Cos’è la mediazione internazionale

Cos’è la mediazione internazionale e come si svolge?

I tre elementi chiave

 

Non si sa molto del meccanismo di mediazione internazionale concordato tra Junts e PSOE, ma il funzionamento e le tecniche abituali di mediazione sono ben noti e possono fornire indizi interessanti

 

 

Il presidente Puigdemont e Santos Cerdan (PSOE) si incontrano a Bruxelles in un primo gesto di riconoscimento da parte del partito socialista.

 

Vilaweb.cat – Redazione – 12.11.2023

 

 

L’accordo tra Junts e il PSOE ruota attorno a un “meccanismo di verifica internazionale” che monitorerà l’andamento della trattativa. Si tratta di una formula insolita finora perché strappa il dibattito e il rapporto tra i due paesi dalla politica spagnola, e persino dalla legislatura, per affrontare il conflitto tra Catalogna e Spagna in un modo completamente nuovo.

 

Lo svantaggio è che di questo meccanismo concordato non si sa quasi nulla, il che è invece normale in processi simili. Ma si sanno cose fondamentali. Entrambi i partiti hanno riconosciuto che esiste (il meccanismo di verifica) – questo è importante – e si sa che il testo del documento firmato è stato guidato dai verificatori. È noto che con loro c’è già stato almeno un incontro e che il meccanismo conta tre o quattro membri (le dichiarazioni su questo punto divergono), ma solo uno sarà reso pubblico – cosa, del resto, non insolita in questo tipo di processi. E si sa che ogni mese ci saranno incontri in presenza, dei due partiti con i verificatori, in una capitale europea – per il momento si parla di Bruxelles, Parigi, Berlino e Ginevra, anche se sono, per ora, speculazioni.

 

Con questi pochi dati a disposizione, è difficile parlare nello specifico di ciò che Junts e il PSOE hanno firmato. Ma poiché entrambi hanno riconosciuto il meccanismo, è possibile spiegare come funzionano generalmente questi tipi di processi nel mondo e, quindi, cosa ci si può aspettare e cosa no.

 

La verifica internazionale è sempre più comune

Negli ultimi decenni, in particolare, si è diffusa la tecnica della risoluzione dei conflitti attraverso l’intervento internazionale. E questo ci ha fornito tutti i dati e le conoscenze su come funziona. Abbiamo visto accordi tra stati che hanno richiesto l’intervento di stati terzi, ma abbiamo anche visto un’ampia varietà di casi in cui gruppi politici, istituzioni o lo stato hanno negoziato su un piano di parità.

 

Alcuni casi, come quello irlandese, sono stati particolarmente contorti e complessi, con diverse iniziative negoziali nel corso del tempo. Ci sono stati casi, come quello del Venezuela, in cui organizzazioni internazionali, in particolare l’Organizzazione degli Stati Americani, sono state coinvolte nella risoluzione di una questione strettamente interna. Nello Yemen accade la stessa cosa con il Consiglio di Cooperazione del Golfo. L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE) ha condotto i colloqui di pace tra Armenia e Azerbaigian attraverso il cosiddetto gruppo di Minsk. E l’Onu è alla guida dei negoziati a Cipro, tra il governo nazionale e quello dell’area turca.

 

In alcuni casi sono coinvolti diversi paesi, a volte sorprendentemente. Il piccolo Stato di Saint Vincent e Grenadine, ad esempio, fa parte della cosiddetta A3+1 (con Kenya, Niger e Tunisia), che sta negoziando un accordo politico per Tigre, in Etiopia. Il Paese caraibico ha solo sei ambasciate nel mondo e una piccola squadra diplomatica, ma è riuscito a ritagliarsi un posto in questa iniziativa in Etiopia.

 

Accanto a loro, ci sono paesi che si sono distinti in questo ambito perché si sono specializzati nella diplomazia e si sono fatti promotori attivi della risoluzione di conflitti attraverso la mediazione internazionale. Il caso più paradigmatico è quello della Norvegia, che ha partecipò attivamente agli accordi di Oslo tra Israele e Palestina, ma anche ai processi negoziali in Bosnia, Guatemala, Sudan, Sri Lanka, Eritrea e Colombia.

 

In altri casi, i negoziati sono stati condotti da organizzazioni private e umanitarie, come l’Assemblea di Helsinki nel conflitto tra Kurdistan e Turchia del 1995 e la Commissione internazionale indipendente di ricerca sulla Siria, in questo paese arabo. E sempre più aziende o organizzazioni private di ex diplomatici – o in cui lavorano – si sono specializzate a muovere i primi passi, approfittando del fatto che non rappresentano direttamente nessuno e tutto può essere fatto con più discrezione. È il caso, ad esempio, di Inter Mediate, organizzazione privata guidata da Jonathan Nicholas Powell, che è stato il principale negoziatore in Irlanda per Tony Blair.

 

Qualunque sia la struttura del gruppo negoziale, ci sono sempre tre elementi essenziali: il riconoscimento reciproco degli avversari e la creazione di una storia comune senza la quale il processo negoziale non può iniziare, l’autorità riconosciuta ai verificatori per far avanzare il processo e la decisione finale incarnata in azioni che, in ogni caso, possono avere o meno successo.

 

  1. Il riconoscimento degli avversari e la creazione di una storia comune da cui parte il processo negoziale

 

È la parte più complicata. Questo è il motivo per cui i processi di risoluzione dei conflitti spesso richiedono molti mesi o addirittura anni per iniziare.

 

Il primo passo è sempre che entrambe le parti accettino di riconoscersi a vicenda e che una terza parte intervenga e conduca il dibattito. E questo generalmente implica un’offerta da parte dei negoziatori che le due parti in conflitto devono accettare, con tutte le conseguenze.

 

I verificatori possono essere istituzioni nazionali e internazionali oppure governi, e molto raramente sono individui; se lo sono, di solito è perché sono così altamente rappresentativi che, ai fini pratici, sono equivalenti agli stati a cui appartengono.

 

A volte questa parte del sentiero è la più ripida e quella che costa di più da spiegare. Si conoscono, ad esempio, le “conversazioni sulla conversazione”, e come si svolsero i primi contatti tra il governo dell’apartheid sudafricano e l’ANC di Nelson Mandela, che finirono per stabilire le precondizioni per un negoziato tra le parti. In questo caso particolare, il Senegal svolse un ruolo chiave nel ravvicinare le posizioni.

 

Quando entrambe le parti accettano il team di verificatori e prima di iniziare le conversazioni vere e proprie, viene svolto un esercizio che consiste nel costruire una storia comune non sulla soluzione, ma sul conflitto da risolvere – che sarebbe, in questo caso, il documento presentato da Junts e dal PSOE. Le soluzioni, a questo punto della trattativa, non si conoscono, perché la strada da fare è ancora lunga. Ma senza il riconoscimento reciproco di entrambe le parti e una storia condivisa, il lavoro non può iniziare.

 

  1. L’autorità riconosciuta ai verificatori per portare avanti il ​​processo

 

Questo è il pezzo chiave dell’intelaiatura. Un processo con verificatori internazionali non ha senso se entrambe le parti non sono disposte a obbedirvi.

 

Per questo motivo, i verificatori internazionali sono solitamente istituzioni con capacità coercitiva su entrambe le parti. Non necessariamente diretta, ma sì, almeno indiretta. I negoziatori, affinché la negoziazione sia efficace, devono aver paura delle ripercussioni dovute al loro “cattivo” comportamento. Essi devono temere che, se tentano di prolungare inutilmente il dibattito o non adempiono ai loro obblighi, ciò avrà per loro gravi conseguenze in ambiti significativi.

 

Questo è uno dei motivi per cui, normalmente, ci sono tre o più verificatori e di diversi orientamenti politici e nazionali, perché in questo modo ognuno può costringere di più uno dei due litiganti e tutti insieme formano una rete di interessi che obbliga tutti gli attori a mouversi.

 

È importante notare che, una volta accettato il processo di mediazione, si accetta anche che siano i mediatori a dettare il ritmo. Sono i mediatori o verificatori che riportano il risultato di ogni incontro e avanzano delle proposte per un ulteriore passo in avanti.

 

Infine, è decisiva la discrezione della trattativa. È frequente che non si sappia chi siano i verificatori, né quando o dove si tengono le riunioni, e che solo un portavoce sia presente pubblicamente.

 

 

  1. La materializzazione finale in azioni concrete

 

Una mediazione internazionale può essere lunga e durare anni, ma di solito non è così, perché la logica della risoluzione dei conflitti si impone rapidamente ed è molto difficile mantenere la discrezione. Invece, l’applicazione degli accordi finali potrebbe richiedere del tempo.

 

Tuttavia, quando un processo negoziale internazionale raggiunge il punto di successo, ovvero c’è una proposta di misure concrete per risolvere il problema, la pressione pubblica e internazionale è già solitamente molto forte e compromette i contendenti, che hanno poche possibilità di sottovalutare o sminuire gli accordi in cui hanno preso parte.

 

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

https://www.vilaweb.cat/noticies/que-es-una-mediacio-internacional-i-com-es-porta-a-terme-els-tres-elements-clau/

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