Con Jesús Rodríguez, in difesa della stampa, della libertà e della vita

Con Jesús Rodríguez, in difesa della stampa, della libertà e della vita

 

Accusare un giornalista di terrorismo perché sa delle cose è come accusare un pompiere di spegnere gli incendi o un medico di salvare vite umane. Sapere delle cose e spiegarle è il motivo del nostro lavoro

 

 

Vilaweb.catVicent PartalEditorial  11.04.2024

 

 

 

 

Nel filmato registrato che Jesús Rodríguez ha inviato ieri all’evento tenutosi per esprimergli solidarietà, con il quale ha rivelato che aveva optato per l’esilio, questo magnifico giornalista di “La Directa” ha riconosciuto che spettava a lui assumere un ruolo che non aveva mai desiderato. È così. C’è una vecchia massima nella nostra professione secondo cui quando un giornalista fa notizia, è un brutto segno. Perché di solito significa che è in pericolo o gli è successo qualcosa. E purtroppo anche questa volta è stato così.

 

Poiché non poteva essere altrimenti, VilaWeb era presente alla conferenza stampa. Io stesso mi sono recato lì, in qualità di direttore del giornale, per manifestare la nostra totale e incondizionata solidarietà a questo collega professionista che conosco da decenni e del quale posso solo dare giudizi positivi. Professionalmente e personalmente. Ecco perché non ero, come sarebbe normale, tra i giornalisti che seguivano l’evento, ma dietro le persone che sono intervenute, con altri colleghi, amici e compagni delle varie lotte in cui Jesús è stato coinvolto nel corso della sua vita. Manifestare e rendere chiara la nostra posizione di sostegno. Non capita spesso questa cosa di doverci esprimere, ma ieri era obbligatorio. Perché difendere Jesús Rodríguez, oggi, non è difendere solo una persona, un operatore dei media, ma difendere noi tutti, la nostra professione e, in ultima analisi, la società.

 

I tribunali spagnoli accusano Jesús Rodríguez di aver saputo in anticipo delle azioni preparate dall’organizzazione Tsunami Democratico. Contro questa “accusa” mi viene solo in mente di dire che questo è il nostro lavoro. Sapere dele cose. Possibilmente, e se lavoriamo bene, prima che accadano. Come lui, molti giornalisti di molti media, me compreso, “sapevano delle cose”. Più o meno imprecise, più o meno parziali, voci a volte non confermate, confidenze in altri casi. Lo ripeto: questo è il nostro lavoro. Accusare un giornalista di sapere delle cose è come accusare un pompiere di spegnere gli incendi o un medico di salvare vite umane. La follia del sistema giudiziario spagnolo non ha limiti, ma ciò non significa che noi cittadini dobbiamo accontentarci di riderne, di caricaturarlo o di dire, semplicemente, che sono pazzi.

 

In queste ultime ore abbiamo saputo di diversi casi di persone costrette a un nuovo esilio: Ruben Wagensberg, Oleguer Serra, Jesús Rodríguez e Josep Campmajó. Politici, imprenditori, attivisti sociali e giornalisti. È grave veramente. Tutti gli esiliati – quelli che conosciamo e quelli che non conosciamo, perché ce ne sono sicuramente di più – sono altrettanto gravi, condannabili e meritevoli della nostra solidarietà. Tutti.

 

 

 

 

Ma, essendo un giornale, penso che tutti comprendano che siamo particolarmente obbligati a evidenziare cosa significhi provare ad accusare di terrorismo un giornalista semplicemente per aver informato e aver voluto informare.

 

In una società democratica, in ogni società che si consideri democratica, la stampa gioca un ruolo fondamentale: controllo, indagine e critica delle autorità pubbliche, difesa della libertà di espressione, trasmissione e voce delle inquietudini dei cittadini e costruzione del consenso sociale. Per questo motivo, e poiché è l’unico attore che può farlo, nella maggior parte delle giurisdizioni democratiche la stampa è particolarmente protetta. Un attacco come quello portato avanti dalle istituzioni spagnole è semplicemente impensabile. E questa constatazione ci costringe, se non vogliamo commettere errori di analisi, a ritornare al centro del problema. Perché questo problema ha ovviamente a che fare con la libertà di espressione e la libertà di stampa. Ma non solo.

 

Così come hanno indicato Jesús Rodríguez come bersaglio, avrebbero potuto metterci dentro un sacco di gente. Sicuramente, lui paga per l’ottimo lavoro svolto in tutti questi anni denunciando le infiltrazioni della polizia e il lavoro sporco dello stato spagnolo. Avevano il dente avvelenato contro di lui. Ma se ciò accade è perché esiste un quadro normativo che lo rende possibile. Ed è proprio questo quadro che va denunciato e combattuto.

 

È una cornice politica in cui l’oppressione nazionale – la volontà espressa di evitare la normalità delle nazioni che lo stato spagnolo non ha accettato né accetterà mai come tali – coincide ed è ineludibile, con una visione autoritaria di ciò che è il potere e del suo rapporto con la società. Completamente incapace di accogliere la più piccola dissidenza.

 

Ed è proprio per questo, perché l’insieme di questi due fattori è “la questione” e non può essere fatta l’analisi solo a partire dall’uno o dall’altro, che ieri nell’espressione di solidarietà non c’erano tutti e che allo stesso tempo c’erano giornalisti e media spagnoli in grado di scrivere, senza alcuna vergogna, che Jesús Rodríguez – e tutti gli altri esuli – si erano “stabiliti in Svizzera”. Come se fosse stata una decisione volontaria o il frutto di un viaggio di piacere. Fernand Braudel, nel suo testo fondamentale sulla lunga durata della storia, sottolineava già in modo molto intelligente che il primo problema era sempre il vocabolario e che l’uso delle parole da parte di ciascuno delimitava i campi.

 

In questo caso, loro – questi giornalisti e media spagnoli, o catalani con una visione spagnola – sanno che il regime li perseguiterà molto raramente, che possono dormire sonni tranquilli pur facendo, politicamente o professionalmente, ogni cazzata possibile. Negli ultimi anni li abbiamo visti inventare letteralmente storie, assumere acriticamente le bugie dello stato, agire come portavoce della cosiddetta polizia patriottica o dei giudici prevaricanti, e oltrepassare i limiti, non della decenza giornalistica, ma della decenza umana. Quindi non ci sorprende che ora nascondano la parola “esilio” ai loro lettori.

 

Per fortuna noi non siamo come loro.

 

* traduzione   Àngels Fita – AncItalia

ttps://www.vilaweb.cat/noticies/editorial-vicent-partal-amb-jesus-rodriguez-en-defensa-de-la-premsa-de-la-llibertat-i-de-la-vida/

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