LA LUNGA CRISI DELL’INDUSTRIA CATALANA
PENSANDO ALLE SFIDE DELLA CATALOGNA DEL FUTURO
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DEC 03, 2023
Cari lettori,
Nell’attuale contesto di globalizzazione, le regioni più piccole e periferiche devono adattarsi per sopravvivere e prosperare. È fondamentale che la Catalogna ripensi la propria strategia industriale. Ciò comporta, tra l’altro, la riforma del sistema educativo per formare professionisti più qualificati, la riconsiderazione del modello fiscale per attrarre più imprese e, soprattutto, esperimentare un cambiamento culturale che metta in risalto la necessità di avere un’industria potente. Solo allora la Catalogna potrà competere con successo sulla scena globale.
1) Sintesi
2) Le origini del miracolo industriale catalano
3) La stagnazione dell’industria catalana nel XXI secolo
4) Note sulla prosperità industriale catalana nel futuro
- Sintesi
L’industria catalana ha attraversato una lunga crisi, con una crescita economica limitata a settori come il turismo, le attività immobiliari e la gestione dei rifiuti.
La struttura industriale tende alla specializzazione nei settori alimentare, chimico e farmaceutico, ed alla recessione nel tessile, elettrico ed elettronico.
È fondamentale per la Catalogna il ripensamento della propria strategia industriale, la riforma del sistema educativo, la riconsiderazione del modello fiscale e il cambiamento culturale che valorizzi maggiormente l’industria.
- Le origini del miracolo industriale catalano
La deindustrializzazione del primo decennio del secolo ha lasciato il posto a un contesto di stagnazione della produzione manifatturiera catalana, sempre più concentrata nei settori alimentare, chimico e farmaceutico.
La vecchia cintura industriale di Barcellona è stata prevalentemente convertita al settore dei servizi, mentre l’industria ha guadagnato peso nei territori interni.
La specializzazione è stata rafforzata: il tessile catalano ha proseguito la sua crisi concorrenziale con altre giurisdizioni più economiche.
La Catalogna è stata storicamente, senza alcun dubbio, la regione industrialmente più potente dello stato spagnolo, sia in termini di quantità che di qualità.
Il caso della strana crescita economica di un piccolo paese senza stato e senza molte risorse naturali a propria disposizione ha generato migliaia di pagine di polemiche e dibattiti: alcuni autori hanno collocato la Catalogna come uno dei “quattro motori industriali d’Europa” insieme a le regioni Rodano-Alpi, Baden-Württemberg e Lombardia.
Antoni Simon i Tarrés ha recentemente pubblicato “Le origini del miracolo economico catalano” (2021), cercando le ragioni della prosperità catalana dal XIX-XX secolo al XVI secolo. Il libro, con cinquanta pagine di bibliografia, costituisce un prezioso riferimento per chi è interessato alla storia economica.
L’origine di questo vantaggio industriale ha molteplici e diverse ragioni:
- Una rete manifatturiera proto-industriale ben nutrita.
- Capitale commerciale derivante dalla specializzazione del vino e il commercio indiano.
- Lo sviluppo precoce dell’economia di mercato.
- Un altro fattore – spesso sottovalutato – fu la competenza degli ingegneri e dei capitani d’industria dell’epoca, che a partire dal 1800 visitarono le fabbriche inglesi, francesi e belghe, sia per tenersi aggiornati sui progressi tecnologici sia per praticare quello che oggi chiameremmo spionaggio industriale. tornando in Catalogna con tecnologie e conoscenze pratiche da implementare.
- Per quanto riguarda la struttura geografica della prima industrializzazione catalana, le colonie tessili si stabilirono nei bacini dei fiumi Ter e Llobregat per sfruttare la forza dell’acqua, ma si ebbe anche un’urbanizzazione pluricentrica a Barcellona e nella rete di città medie come Sabadell, Terrassa e Mataró.
- Nonostante la mancanza di riserve domestiche di carbone di qualità e facilmente reperibili, la Catalogna seppe collegarsi alle reti commerciali internazionali per rifornirsi di carbone e coke britannici.
- Con l’avvento del XX secolo i fiumi tornano ad essere un importante elemento attorno al quale proliferano le centrali idroelettriche.
In termini quantitativi, la Catalogna ha concentrato negli ultimi due secoli tra un terzo e un quinto del VAL industriale spagnolo (valore aggiunto lordo) e oggi ne concentra un quarto. Se consideriamo la produzione destinata all’esportazione, il peso delle manifatture catalane è stato ancora più rilevante, fatto che ha contribuito al dinamismo delle comunicazioni e dei porti come Barcellona, che nel 1850 assunse la maggior parte dei trasporti marittimi di cabotaggio e un ruolo significativo nel commercio con l’America, consentito dal 1765 (prima era vietato alla Catalogna il commercio oltremare), ponendo fine al monopolio di Siviglia e Cadice.
Sarebbe facile considerare l’idea della Catalogna industriale come una costante storica, come qualcosa di scontato. Tuttavia, il settore non è estraneo alle dinamiche economiche e allo stato dei fattori produttivi del Paese.
Dai dibattiti sul protezionismo contro il libero scambio del XIX secolo alle politiche industriali delle dittature di Primo de Rivera e di Franco, i governi spagnoli sono stati caratterizzati da posizioni ambivalenti nei confronti della Catalogna, bramandola per la sua ricchezza e allo stesso tempo disprezzandola. per la stessa ragione. Gli impatti delle politiche centraliste, spesso pensate da un insieme ispanico meno sviluppato secondo i criteri della modernità capitalista, sono ancora oggetto di dibattito da parte degli esperti.
Nel XX secolo, le successive riconversioni industriali hanno modificato i settori tradizionali, soprattutto nel caso del tessile: questa è una questione che merita una trattazione specifica.
Comunque sia, la Catalogna è entrata nel XXI° secolo con un’economia industriale diversificata e con una certa specializzazione nei settori metallurgico, automobilistico, chimico e tessile. L’unificazione monetaria del primo decennio del secolo ha contribuito a mettere un chiodo sulla bara di alcuni settori tradizionalmente forti del Paese, che già a partire dagli anni ’70 avevano problemi di competitività nei mercati sempre più globalizzati.
- La stagnazione del settore manifatturiero catalano
La terziarizzazione genera effetti strutturali nella struttura economica e nella composizione della forza lavoro che scoraggiano l’industria.
La manifattura catalana progredisce grazie ai settori alimentare, farmaceutico e chimico, ma perde forza nella produzione metallurgica, nei beni strumentali e nell’automotive.
Si prevedeva che il 2022 sarebbe stato l’anno della piena ripresa dopo la pandemia di COVID-19, ma il contesto geopolitico e macroeconomico ha creato incertezza sulla forza della ripresa. Nonostante ciò, l’attività in Catalogna ha recuperato i valori del 2019. La crescita dei servizi ha guidato la performance economica del paese, con un aumento del VAL del 7,9% mentre l’industria è scesa del 2,0%, trascinata al ribasso dai prezzi dell’energia e delle altre materie prime. Anche l’edilizia, con una crescita del 4,5%, ha registrato una ripresa.
Tuttavia, l’allontanamento dal cambiamento del ritmo economico causato dalla pandemia non sembra aver modificato in modo significativo le tendenze a lungo termine del primo quarto del XXI secolo: in Catalogna, la forte tendenza alla terziarizzazione avanza – i servizi hanno aumentato il loro contributo all’economia dal 56% nel 2000 al 69% nel 2022.
La crescita economica in Catalogna è stata guidata da alcuni rami del settore dei servizi, in particolare:
Le attività legate all’aumento della pressione demografica, come quelle immobiliari e ricettive (alloggi), sono state incentivate da un aumento del 28% della popolazione dall’inizio del secolo e da un aumento del 57% del numero di visitatori stranieri.
Negli ultimi vent’anni la spesa per i servizi sociali e la pubblica amministrazione è cresciuta 2,2 volte più velocemente dell’economia nel suo complesso.
I servizi professionali e digitali mostrano anche una crescente specializzazione a Barcellona in compiti amministrativi, servizio clienti o servizi interni esternalizzati in tutta Europa.
Tra i rami dell’industria, solo il settore farmaceutico e quello dell’installazione e riparazione di macchinari sono cresciuti ad un ritmo migliore dell’economia complessiva. L’industria catalana all’inizio del XXI° secolo è stata caratterizzata da:
- Una specializzazione crescente nei settori alimentare, chimico e farmaceutico.
- Una stagnazione della produzione metallurgica, dei beni strumentali e automobilistica.
- La continua recessione del settore tessile, elettrico ed elettronico.
L’eccezionalità industriale della Catalogna sta causando una lunga crisi nei suoi settori tradizionali come il tessile e i macchinari, mentre la specializzazione alimentare della Catalogna apporta un elemento di convergenza con la struttura economica dei paesi circostanti (Spagna e Francia).
Nonostante tutto, la Catalogna mantiene un profilo diverso rispetto ai suoi vicini immediati: il peso dei settori chimico e farmaceutico è particolarmente evidente.
È encomiabile aver raggiunto questo obiettivo nonostante una politica fiscale estremamente onerosa, una burocrazia particolarmente ridondante e complicata, una formazione professionale in apparente caduta libera e una mancanza di politica industriale volta a rafforzare specifici anelli della catena del valore.
Al termine della pandemia, l’industria catalana sembra proseguire il lungo declino che l’ha caratterizzata negli ultimi 50 anni, nonostante alcuni dati positivi riguardanti le esportazioni a maggior valore aggiunto: prodotti farmaceutici, chimici, macchinari ed elettrici.
In Catalogna oggi abbiamo diversi distretti e cluster industriali; allo stesso tempo, è frequente che i comuni più piccoli abbiano attorno a sé un numero variabile di fabbriche. Anche se spesso consideriamo questo modello come lo standard, si tratta chiaramente di un’anomalia nel contesto internazionale, soprattutto al di fuori dello spazio europeo con le sue fitte reti industriali e urbane.
Il peso relativo del settore industriale è invece maggiore nella zona compresa tra l’interno e la costa, nella zona adiacente all’antica Via Augusta romana. Come asserisce l’economista Miquel Puig, le regioni costiere si sono rivolte al settore dei servizi attraverso il turismo, mentre nelle retrovie della costiera, negli ultimi vent’anni, il ruolo dell’industria si è rafforzato, favorito dalla riduzione dei costi – forse a causa dell’impossibilità di sfruttare il modello turistico di spiaggia e ombrellone.
Nel nostro Paese, in questo contesto, è ancora diffusa la convinzione che nelle aree metropolitane di Barcellona e Tarragona si concentri la maggior parte dell’industria; sebbene questa idea sia vera in termini di volume – Barcellona concentra il 16% del VAL industriale catalano, l’hinterland occidentale (Vallès) el 26%, l’hinterland a sud (Baix Llobregat) il 15% e la zona di Tarragona il 4,5% –, questa convinzione non è vera in termini relativi.
Ad esempio: il Baix Empordà (nordest catalano), con un VAL totale di 2,5 miliardi di euro (221 milioni di euro dal settore industriale), contribuisce la metà della Ribera d’Ebre (sud catalano) in termini di industria. Nonostante contribuisca per un quarto al VAL totale di questa regione (722 milioni di euro), la Ribera d’Ebre genera il doppio del VAL industriale (442 milioni di euro). Questa distribuzione mostra che la quota dell’industria sul valore totale generato in ciascun paese varia in modo significativo ed è chiaramente distribuita territorialmente senza che la tendenza postfordista (fase di sviluppo industriale che caratterizza gran parte delle economie più avanzate sin dagli ultimi decenni del 20° sec. e che si contraddistingue per un radicale cambiamento dei metodi di produzione, dei modelli di organizzazione del lavoro e dei contenuti del lavoro stesso) di transizione dall’industria ai servizi si riproduca ovunque.
La Catalogna presenta quindi entrambi gli elementi specifici del modello di concentrazione industriale e di distribuzione nel territorio, forse il risultato delle varie ondate di industrializzazione che l’hanno storicamente interessata. Per quanto riguarda il peso dei sottosettori nel complesso, anche l’industria catalana è equamente distribuita: nessuno di essi concentra più del 20% del totale.
- Chiavi della prosperità industriale nel secolo XXI
La politica industriale non può essere improvvisata e gli ecosistemi industriali si sviluppano nel lungo termine attraverso la collaborazione di vari attori.
L’inerzia delle politiche industriali catalane è riluttante a fare scommesse strategiche decisive che consentano la realizzazione di iniziative ad alto impatto.
La Catalogna deve scommettere sulla formazione per valorizzare i talenti locali, semplificare la burocrazia e promuovere ecosistemi innovativi con una visione strategica.
La politica industriale non potrà mai essere attuata nel breve termine, soprattutto perché lo sviluppo industriale richiede un ecosistema attorno a sé. Questa logica vale anche per i capoluoghi locali, le camere di commercio, i consulenti, gli ingegneri, gli avvocati, i business angels e le banche di investimenti. In generale, quindi, le politiche statali dedicate alla promozione devono occuparsi di valorizzare questa biocenosi in molteplici modi: semplificando le procedure, contribuendo a creare reti o formando dei professionisti, ma soprattutto non intralciando.
Vale a dire in questo contesto che i crediti d’imposta, o anche la diminuzione delle tasse, possono rappresentare un buon incentivo per l’insediamento di imprese ma bisogna stare attenti: gli incentivi fiscali sono necessari ma non sufficienti. L’Estonia, ad esempio, attrae le aziende digitali, che non hanno asset fisici significativi, ma difficilmente metallurgici. Simile è anche il caso dell’Irlanda, spesso accusata di dumping fiscale nell’ambito dell’UE.
Il corollario di tutto ciò è che una regione con scarso sviluppo industriale – si pensi all’Estremadura, o magari al nord montuoso della Catalogna – anche se stabilisse un’imposta sulle società dell’1%, avrebbe comunque problemi per invogliare l’insediamento di aziende e professionisti di settori trainanti, sia sul lato hard che soft (stabilimenti industriali o uffici).
È possibile che questo possa dinamizzare il capoluogo provinciale o locale, e nel lungo periodo potrebbero sfruttare questo fatto per crescere, ma alla fine, le città e le regioni hanno questa cultura “imprenditoriale” oppure no; per farla crescere sono necessari molti anni di azione coordinata, sia attraverso il rafforzamento della rete di privati e imprese, sia attraverso la promozione da parte del governo.
In questo contesto, sorprende la mancanza di iniziative specifiche per promuovere settori ad alto impatto, la priorizzazione delle iniziative o la mancanza di una strategia per valorizzare le sinergie tra rami di attività in modo autocentrato sul potenziale delle industrie esistenti.
La forza dell’economia delle start-up della capitale catalana, con 1.500 milioni di euro di investimenti in capitale di rischio lo scorso anno, la colloca nella posizione n. 9, accanto alle capitali europee come Amsterdam o Zurigo, ma non bisogna nascondere che la specializzazione economica del paese si traduce in società emergenti che ottengono finanziamenti a Barcellona e dintorni.
Meno del 15% degli investimenti nelle start-up catalane corrisponde quindi a settori ad alta tecnologia (deeptech), percentuale che nel caso delle città più grandi dei Paesi Bassi e della Svizzera cresce fino a quasi 1/3 degli investimenti nel paese. Il settore tecnologico di Barcellona si è specializzato in settori come l’e-commerce, i servizi digitali o i videogiochi, mentre la tecnologia medica concentra gli investimenti di alto impatto.
In questo contesto è importante evidenziare il nuovo Patto Nazionale per l’Industria 2022-2025, che prevede 152 azioni per un investimento di 2.817 milioni di euro, che potrebbe aumentare fino a 3.270 milioni di euro con fondi europei, di cui 470 milioni di prestiti per il settore.
Nonostante si tratti di un salto significativo rispetto al piano precedente (2017-2020), sorprende la continuità nell’approccio del piano, articolato nelle stesse aree tematiche (sostenibilità, innovazione, occupazione, infrastrutture, finanziamenti) e con proposte molto simili alle precedenti, anche se questa volta incorporando la prospettiva di genere in modo trasversale.
I rapporti del governo catalano (Generalitat) si distinguono per incorporare una moltitudine di parole di tendenza (buzzwords) che si riciclano nel tempo, ma che raramente incorporano elementi differenziati nella concezione e attuazione delle politiche industriali che la Generalitat può realizzare. L’industria 4.0, il deep tech o la digitalizzazione sono diventati semplici luoghi comuni che non mirano a potenziare segmenti specifici o a promuovere iniziative con la capacità di avere un impatto moltiplicatore.
Alcuni analisti hanno parlato di “crisi delle competenze” a livello mondiale; ci sono forti ragioni per credere che questa crisi sia presente anche nel caso catalano. In poche parole, sono richieste molte competenze, ma non ci sono abbastanza professionisti qualificati per ricoprire tali posizioni. La mancanza di manodopera qualificata è preoccupante ed è sintomo di un sistema educativo che non produce i professionisti di cui l’industria ha bisogno.
Diventa cruciale per la Catalogna il ripensamento della propria strategia industriale per competere con successo sulla scena globale. Ciò implica, tra le altre cose, riformare il sistema educativo per produrre professionisti più qualificati, riconsiderare il modello fiscale per attrarre più aziende e, cosa forse più importante, cambiare la cultura per dare una valenza più importante all’industria.
Per quanto riguarda l’azione dello Stato bisogna essere estremamente cauti; alcune politiche statali possono significare il successo o il fallimento di interi settori industriali o regioni. Una buona prova di questo fenomeno è la Rust Belt nordamericana, di cui Detroit è l’esempio paradigmatico degli effetti di una deindustrializzazione relativamente recente. In questo caso, alcune cause probabili furono l’aumento relativo del prezzo dei prodotti americani nel contesto internazionale – risultato della politica della Fed –, l’automazione del settore o la delocalizzazione incoraggiata dalla differenza nei costi del lavoro.
In pochi anni, una delle aree più prospere degli Stati Uniti è diventata una delle aree economicamente più depresse, insegnando chiare lezioni a chi è disposto ad ascoltare: l’industria non dovrebbe mai essere data per scontata, in quanto è chiaramente soggetta alle contingenze dell’azione statale, ma anche alle sue condizioni endogene: il dinamismo (o la sua mancanza) necessario per adattarsi al cambiamento.
* traduzione Àngels Fita – AncItalia
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