La grande bugia sul seggio europeo di Puigdemont

La grande bugia sul seggio europeo di Puigdemont inizia a sgretolarsi

 

Da Tajani a Metsola, dall’Amministrazione Elettorale Spagnola agli avvocati dell’Europarlamento, alla Corte Generale dell’Unione Europea: l’avvocato della Corte di Giustizia Europea ha lasciato in evidenza tutti quelli che ordirono la teoria contorta che mirava a destituire il presidente

 

 

Carles Puigdemont, a Elna. EFE/David Borrat.

 

 

 

DIARIO DELLA GUERRA GIUDIZIARIAJosep Casulleras Nualart – 12.04.2024

 

L’intervento dell’avvocato Norbert Lorentz, rappresentante legale dell’Europarlamento, quella mattina di novembre sorprese tutti. Prese la parola nell’aula della Corte di Lussemburgo dove si teneva l’udienza sulla denuncia di Carles Puigdemont, Toni Comín e Clara Ponsatí contro la petizione con la quale il Parlamento europeo aveva revocato la loro immunità. E disse: “Nel gennaio 2020 hanno potuto sedersi nei loro posti, ma forse illegalmente. Perché non è mai stato comunicato all’europarlamento la notifica dello stato in cui sono stati eletti”. I servizi legali disapprovavano l’ex presidente David Sassoli, che allora aveva aperto loro la porta, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia europea che confermava lo status di deputato europeo di Oriol Junqueras (a quel tempo in carcere a Madrid). Ma soprattutto si collegava a una storia che dall’estate del 2019, dall’inizio della legislatura, fino ad oggi, hanno intrecciato diversi personaggi, dai membri dell’Amministrazione Elettorale spagnola all’ex presidente Antonio Tajani, passando per il dirigente del gruppo dei socialisti europei, la spagnola Iratxe García, insieme alla destra e l’estrema destra spagnola, il sofferente Adrián Vázquez e, perfino, i magistrati della Corte Generale europea (il tribunale di primo grado che lo aveva confermato nel 2022). Tutta questa storia orma è stata fatta a pezzi dal procuratore generale della Corte di Giustizia Europea, Maciej Aleksander Szpunar, in alcune durissime conclusioni contro la Corte Generale Europea, contro il Parlamento europeo e contro le autorità spagnole.

 

Si tratta di conclusioni non vincolanti, ma che segnano l’arrivo della sentenza definitiva della Corte di Giustizia Europea (e che possono essere indicative del significato che avrà) sulla richiesta di Puigdemont e Comín per il veto di cui sono stati vittime il 2 luglio 2019. Quel giorno non poterono accedere alla sessione costituente della legislatura a Strasburgo e dovettero rimanere dall’altra parte del Reno, in Germania, a causa del rischio di essere arrestati ed estradati immediatamente se avessero attraversato il ponte Europa entrando nello stato francese. Il presidente uscente, Antonio Tajani, decorato e alleato della destra spagnola nella crociata contro l’indipendenza, pose il veto, mostrando la lista ufficiale dei deputati della circoscrizione spagnola che l’Amministrazione elettorale spagnola gli aveva inviato il 17 giugno dello stesso anno, in cui non c’erano né Puigdemont né Comín né Junqueras. Perché non avevano giurato sulla Costituzione spagnola.

 

La Spagna al di sopra degli Europei?

Secondo la versione spagnola, la Costituzione spagnola aveva così tanto potere che il fatto di giurarla o meno passava al di sopra del suffragio, tanto da far perdere ai membri di un’istituzione come il Parlamento europeo la considerazione di rappresentanti degli elettori. Nel contenzioso che Puigdemont e Comín hanno avviato denunciando questo veto alla Corte di Giustizia, la posta in gioco è se prevale il diritto di voto dei cittadini o le condizioni imposte dagli Stati per accedere allo status di deputati.

 

La Corte Generale europea non concesse loro nemmeno, quel mese di luglio, le misure cautelari affinché potessero esercitare la loro carica. Ma dopo pochi mesi, la Corte di Giustizia prese alcune decisioni epocali: la prima fu la sentenza di risposta al giudice spagnolo Manuel Marchena, avvisando che Oriol Junqueras (allora in carcere) godeva dell’immunità come europarlamentare dal momento in cui era stato proclamato eletto, senza dover adempiere ad alcuna formalità imposta dallo Stato spagnolo, come il giuramento della Costituzione. E nello stesso tempo, l’allora vicepresidente della Corte di giustizia europea, la spagnola Rosario Silva de Lapuerta, stabilì con un’ordinanza molto severa in cui avvisava che la Corte Generale europea avrebbe dovuto accettare le misure cautelari di Puigdemont e Comín per permettere loro di agire come europarlamentari nel Parlamento europeo, fintanto che non si risolvesse definitivamente la controversia.

 

Urla e minacce nell’ufficio di Sassoli

Subito dopo ci furono grida, minacce e carte per terra nell’ufficio di David Sassoli, perché la socialista Iratxe García non poteva credere che il suo compagno di gruppo, il presidente Sassoli, avesse aperto la porta a Puigdemont e Comín. “Non puoi fare questo alla Spagna! Ti rendi conto di quello che stai per fare?”, gridava con rabbia, secondo il racconto del quotidiano Libération. Ma Sassoli aprì loro la porta, perché aveva capito che la sentenza Junqueras, sommata alla decisione del vicepresidente della Corte di Giustizia sulla necessità di concedere loro il seggio in via cautelare, era assai chiara: lo status di europarlamentare si acquisisce dal momento della proclamazione come eletto, e non per il fatto di giurare una qualsiasi costituzione.

 

Ma questa interpretazione fu contestata e gradualmente si impose un’altra versione, sostenuta sia dal Regno di Spagna che dal Parlamento Europeo, con l’appoggio dei loro avvocati, quando verificarono che Puigdemont e Comín, essendo già stati riconosciuti de facto come deputati al Parlamento europeo, volevano anche esserlo de iure, cioè che il sistema giudiziario europeo stabilisse che i loro diritti e quelli dei loro elettori erano stati violati. Quest’altra interpretazione, la cosiddetta dottrina Junqueras, consisteva nel dire che una cosa era l’immunità di europarlamentare, acquisita al momento dell’elezione, come diceva la sentenza, e un’altra lo status di europarlamentare con tutte le credenziali in regola, cioè con tutta la documentazione necessaria, compresa quella che devono consegnare le autorità statali.

 

La storia sospetta di novembre 2022

Nel luglio 2022, la Corte Generale europea stabilì, in primo grado, che era così, che la sentenza Junqueras diceva questo e che Antonio Tajani non poteva fare altro che attenersi a quanto gli avevano detto le autorità spagnole su chi era deputato europeo e chi no, e che la lista che aveva ricevuto senza Puigdemont e Comín era quella buona, anche se fosse ben consapevole che la lista di eletti della Gazzetta Ufficiale spagnola (BOE) di pochi giorni prima li includeva: ciò che contava era l’amministrazione elettorale spagnola e non gli elettori.

Ecco perché Norbert Lorenz disse a Gonzalo Boye (avvocato di Puigdemont) quel giorno di novembre 2022 in quell’udienza alla Corte di Giustizia che i seggi di Puigdemont e Comín “potrebbero essere stati illegali”, perché il Parlamento non aveva mai ricevuto notifica dello stato in cui erano stati eletti. E in quegli stessi giorni, l’europarlamentare di “Ciudadanos” Adrián Vázquez (partito anti-catalano oramai residuale), in qualità di presidente della commissione giuridica, e approfittando della sentenza della Corte Generale, mise in dubbio le credenziali di europarlamentari di Puigdemont, Comín, Ponsatí e Jordi Solé, visto che anch’essi non avevano prestato giuramento alla Costituzione spagnola. Fece pressioni sulla presidente della Camera, Roberta Metsola, perché chiedesse all’Amministrazione Elettorale spagnola la documentazione mancante per poter confermare le loro credenziali, e l’Amministrazione elettorale spagnola rispose che nessuno di loro poteva avere la qualità di europarlamentare, in quanto non avevano prestato giuramento alla Costituzione spagnola.

Fatto sta che in quei giorni, curiosamente tre giorni prima dell’intervento di Lorentz alla Corte di Lussemburgo, Roberta Metsola pranzò a Barcellona con i colleghi del PP spagnolo, ai quali venne a dire che stava per ritirare le credenziali di Puigdemont, secondo quanto pubblicato da El Mundo all’epoca, anche se in seguito dovette parzialmente smentire. Disse che la risposta che aveva ricevuto dall’Amministrazione Elettorale spagnola, che chiedeva di giurare di persona sulla Costituzione spagnola in cambio della consegna della documentazione mancante per “verificare” le sue credenziali di europarlamentare, era nelle mani dei servizi legali. Gli avvocati dovevano studiarla.

La Spagna, ridimensionata; Prevale il diritto dell’Unione

E un anno e mezzo dopo, la stanno ancora studiando. In primo luogo, perché è assurdo mettere in discussione lo status di europarlamentari per coloro che sono pienamente attivi come tali da tre anni e, in secondo luogo, perché finché la sentenza della Corte di Giustizia Europea non sarà definitiva, gli avvocati non faranno né diranno nulla. Per non rischiare di commettere un grave errore. E le conclusioni del procuratore generale Szpunar dicono che hanno fatto bene a lasciare nel cassetto la risposta accorata dell’Amministrazione Elettorale spagnola. Perché potrebbero sbagliarsi seriamente. Se la sentenza della Corte di Giustizia europea, che potrebbe richiedere un mese o due, confermasse il punto di vista di Szpunar, l’altolà nei confronti del Parlamento europeo come istituzione e dei suoi servizi giuridici, del governo spagnolo, dell’autorità elettorale spagnola e di alcune altre pedine patriottiche che hanno manovrato per impedire che un mandato elettorale fosse efficace, può essere colossale.

 

Perché, tra molte altre questioni, il procuratore generale nelle conclusioni afferma che, secondo le norme europee, “nessuno Stato membro è autorizzato a sospendere temporaneamente l’esercizio del mandato di un europarlamentare, e qualsiasi tentativo in questo senso è manifestamente contrario alla diritto dell’Unione”; che “la violazione dell’obbligo previsto dalla legge elettorale spagnola [di giuramento costituzionale] non può essere assimilata ad alcuna questione giuridica legata alla proclamazione della loro elezione a deputati europei, perché non implica la perdita della loro qualità di membri del Parlamento europeo”; che “accettare una soluzione come questa [imponendo la condizione di dover giurare sulla Costituzione] lascerebbe gli Stati membri liberi di decidere chi, tra gli eletti, può effettivamente esercitare il mandato”; o che, semplicemente, “i membri del Parlamento europeo non sono rappresentanti degli Stati membri, e nemmeno dei popoli degli Stati membri, ma rappresentanti dei cittadini dell’Unione eletti a suffragio universale”.

 

La sentenza arriverà tardi, proprio al termine della legislatura, ma potrà chiarire per sempre un aspetto centrale nella profonda tensione che da sempre esiste nell’UE tra l’Europa degli Stati e quella dei cittadini. E può contribuire a far cadere, finalmente, tutti i responsabili della grande menzogna raccontata per cinque anni sulla validità del seggio di Puigdemont.

 

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

https://www.vilaweb.cat/noticies/gran-mentida-puigdemont-eurodiputat-tjue-conclusions/

 

 

 

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