La domanda retorica della ministro Robles

Ha detto: e cosa poteva fare la Spagna?

 

La domanda retorica della ministro Robles ha una risposta semplice: avrebbe potuto fare come la maggior parte degli stati del mondo.

 

Margarita Robles visitant una unitat militar (fotografia: J. J. Guillén)

 

Vicent Partal -editoriale- Vilaweb.cat – 27.04.2022

 

Per giustificare lo spionaggio contro la classe politica indipendentista catalana (Catalangate), la ministra spagnola della Difesa e responsabile dei servizi segreti, Margarita Robles, ieri si domandava cosa avrebbe dovuto fare la Spagna dopo un referendum di autodeterminazione in Catalogna e la conseguente dichiarazione di indipendenza.

Ebbene, dunque, semplicemente avrebbe potuto fare come il governo sudanese, che nel 2005 firmò gli accordi di Naivasha, dove riconobbe le aspirazioni sovrane del Sudan del Sud e aprì le porte al referendum del 2011.

Oppure avrebbe potuto fare come il governo dell’Etiopia, che accettò che una delegazione dell’ONU controllasse il referendum del 1993, con il quale Eritrea divenne uno stato indipendente.

Avrebbe anche potuto fare un patto internazionale come quello che portò la Namibia a redigere una costituzione che ratificò la propria indipendenza dal Sudafrica nel 1990.

O avrebbe potuto fare come la Francia, che organizzò tre referendum di autodeterminazione a Djibouti per gestire il processo di indipendenza, come fa ora con la Nuova Caledonia.

Avrebbe anche potuto approfittare l’occasione per rifare il proprio stato, come fece il Regno Unito nel 1980, quando garantiva l’indipendenza di Antigua e Barbuda, mentre riformulava l’antica federazione delle Indie Orientali.

Avrebbe potuto convocare elezioni con la promessa di rispettare la volontà dei cittadini in caso gli elettori avessero deciso di votare per l’indipendenza, e subito dopo aprire un processo di negoziazione come quello di Timor Orientale nel 2001.

Oppure avrebbe potuto riconoscere al Parlamento della Catalogna la capacità costituzionale come fece l’URSS con la Armenia, che redasse una costituzione, come passaggio previo all’indipendenza.

Addirittura avrebbe potuto proporre una indipendenza “di transito” come quella del Montenegro, che nel 1992 creò l’Unione Statale di Serbia e Montenegro, previa alla indipendenza del 2003; o anche come quella dell’Irlanda, con il Free State come passaggio intermedio tra il 1922 e il 1937.

Avrebbe potuto anche scegliere di dissolvere lo stato spagnolo come fecero la Rep. Ceca e la Slovacchia nel 1993, lasciando che ognuno proseguisse per la propria strada.

O anche, avrebbe potuto ricostruire il proprio progetto in modo intelligente, come fecero i Paesi Bassi nel 1954, quando crearono un Regno dei Paesi Bassi nel quale ci sono quattro paesi completamente indipendenti.

Credo che questo piccolo assaggio, improvvisato e veloce, sia sufficiente. Il mondo è pieno di esempi che indicano come si può reagire in modo costruttivo e sensato (che non vuol dire spensierato), di fronte alla volontà di un popolo di costituire uno stato indipendente. Di fatto, la Spagna sa benissimo che, ogni tanto, è inevitabile perdere dei territori.

Quando sono nato, nel 1960, la Spagna occupava 800.000 chilometri quadri in due continenti e oggi ne occupa soltanto 505.000. E da qui viene che oggi esistano 17 stati indipendenti con i quali la Spagna mantiene rapporti diplomatici generalmente cortesi ma che nacquero come conseguenza di una separazione. Loro sanno già tutto questo.

La ministra Robles, il governo spagnolo e il loro regno avrebbero potuto fare molte cose il primo ottobre del 2017, ma scelsero la strada peggiore: violenza, repressione, serrando le fila, negando la realtà e collocando il mantenimento del proprio “status quo” al di sopra di tutto, sopra la logica, sopra la democrazia, sopra la dignità più elementare.

 

Eppure, alla fine, tutto questo non funzionerà per loro.

 

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

https://www.vilaweb.cat/noticies/que-que-podia-fer-espanya-diu/

 

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