Junts-PSOE: un accordo di pace più che un’investitura

Junts-PSOE: un accordo di pace più che un’investitura, ma pieno di rischi e incoerenze

 

 

Questo non è un accordo legislativo, non è un patto tipico di qualsiasi democrazia europea, ma ha la struttura, la tecnica e la narrazione di un accordo di pace, che significa solo l’inizio dei colloqui

 

Il presidente Carles Puigdemont in arrivo alla conferenza stampa a Bruxelles.
(Fotografia: Olivier Matthys)

 

 

Vilaweb.cat – Vicent Partal – Editoriale urgente 09.11.2023 – 18:05

 

 

Analizzando il patto tra Junts e il PSOE, che permetterà finalmente l’investitura di Pedro Sánchez, penso che sia necessario distinguere tre elementi separatamente: il patto stesso, le garanzie di questo patto e la legge sull’amnistia. Di quest’ultimo non posso parlarne finché non sarà pubblico e potrà essere letto; ma degli altri due, sì.

 

Il patto è molto ambizioso e implica un grande cambiamento di scenario. Ma ha un problema serio che voglio sottolineare subito: non ci sono garanzie che venga rispettato, e questo, parlando del PSOE e conoscendoli, significa assumersi molti rischi. Junts afferma che il meccanismo di verifica internazionale e la propria capacità di rovesciare il governo spagnolo in qualsiasi momento sono le garanzie del patto. A me sembrano garanzie insufficienti, ma riconosco comunque che solo il tempo rimetterà le cose a posto.

 

C’è anche una seconda cosa che voglio sottolineare prima di analizzare il documento. Sei anni fa, dopo la non-implementazione della repubblica indipendente proclamata dal parlamento catalano, si aprì la strada politica al confronto con lo stato spagnolo dall’esilio. Basandosi sulla denuncia che la Spagna non è una democrazia e mettendola alle strette dalle istituzioni europee per costringerla a riformarsi in modo da farla diventare veramente democratica. Questo percorso cambia radicalmente oggi. Si può considerare e difendere che, appunto, adesso sta cambiando ed è stato possibile costruire questa nuova situazione, proprio grazie al successo nei tribunali internazionali.

 

 

Ma, ancora una volta, non abbiamo nessuna certezza che il PSOE sia convinto di ciò che sta facendo e, invece, sappiamo che l’esilio e la linea di lotta, confronto e delegittimazione dello Stato spagnolo che essi rappresentavano sono finiti.

 

Parlando, infine e concretamente, del patto politico firmato tra Junts e PSOE, devo dire che sono rimasto molto sorpreso, particolarmente sorpreso, dal modo in cui è redatto. Per la tecnica usata. Questo non è un accordo di legislatura, non è un patto tipico di qualsiasi democrazia europea, ma ha la struttura, la tecnica e la narrativa di un accordo di pace. E in questo senso va ben oltre qualsiasi cosa firmata prima e non può essere paragonata a nulla che abbiamo visto finora. Tra le più evidenti, il fatto che Junts non riconosce il quadro costituzionale spagnolo né si impegna a rispettarlo, come ha invece fatto il governo della Generalitat catalana con il suo presidente di ERC, Pere Aragonès, con il tavolo del dialogo.

 

Sottolineo questo aspetto della tecnica degli accordi di pace perché penso che possiamo commettere un errore di valutazione tutti insieme se non ne teniamo conto. Ad esempio, in un negoziato politico normale suonerebbe semplicemente ridicolo affermare che un partito difenderà il referendum sull’autodeterminazione e l’altro lo statuto autonomo di Maragall del 2006. Ma in un processo di pace è proprio questa la tecnica adeguata, a partire dalla discrepanza, perché è a partire da questa discrepanza che l’équipe di mediazione internazionale propone i nuovi passi da seguire.

 

Ma, ancora una volta, non sappiamo nulla di questo meccanismo di mediazione internazionale, e questa imprecisione ci rende diffidenti fin dall’inizio. Devo chiarire che anche questa non è una situazione insolita. I meccanismi di verifica internazionale dei conflitti agiscono nell’ombra e con discrezione, è necessario che lo facciano per essere efficaci. E si fa così perché le due parti che negoziano le riconoscono piena autorità. Un’ultima indefinizione preoccupante, quindi, è che non sappiamo se, in realtà, il PSOE riconosca o meno questa autorità.

 

Sulla carta la riconosce, è vero. E questo, insieme al cambiamento nella narrazione pubblica apportato dal PSOE sono proprio i valori principali del documento firmato.

 

Perché l’esposizione dispiegata nell’accordo, in quanto condivisa da entrambe le parti, contiene abbastanza nuovi elementi per significare un cambiamento molto radicale nella posizione dei socialisti.

 

I socialisti riconoscono per la prima volta la narrazione indipendentista che colloca il quadro dei rapporti tra Catalogna e Spagna in un conflitto nazionale irrisolto e, negli ultimi anni, in una mancanza di reazione democratica da parte dello Stato, che deve trovare una soluzione e che deve avere una soluzione strettamente politica.

In questo senso sono molti i dettagli disseminati nel documento. Il riferimento ai decreti di “Nova Planta”(**) e all’abolizione forzata delle costituzioni catalane, tanto per cominciare. Un riferimento che non ha nulla di banale o di aneddotico, appunto, perché va alla radice del conflitto e invoca la prima e originaria sovranità della Catalogna. E un riferimento, tra l’altro, che include implicitamente anche la Regione Valenciana e le Isole, perché la “Nova Planta” (Nuovo Impianto) è stato imposto a tutta la nazione catalana (che va oltre la Catalogna intesa come regione amministrativa spagnola).

 

È anche molto significativo che il testo parli senza mezzi termini né dissimulazioni della “distanza tra i nostri progetti nazionali”. E questo, quindi, colloca ciascun partito, implicitamente, in una nazione diversa.

 

E, inoltre, anche se potrebbe essere più chiaro e meglio esposto, resta il riferimento finale al Parlamento della Catalogna come legittimo rappresentante del popolo. Non riconosce, come fa intendere Junts, che solo il popolo della Catalogna avrà l’ultima parola, ma non lo nega, cosa che finora era un tabù nel discorso del PSOE.

 

Comunque sia, il punto più importante del documento, per me, è quando i socialisti riconoscono, d’accordo con Junts, che esiste un conflitto che “soltanto la politica in una democrazia può incanalare per trovare una soluzione dato che, sei anni dopo, la questione sostanziale rimane irrisolta”.

 

Pertanto, qui, il PSOE riconosce che sei anni dopo la proclamazione dell’indipendenza, il conflitto nazionale catalano non solo esiste, ma rimane irrisolto e deve essere risolto.

 

Penso che saremo tutti d’accordo sul fatto che questo non ha nulla a che fare con la retorica della resa dell’indipendenza, della fine del processo e di tutte queste cose che spesso abbiamo sentito dire. Ma, ancora una volta, senza garanzie che nulla di tutto ciò venga preso sul serio dal Partito Socialista spagnolo una volta che Pedro Sánchez tornerà al palazzo della Moncloa.

 

Riassumendo: Questo accordo rappresenta una pietra miliare e ha grandi ambizioni, ma presenta anche il pericolo di mancanza di garanzie tangibili su nulla – in attesa di vedere come funzionerà il meccanismo di verifica internazionale.

 

Sono sicuro che alla fine, come sempre accade, sarà il tempo e l’evoluzione del conflitto a dirci se è stato un successo o un errore, firmarlo. La gente esprimerà il proprio parere, si mobiliterà, e un giorno voterà e deciderà con il voto se tutto ciò ha senso o meno. Tornerà il protagonismo della piazza. E allo stesso tempo, la Spagna entrerà in una grande destabilizzazione – come abbiamo visto chiaramente con l’attacco a Vidal-Quadras e i discorsi golpisti di Feijóo e Abascal – cosa che gioca sempre a favore della Catalogna. La combinazione di tutto questo insieme e i riscontri che gradualmente potremo ottenere -se si tratta di carta straccia o se c’è davvero un cambiamento-, segneranno in modo brutale la politica catalana e spagnola nei prossimi mesi e anni.

 

** I decreti di Nueva Planta (catalano: Decrets de Nova Planta) sono quattro decreti firmati tra il 1707 ed il 1716 dal re di Spagna Filippo V mediante i quali fu cambiata l’organizzazione territoriale dei regni della Corona d’Aragona, che aveva parteggiato per l’arciduca Carlo d’Asburgo e, quindi, contro di lui, durante la guerra di successione spagnola. L’adozione dei decreti:

  1. Il 29 giugno 1707, in seguito alla battaglia di Almansa, vennero promulgati i decreti per i regni di Valenciae dell’Aragona, che abolirono una parte del diritto e delle consuetudini locali valenziano-aragonesi.
  2. Il 13 aprile 1711un secondo decreto istituì di nuovo parzialmente il diritto aragonese, garantendo una nuova organizzazione alla Real Audiencia di Saragozza. Nel caso dell’Aragona l’assimilazione castigliana fu facilitata dal fatto che nella porzione meridionale del territorio la lingua aragonese era già stata assorbita dal castigliano.
  3. Il terzo decreto, del 28 novembre 1715, riguardò Maiorcae le Baleari (tranne Minorca, all’epoca sotto sovranità inglese) e fu frutto di un’impostazione più conciliante.
  4. Il quarto decreto, relativo alla Catalogna, fu promulgato il 16 gennaio 1716. Al territorio che aveva dimostrato più resistenza vennero riservate le condizioni più dure: vennero soppresse tutte le istituzioni politiche catalane (la Generalitat de Catalunyache rappresentava il Governo, le Corts Catalanes che aveva le funzioni di Parlamento e il Consell de Cent). Al viceré venne a sostituirsi un capitano generale e la Catalogna venne suddivisa in corregidurías anziché nelle tradizionali vegueries. Venne inoltre istituito il catasto per imporre gravami sulle proprietà urbane e rurali e la lingua catalana fu privata dello status di lingua ufficiale e sostituita dal castigliano, che fu obbligatoriamente introdotto nelle scuole e negli uffici giudiziari. Vennero pure chiuse le università catalane che avevano appoggiato l’arciduca d’Austria e trasferite a quella di Cervera, che era rimasta fedele a Filippo V. Solo la piccola Val d’Aran sfuggì alla repressione borbonica: poté mantenere il proprio regime politico-amministrativo e non venne aggregata a nessuna nuova corregiduría.

 

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

https://www.vilaweb.cat/noticies/junts-psoe-un-acord-de-pau-mes-que-no-dinvestidura-pero-ple-de-riscos-i-inconcrecions/

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