Per un serio programma indipendentista

Per un serio programma indipendentista

 

Quim Torra  – Vilaweb.cat  –  09.03.2023

 

  • Dobbiamo dare per scontata la repressione, se vogliamo l’indipendenza. E agire con più forza ed energia ad ogni colpo repressivo

 

Capisco e condivido la voce di quelli che ritengono che siamo impantanati e che abbiamo indietreggiato piuttosto che andare avanti. Il picco di ottobre 2017 ci ha lasciato con un movimento indipendentista in decomposizione per motivi diversi e complementari. La fragilità di un indipendentismo istituzionale troppo attenta allo specchietto retrovisore, la forza repressiva di uno stato spagnolo per nulla democratico, la quantità non trascurabile di leader indipendentisti in attesa di aprire una trattativa con il governo spagnolo invece di portare a termine l’indipendenza, l’eccesso di fiducia della piazza nel operato delle istituzioni, la trappola del 155 con un’elezione come esca per scatenare la battaglia tra i partiti, l’errore di non spostare in esilio l’intero governo facendolo diventare il governo provvisorio della Repubblica, il ricatto del processo giudiziario contro i leader imprigionati… Potremmo impiegare molto tempo ad elencare le ragioni del crollo e della battuta d’arresto seguiti al grande momento del 1° ottobre. Ma ora occorre ricostruire le basi per una nuova spinta che possa essere quella definitiva.

In via preliminare, credo sia onesto affermare che l’unica via che conduce all’indipendenza è la rottura democratica unilaterale. Già nel 2015 – quando fu creata la coalizione “Junts pel Sí” e nella “road map” fondazionale indicava diciotto mesi per una dichiarazione unilaterale di indipendenza – eravamo giunti alla conclusione (avevamo tanti motivi ​​dopo secoli di vedere i denti dell’avversario) che non esisteva un percorso concordato per l’indipendenza. Non c’è negoziazione o dialogo che possa portare all’autodeterminazione. E questo lo sanno bene coloro che ora – non si sa perché – difendono il contrario. L’indipendenza sarà il risultato di un processo democratico e pacifico, ma di determinazione e resistenza unilaterale, dirompente e popolare. La Spagna non negozierà mai nulla che possa mettere in pericolo la gallina dalle uova d’oro o, in altre parole, la sua sostenibilità economica. Questa costatazione non è nuova, ma sembra che ci sia una parte dell’indipendentismo che ci costringe a ricordare le cose più elementari.

Si potrebbe contraddire questa idea con quella litania che alcuni interessati hanno cercato di inserire nell’immaginario collettivo del fallimento della via unilaterale. Ma, naturalmente, le prove smascherano questa strategia rinunciataria. Una delle prove più evidenti è che la via unilaterale non può essere fallita in quanto non è mai stata messa in pratica. Ricordiamo tutti – o dovremmo ricordare – che a ottobre 17 ciò che non fu deciso è proprio l’unilateralità; ovvero l’esecuzione e la difesa nelle piazze e nelle istituzioni dell’esito del referendum sull’indipendenza. La via unilaterale deve ancora essere messa alla prova, e dovete convenire con me che, data la colossale truffa del tavolo di dialogo, si tratta di una via che dovremo esplorare ben presto. Quando qualcuno ci chiede qual è il nostro piano alternativo al dialogo (per dargli un nome) con lo stato spagnolo, dovremmo rispondere che è quello che non abbiamo completato, l’unico realistico e possibile. Il vero pragmatismo indipendentista, il buon senso indipendentista, è prendere la strada della rottura unilaterale. Qualsiasi altra opzione è sfogo e sogno oppure, direttamente, inganno.

Un altro ostacolo che ora potremmo mettere sul tavolo è quello della famosa unità dell’indipendentismo. Sebbene sia vero che una voce unica dell’indipendentismo semplificherebbe le cose, il fatto vero è che non fu l’unità a permetterci di arrivare a quel 1° ottobre. Oserei dire che forse è stata proprio la mancanza di unità a favorirlo. Si produsse una situazione in cui le tre sigle istituzionali dell’indipendentismo (gli spazi di Junts, Esquerra e CUP) si controllavano a vicenda in un quadro di costante diffidenza. Era questa diffidenza, questo guardarsi l’un l’altro per vedere chi sarebbe stato il primo a fare marcia indietro di fronte ai rischi che si dovevano correre, che tutti andavano avanti grazie alla forza motrice dei cittadini organizzati in piazza. Questa disunione funzionò come una sorta di competizione in cui nessuno voleva essere il primo a scendere dal treno o tentare di rallentarlo. Molto più importante dell’unità dei partiti è la leadership delle proposte o la forza delle idee centrali insieme alla determinazione delle persone organizzate al di fuori dei partiti.

Il processo di indipendenza, oltre alla forza di mobilitazione e alla concretezza democratica (voti alle urne), richiede un punto di arrivo istituzionale. La volontà democratica deve diventare una realtà giuridica (una nuova legalità) e istituzionale (un’amministrazione repubblicana). Ed è qui che abbiamo rallentato a ottobre del 17 e dove io non ho visto la volontà o la disposizione della maggioranza indipendentista – dopo i risultati dalle elezioni indette dal 155 – per portare a termine l’opera. La creazione del Dibattito Costituente con a capo Lluís Llach (nuova legalità) e la costituzione del Consiglio della Repubblica ed un’assemblea eletta con al timone il presidente Carles Puigdemont (nuova amministrazione repubblicana) sono state le due vie di accesso a questa istituzionalizzazione del mandato referendario. Ma non ho trovato la complicità che mi aspettavo dalla maggior parte dei miei compagni di viaggio per correre tutti i rischi necessari per farlo.

Ed è qui che entra in gioco un altro dei vettori che spiega perché andiamo avanti, ci blocchiamo o, purtroppo, torniamo indietro. Cosa fa più paura ai politici che si assumono la responsabilità di guidare il processo? Cosa temono di più: il voto dei cittadini o la giunta elettorale, il pubblico ministero e i tribunali? Prima di ottobre 2017, l’ondata popolare di mobilitazione costringeva i partiti a muovere le pedine e prendere decisioni. Abbiamo frasi che sono passate alla storia: “Presidente, metta le urne”, per esempio. La creazione di Junts pel Sí (con Convergencia ed Esquerra nella stessa lista!) non può essere spiegata senza la pressione delle entità sovraniste e le mobilitazioni di massa. Oggi, le azioni degli apparati del potere dello stato spagnolo hanno un effetto molto profondo sui politici indipendentisti. In alcuni casi, un effetto paralizzante. E tutti sappiamo che la repressione dovrebbe essere usata politicamente per dare ancora più forza e più rilievo internazionale alla lotta per la libertà. Dobbiamo dare per scontata la repressione, se vogliamo l’indipendenza. E agire con più forza ed energia ad ogni colpo repressivo. Maggiore è la repressione, maggiore è il progresso indipendentista. Ed è per questo che dobbiamo tornare a un ciclo di mobilitazione dei cittadini che metta la politica istituzionale nella suddetta dicotomia: chi può tirarmi fuori dal posto che occupo, il potere del popolo o la repressione dello stato spagnolo?

E mi sembra che, tra i sostenitori dell’indipendenza, dobbiamo concordare che uno dei principali problemi oggi è la mancanza di credibilità. Serve un rinnovamento di volti e una nuova leadership. Non perché debbano essere nuovi, ma perché devono acquisire credibilità e, quindi, agire in modo coerente e conseguente con le proposte che fanno.

Tutto sommato, in conclusione, penso che i cittadini debbano avere la possibilità di fidarsi di una politica istituzionale che faccia proprie queste idee:

Primo. L’unilateralismo è l’unica via realistica.

Secondo. La via della rottura democratica non è fallita perché non è mai stata messa in pratica.

Terzo. La leadership delle idee e la mobilitazione è più importante dell’unità, che ne è una conseguenza.

Quarto. La repressione deve essere usata a favore dell’indipendenza, non per rallentarla.

Quinto. Abbiamo bisogno di una formulazione istituzionale, elettorale e politica che canalizzi queste idee.

Sesto. Soprattutto, questa strategia deve essere guidata da persone credibili.

Settimo. L’incontro di questo indipendentismo di rottura deve avvenire attorno a un programma e non a dei nomi specifici. Questo spazio deve avere la generosità di abbracciare tutti coloro che si impegnano in questo programma.

Ottavo. L’obiettivo deve essere quello di recuperare la leadership di tutto l’indipendentismo. Se c’è un indipendentismo che si accomoda nell’autonomia, va denunciato. La soluzione è il recupero dell’idea che ci portò più lontano che mai e finire il lavoro.

 

Gli “unilateralisti” – che nel 2015 totalizzarono due milioni di voti, confermati il ​​1° ottobre – devono saper guidare la storia, la speranza e il confronto. E devono combattere il nuovo autonomismo camuffato da indipendentismo (autodefinito pragmatico) che ci porta al nulla, cioè, alla consueta gestione autonomistica. Dobbiamo tornare sul sentiero che non avremmo mai dovuto abbandonare. E bisogna essere coerenti, in piazza, nelle urne e nelle istituzioni.

 Quim Torra i Pla

131° presidente della Generalitat di Catalogna

 

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

 

https://www.vilaweb.cat/noticies/programa-independentista-debo-quim-torra/

 

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