sperati, era necessario che tutte le forze politiche rappresentate in parlamento la accettassero e si unissero al coro delle menzogne. Il PSOE lo fece allora, con vero entusiasmo, come Santiago Carrillo, distruggendo con quella mossa il PCE e il PSUC (comunismo catalano), e lo fecero i partiti autonomisti catalani (Jordi Pujol -CiU) e baschi (Xabier Arzalluz -PNB) – anche se controvoglia, perché alla fine di tutto c’era la LOAPA – una legge che fu un duro colpo contro le aspirazioni di autonomia. Le crepe nel muro erano tutte extraparlamentari e molto minoritarie. Fu in quel momento che, quelli che poi sarebbero diventati il PP e il PSOE si fusero in un unico progetto.
Ma oggi, a seguito della rivoluzione democratica catalana e dell’impatto del 1° ottobre 2017 (giorno del referendum catalano per l’indipendenza), lo Stato spagnolo è in frantumi. Spaccato completamente.
Per sostenerlo e mantenerlo vitale, come aveva perfettamente capito Felipe González, il PSOE è necessario: il PSOE è la garanzia del regime del 1969. Tuttavia, il PP, franchista e profondamente corrotto, per i propri interessi si è spostato verso posizioni estreme al punto da vedere nel PSOE non un alleato essenziale ma un “anti-Spagna”. La distruzione della democrazia compiuta dalla Spagna per frenare in extremis l’indipendenza della Catalogna ha avuto un costo immenso, che ora si riversa contro lo stesso PSOE, che fu il complice necessario di Mariano Rajoy (N.d.T. per aggredire la Catalogna) e che oggi assiste insolitamente ad una caccia che finirà per liquidarli, di sicuro. Perché lo stato – quello che noi chiamiamo stato – è il PP.
Senza il PSOE e il PP che camminano insieme e nella stessa direzione, semplicemente non c’è percorso percorribile per la monarchia, per il regime del 1969 o per la nazione spagnola. La pendenza ferroviari ha già fatto il suo lavoro e l’aggressione contro Pedro Sánchez ne è il chiaro simbolo. Si uccidono a vicenda, metaforicamente parlando.
Detto questo: capiteranno delle cose, cose molto importanti accadranno sicuramente e prima di quanto possiamo pensare, ma da parte nostra nessuno ha un piano che ci permetta di trarne vantaggio. Né a nord (Catalogna) né a sud (Valencia).
Il marciume, comunque sia, ha raggiunto un livello tale che penso che le cose accadranno comunque. E poi si vedrà verso dove ci porteranno gli eventi.
* traduzione Àngels Fita – AncItalia
https://www.vilaweb.cat/noticies/per-que-paiporta-ja-no-sera-el-23-f-de-felipe-de-borbo/