Scandalo Pegasus, dove eravamo rimasti?
L’Unione Europea chiude ancora una volta gli occhi di fronte ai soprusi di Madrid
L’Unione Europea ha avuto fin dalla sua nascita un rapporto controverso con il concetto di democrazia. Nata nell’immediato dopoguerra con l’obiettivo di favorire il benessere e il progresso del Vecchio Continente, l’UE ha ben presto assunto un ruolo sempre più fondamentale nell’amministrazione interna degli stati membri, diventando un elemento condizionante, e in alcune circostanze determinante, nella vita della popolazione. Chi però si aspettava un aumento delle libertà individuali dopo uno dei periodi più bui della storia dell’umanità ne è rimasto quasi subito deluso, constatando, al contrario, un vistoso scollamento tra le istanze del popolo e gli interessi delle istituzioni. Decenni d’iniquità e disparità di trattamento hanno senza dubbio vaccinato gli ormai pochi idealisti della politica rimasti in giro, che mai hanno potuto contare sull’appoggio dell’Unione Europea quando si è trattato di schierarsi al fianco del più debole. La Catalogna, terra in attesa della sua vittoria, troppe volte si è vista chiudere le porte in faccia quando ha necessitato di salvaguardare le idee, e in talune occasioni anche la vita, dei propri figli. Non eravamo tutti cittadini europei? Spesso si parla di costruire un’Europa a due velocità, a dire il vero sarebbe più impellente, benché più difficile, smantellare questa Europa dalla doppia morale, dura con gli indifesi e indifesa con i duri. Tante sono state, in particolare negli ultimi dieci anni, le critiche mosse da destra a sinistra, dal Portogallo alla Slovenia, nei confronti dell’Europa intesa come istituzione, estremamente fragile nel tutelare i deboli. Un copione che si è tristemente ripetuto anche in occasione del divampare dello scandalo Pegasus, un Watergate in salsa europea che ha visto coinvolti numerosi governi degli stati membri dell’UE, colpevoli di aver spiato, con un malware progettato inizialmente per contrastare il proliferare del terrorismo, giornalisti, dissidenti e oppositori politici. Una pratica iniziata anche in Spagna dall’esecutivo guidato da Mariano Rajoy, che per primo a partire dal 2017 ha dato il via allo spionaggio di diversi leader politici catalani. Una tradizione che non si è esaurita con la caduta del governo Rajoy, essendo proseguita anche negli anni seguenti, che hanno visto avvicendarsi alla Moncloa il segretario del PSOE Pedro Sanchez. Una situazione analoga si è verificata anche qualche chilometro più a oriente, precisamente in Polonia, nazione amministrata dal governo conservatore di Mateusz Morawiecki, accusato di aver sorvegliato per lungo tempo magistrati e membri della minoranza. Una condotta senz’altro inappropriata, ma non dissimile da quella tenuta nell’ultimo lustro da Madrid, che non ha mai lesinato di utilizzare qualsiasi mezzo, sia legale che non, per limitare, e in certi casi annullare, la sovranità popolare. Fa dunque riflettere che l’Unione, in un insolito slancio di solerzia, abbia deciso di mettere sotto osservazione la Polonia per le oscure vicende dello scandalo Pegasus, dimenticandosi però di riservare lo stesso processo anche a paesi, come la Spagna, che non hanno risparmiato di macchiarsi delle stesse illegittime azioni compiute da Varsavia. Viene dunque naturale domandarsi il perché di una tale ambiguità di atteggiamenti da parte di Bruxelles, che oltre alla Polonia ha messo sotto la lente d’ingrandimento per lo stesso affare anche la Grecia, notoriamente non nelle grazie dell’Unione, evitando però di fare luce sulle consistenti e comprovate violazioni dei diritti fondamentali da parte di Madrid nei confronti di varie personalità politiche catalane quali Carles Puigdemont, Quim Torra, Pere Aragonès, Diana Riba. È purtroppo ancora molto lontano il giorno in cui la giustizia e l’equità trionferanno sulla doppia morale di un’istituzione che, seppur si dipinga come baluardo della democrazia nel mondo occidentale, continua a trattare come cittadini di seconda serie i catalani e tutti coloro che lottano per l’autodeterminazione della propria terra.
Andrea Papaccio Napoletano