Il PSOE china la testa, dopo sei anni esatti dall’esilio catalano
Tutto quello che è successo da sabato è una vittoria dell’indipendentismo, con tutti i pro e i contro, che sconfigge il PSOE per la prima volta dal 2017
Vilaweb.cat – Editorial – Vicent Partal – Martedì, 31 Ottobre 2023
Nell’editoriale di ieri vi dicevo che avevo la sensazione che il vento stesse cambiando. Mentro lo scrivevo, ho visto il discorso di Pedro Sánchez in cui rivendicava l’amnistia per i fatti del referendum dell’ottobre 2017, e ne sono ancora più convinto dopo aver saputo dell’incontro formale tra il PSOE e Junts, tra il PSOE e il presidente Puigdemont, ieri nella sede dei parlamentari di Bruxelles.
Più tardi commenterò le parole e cosa potrebbero significare, ma prima vorrei concentrarmi su due eventi, apparentemente aneddotici ma davvero notevoli, di questo incontro.
Il primo. Ieri, proprio ieri, esattamente sei anni fa, il presidente Puigdemont arrivava in esilio a Bruxelles, quel giorno ancora accompagnato dalla maggioranza del governo legittimo della Catalogna. La data dell’incontro, quindi, non è affatto aneddotica.
Perché è un riconoscimento espresso nel linguaggio più prezioso della diplomazia, nei gesti sottili. E perché, per arrivarci, gli esiliati hanno attraversato sei anni di bracio di ferro, superato una repressione feroce, vinto battaglie su battaglie nelle Corti di giustizia europee, resistito all’esilio e, nel caso del presidente Puigdemont, anche al carcere in Germania e in Sardegna. Hanno dovuto sopportare continui insulti, menzogne, angherie mediatiche, disprezzo e sminuimento, ad esempio, da parte dello stesso Pedro Sánchez – che solo pochi giorni fa aveva affermato che Puigdemont era un semplice aneddoto – e del coro mediatico socialista rimasto fermo sul concetto del “fuggitivo”.
Ma ieri il PSOE ha ingoiato il rospo. E questo va sottolineato. Quel PSOE che era andato a braccetto con l’estrema destra nel settembre e ottobre 2017, quel PSOE che ha sostenuto il commissariamento della Regione catalana (mediante l’articolo 155) e la repressione, il carcere, l’esilio e la violenza nelle strade contro la nostra gente. Il rospo è stato ingoiato ieri dal PSOE, che aveva tentato di rapire Puigdemont e Comín durante la celebre apertura del Parlamento europeo a Strasburgo. E poi c’è il secondo dettaglio significativo che volevo spiegare dell’incontro di ieri: Iratxe García che ha mandato giù il boccone in modo particolare.
Vi ricordo la storia, nel caso l’aveste dimenticata. È la fine di dicembre del 2019. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea sancisce l’immunità di Oriol Junqueras come membro del Parlamento europeo e il presidente della Camera, il socialista italiano David Sassoli, decide che anche Puigdemont e Comín possono essere riconosciuti come deputati e che devono ricevere immediatamente le credenziali.
Uno dei giornalisti più riconosciuti a Bruxelles, Jean Quatremer, di Libération, spiegò la scena sorprendente organizzata da Iratxe García quel giorno. García, presidente del gruppo PSOE nel Parlamento europeo, chiese a Sassoli di incontrarla prima della ripresa della sessione plenaria dove lui avrebbe dovuto annunciare che Puigdemont e Comín potevano prendere posto ai loro seggi. Si incontrarono in un’aula del parlamento dove erano presenti molti altri funzionari europei, che poi riferirono i fatti. E quando, dopo qualche minuto di conversazione, vide che Sassoli non cambiava idea, García perse le staffe e cominciò a urlare: “In Spagna non si può fare così! Ti rendi conto di quello che stai per fare?” Presa da una rabbia incontenibile, scrive Quatremer, Iratxe García gettò a terra, ai piedi del presidente del parlamento, le carte che aveva con sé. Il giornalista francese titolava l’articolo: “Gli spagnoli perdono i nervi a Strasburgo“. Una vittoria per gli indipendentisti catalani, aggiunse.
Dunque, questo è il personaggio. E questa è la donna che ieri è dovuta entrare nell’ufficio di Carles Puigdemont e sedersi su un divano, accompagnata dal segretario dell’organizzazione del suo partito, Santos Cerdán, e dal capo della delegazione del PSOE all’Europarlamento, Javier Moreno. Di fronte a lei c’era Jordi Turull, politico che grazie a loro è rimasto in carcere per 1.120 giorni. Su un divano che, per di più, aveva nel campo visivo un’enorme ed epica fotografia del Primo ottobre 2017, che lei stessa aveva voluto censurare tenendosi a braccetto con il partito Ciudadanos, pochi giorni fa durante una mostra a Bruxelles. Pagherei dei soldi per sapere cosa le passava per la testa in quel momento. Dopo anni trascorsi a perseguitare e sminuire i tre eurodeputati di Junts, ora era lì, nel loro ufficio e con la notizia che si diffondeva in Parlamento a macchia d’olio.
In politica, e ancor più in diplomazia, contano i gesti. Le cose si esprimono con i gesti. Ed è in questa linea che va interpretato l’incontro di ieri. Per ora è solo un gesto. Ma soddisfa la prima condizione che Puigdemont ha sempre posto sul tavolo: la Spagna deve riconoscere la legittimità del movimento indipendentista e della sua azione politica durante questo decennio. E deve accettare che il progetto politico dell’indipendentismo, che consiste nel rendere la Catalogna uno stato indipendente sotto forma di repubblica, può essere realizzabile.
E ora arriva la frase chiave del fine settimana.
Per prima cosa bisogna leggere un frammento del discorso del presidente Puigdemont a Bruxelles, quando delineava i paletti del negoziato: “Per ora, nulla suggerisce che la necessità del sostegno parlamentare sia sufficiente per spingere [i principali partiti spagnoli] a un cambiamento storico in cui le vecchie nazioni siano riconosciute e dispongano di tutti i diritti inerenti alla loro condizione. Non lo hanno fatto in situazioni molto più evidenti, con milioni di persone che manifestavano in piazza ogni anno e con più di 2,3 milioni di persone che votavano nel referendum sull’indipendenza del primo di ottobre 2017. Non sembra che debbano farlo adesso semplicemente perché hanno bisogno del voto di sette deputati. Oppure sì? Oppure possono davvero fare di necessità virtù?”
E troviamo la risposta in questo breve estratto dal discorso di Pedro Sánchez di sabato scorso. “Il coraggio a volte si manifesta anche realizzando un detto spagnolo molto semplice e vero: che di necessità bisogna fare virtù.” Chi vuole pensare che l’espressione sia casuale, lo pensi. Ma non lo è.
Altre due considerazioni e finisco. La prima è che siamo un paese che si diletta nella sconfitta e che si fa prendere dal panico quando vince. Non c’è modo di correggere questo. Ed è per questo che tante persone insistono nel dire che è tutto una trappola, che ci inganneranno ancora, che questa è una truffa, ecc. Sono completamente in disaccordo. Al momento, tutto quello che è successo da sabato è una vittoria, con tutti i crismi, dell’indipendentismo, che piega il PSOE – e addirittura il PP, di cui un giorno si dovrà parlare anche sulle sorprendenti parole di Feijóo sul presidente Puigdemont …
Ci sono voluti sei anni per arrivare a questo punto perché i socialisti spagnoli hanno sempre creduto che la repressione e la violenza avrebbero risolto “il problema”. E per convincerli che ciò non accadrà è stato necessario l’impegno di tantissime persone, a cominciare da chi non ha mai mollato in nessuna mobilitazione, ma anche da chi ha votato ancora a favore dell’indipendenza nonostante tutti questi anni di disperazione e di rinunce. Sprecare ora tutti questi sforzi per la paura viscerale e il pessimismo atavico mi sembra poco saggio.
Soprattutto perché non sappiamo ancora di cosa stanno trattando. Non sappiamo nemmeno se ci sarà o meno un’investitura. Veniamo da sei anni in cui, sostanzialmente ERC (sinistra catalana) ma, anche a volte Junts, hanno detto sì a tutto e non hanno ottenuto nulla. La diffidenza è normale, quindi. Ma ora il testimone è nelle mani di Puigdemont, come ha riconosciuto ora il PSOE a Bruxelles. Pochi giorni fa vi ho detto che i socialisti cercavano di trascinare Puigdemont in una trappola ed è chiaro che il pericolo è ancora lì. L’amnistia può essere un modo per esercitare pressione personale affinché dica di sì in cambio di nulla. Ma il fatto è che da sabato è il PSOE a cadere sorprendentemente nella trappola, assumendosi ora tutta la responsabilità di raggiungere un possibile accordo.
Non sappiamo cosa farà Puigdemont. Non sappiamo se riuscirà a ottenere da questo negoziato il “cambiamento storico” a cui si riferiva nel suo discorso. Non sappiamo se riuscirà a piegare il PSOE abbastanza da costringerlo a riconoscere che in Catalogna esiste un conflitto politico che deriva dalla volontà della popolazione catalana di diventare uno stato indipendente. Non sappiamo se riuscirà a far sì che il PSOE, e il governo spagnolo, riconoscano e accettino che la via giudiziaria e penale non è tollerabile e che è necessario trovare una via politica dove loro potranno difendere l’unità della Spagna ma dove non potranno ostacolare in alcun modo la volontà della maggioranza dei catalani. Ma lo vedremo tra qualche giorno o settimana. Vedremo se il PSOE accetterà cambiamenti davvero sostanziali prima dell’investitura, come sarebbe in particolare, la nomina di un mediatore internazionale. Oppure se c’è il rischio di dover indire nuove elezioni.
Stanno arrivando giorni e settimane eccezionali. Perché il vento sta cambiando.
* traduzione Àngels Fita – AncItalia
https://www.vilaweb.cat/noticies/i-el-psoe-acota-el-cap-als-sis-anys-justos-de-lexili/