Apologia del 27 ottobre 2017

Apologia del 27 ottobre 2017

 

In Catalogna, che gli analisti politici lo vogliano o meno, gli effetti di quella dichiarazione sono oggi decisivi in ​​termini politici

 

Il presidente Carles Puigdemont e il vicepresidente Oriol Junqueras si rivolgono alla popolazione del parlamento dopo la proclamazione dell’indipendenza (foto: Albert Salamé).

 

 

Vicent Partal   –VilaWeb.cat–  23.10.2022

 

Il 27 ottobre saranno cinque anni dalla sessione del Parlamento della Catalogna in cui è stata proclamata l’indipendenza.

 

Data la deludente situazione politica odierna, posso capire che poche persone siano disposte a celebrare o commemora alcunché. Si può infatti notare che, così come il 1° ottobre è sempre stato motivo di commemorazione, il 27 ottobre, invece, non è stato praticamente rivendicato da nessuno in questi cinque anni. Probabilmente perché ci arrivammo in pessime condizioni e capitarono troppe cose brutte e ancora non completamente spiegate che lo fanno sembrare una bufala – questo giornale ha pubblicato una serie di interviste ai parlamentari indipendenti di Junts pel Sí che ci fanno capire fino a che punto furono esclusi dalle decisioni finali. Chiunque lo desideri può continuare a litigare e accusare su chi fece cosa o può piangere per l’occasione persa. Ma, se mi permettete, io voglio farne una apologia e la farò guardando al futuro.

 

Innanzitutto perché c’è un fatto giuridico fondamentale che non abbiamo il diritto di dimenticare: il Parlamento della Catalogna ha ufficialmente e legalmente proclamato l’indipendenza ed è una dichiarazione che non può essere contestata nel quadro giuridico spagnolo. Dico che non può essere contestata nel quadro giuridico spagnolo e lo dico in termini di diritto internazionale perché dimostra che qualsiasi dichiarazione di indipendenza crea un nuovo quadro giuridico contro il quale il quadro precedente non può fare nulla. Ora, un’altra cosa è che il quadro precedente, attraverso la coercizione e la violenza, impedisca il dispiegamento della decisione presa, come è avvenuto. Lo riconosce anche la società internazionale quando fa notare che un processo di indipendenza è soprattutto un fatto imposto, un fatto compiuto. Può sembrare contraddittorio, ma non lo è. Giuridicamente si proclama l’indipendenza, ma di fatto non esiste.

 

Mi direte: e a cosa serve questo, nella situazione in cui ci troviamo? Ne parlerò più avanti ma se siete tra quelli che pensate che la storia è finita, che i catalani siamo degli incapaci e che la Catalogna sarà per sempre una provincia spagnola, non c’è bisogno che proseguite la lettura.  Comprendo perfettamente che non potete dare importanza alla validità di una norma giuridica che, secondo quanto pensate, non potrà mai essere resa effettiva, quindi non vale la pena continuare a perdere tempo. Non leggete più.

Il presidente Puigdemont nel momento del voto

Ora, se considerate che il conflitto tra la Catalogna e la Spagna è vivo e non è stato risolto, che molte cose devono ancora accadere e possono accadere, allora vi dirò che l’importanza di ciò che è accaduto il 27 ottobre 2017 è fondamentale, è il centro di tutto. Ancor di più del 1° ottobre.

 

 

In primo luogo perché quando ci sarà un nuovo assalto, di qualunque tipo esso sia con una vera e propria disputa di potere in Spagna, l’artefatto giuridico che legittima tutto è la dichiarazione di indipendenza del 10 di ottobre, votata il 27. Potremo fare tutto secondo la legalità internazionale – o, per lo meno, può essere fatto senza contrariare la legalità internazionale –  perché in quel giorno la Catalogna “mise a conoscenza” della società internazionale la costituzione della “Repubblica catalana, come stato indipendente e sovrano, di diritto, democratico e sociale”.

 

Ma, nel nostro caso, il valore materiale di quanto fatto il 27 ottobre 2017 non è solo un’aspirazione astratta di futuro, perché bisogna riconoscere che in Catalogna (che gli analisti politici lo vogliano vedere o no) gli effetti di tale dichiarazione sono oggi decisivi in ​​termini politici.

 

Lo furono, infatti, dal giorno successivo, quando una parte degli esiliati basava la propria decisione e la propria scelta politica sul fatto che, avendo proclamato l’indipedenza ore prima, non potevano più riconoscere alla Spagna il diritto di giudicarli. Ancora una volta tutte le cose brutte e strane che sono successe quel giorno, rendono molto difficile parlarne con equanimità e serenità, ma il fatto, in ogni caso, è indiscutibile. Dopo il 27 ottobre 2017, la sorpresa non sono quelli che decidono in poche ore che la proclamazione dell’indipendenza non ha valore reale e accettano il potere delle autorità spagnole su di loro – come era sempre successo nella storia moderna della Catalogna. No, la sorpresa è che, per la prima volta, ci sono alcuni politici che non riconoscono l’autorità spagnola su di sé e sul paese, e mettono in pratica questa decisione. Proprio perché il 27 ottobre è esistito. E questo cambiamento storico, attenzione, ha ripercussioni politiche quotidiane. Ad esempio, il modo diverso – ormai libero e del tutto irrispettoso nei confronti della legalità spagnola – con cui una parte della popolazione reagisce nel 2019 rispetto a quanto ha fatto nel 2017. All’aeroporto, nella piazza Urquinaona, nelle marce, nel blocco nella frontiera francese… Ma anche in aspetti così decisivi della politica tradizionale come la recente rottura del governo autonomo.

 

occupazione dell’aeroporto

È possibile che alcuni di voi pensino che siano già trascorsi cinque anni, che sia un tempo lungo e che ogni chiarimento per rendere effettiva l’indipendenza dovrebbe essere già stato fatto. Sono apertamente in disaccordo. La lotta per la libertà dei prigionieri politici e la pandemia sono circostanze che hanno rallentato questo chiarimento perché non hanno permesso al Paese di pensare a mente lucida. E il fatto che in tutti i partiti, almeno nel primo momento, ci siano persone che la pensano in un modo (arrendersi) o nell’altro (proseguire la lotta) ha reso tutto molto complicato e lo complica tuttora. Tanto che mi sembra che solo adesso le coordinate mentali di chi ha scelto di arrendersi ai tribunali spagnoli iniziano a divergere in modo esplosivo. Le opinioni provocatorie e oltraggiose espresse in questo fine settimana da politici come Carles Campuzano o Quim Nadal nei confronti della maggioranza degli indipendentisti, ad esempio, indicano dove si sta dirigendo il governo della nostra regione, ed è proprio per questo che sono stati messi lì entrambi.

 

Dopo il 27 ottobre 2017, il presidente Carles Puigdemont e il vicepresidente Oriol Junqueras hanno incarnato questi due atteggiamenti non solo da un punto di vista personale ma soprattutto da un punto di vista politico. Uno, rifiutando l’autorità della Spagna, e l’altro, riconoscendola e accettandola. Ed è da qui che viene tutto ciò che viviamo oggi.

 

Cinque anni dopo, c’è chi dice che abbiamo bisogno di volti nuovi e di voltare pagina, ma la realtà, la verità che vale la pena di spiegare, è che Junqueras e Puigdemont continuano ad essere i principali protagonisti della nostra vita politica. Uno, guidando la sinistra e influenzando in modo decisivo il governo autonomo; l’altro, combattendo e sconfiggendo la Spagna in una battaglia giudiziaria europea dal ritmo esasperante, piuttosto che lasciarsi coinvolgere dalla vita quotidiana. Eppure, mantiene un’ascendente così netto che, per fare un esempio, con un semplice retweet sembra aver avuto un’influenza decisiva quando le basi del suo partito Junts hanno votato per lasciare il governo autonomo e rompere la coalizione.

 

Di conseguenza, che Oriol Junqueras e coloro che la pensano come lui – anche quelli che la pensano come lui in Junts o nella CUP – non vogliano sapere nulla del 27 ottobre 2017, è più che coerente. Non ne faranno un orgoglio, né hanno alcun motivo, incentivo o motivo per farlo.

 

Rispetto a tutti gli altri – che abbiano o meno Puigdemont come riferimento– la proclamazione di indipendenza raggiunta il 27 ottobre 2017 è il faro che, consapevolmente o meno, li guida. È il motivo per cui affrontano personalmente la Spagna come un paese straniero, senza alcuna affiliazione personale o emotiva positiva che li avvicini ad essa.

 

Ed è proprio per questo che oggi ne faccio apologia, essendo ben consapevole dell’eccezionalità di questo giornale VilaWeb nell’attuale panorama giornalistico catalano, e sentendo il peso e la responsabilità che ciò implica. Con piena consapevolezza.

 

 

 

Ps. Ho spiegato tante volte alcuni precedenti che non credo sia necessario insistere, ma insisterò comunque. L’Estonia, ad esempio, dichiarò l’indipendenza il 16 novembre 1988, ma non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale fino a quando non è stata riconosciuta dall’URSS il 6 settembre 1991. È uno dei tanti esempi in cui una dichiarazione di indipendenza giuridica non diventa fattuale per anni. Oggi, questo dettaglio non significa così tanto nulla per gli estoni, perché sono completamente indipendenti e la Estonia ha ufficialmente la sua data di indipendenza il 24 febbraio 1918, la data della sua prima indipendenza. In un esercizio inverso a quello che ci accade, lì i decenni di occupazione sovietica del Paese sono completamente scomparsi, come se non si fossero mai materializzati, così come ora qui sembra che l’indipendenza del 2017 non si sia concretizzata. Ma il fatto significativo è che l’URSS ha riconosciuto l’indipendenza dell’Estonia nel 1991 sulla base dell’invocazione da parte dei suoi dirigenti proprio della legalità creata nel 1988 contro la stessa URSS, sebbene non fu mai pubblicata ufficialmente. A quel tempo si diceva che la dichiarazione di indipendenza era un “fatto giuridico dormiente” e che quindi solo il fatto di svegliarla l’attivava.

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

https://www.vilaweb.cat/noticies/apologia-del-27-doctubre-del-2017/

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