Disponibilità a partecipare a un movimento di disobbedienza civile pacifica degli elettori indipendentisti
Ha attirato fortemente l’attenzione che il sondaggio pubblicato da Catalonia Global Institute abbia misurato che oltre il 70% degli attivisti catalani pro-indipendenza sarebbero disposti a prendere parte alla disobbedienza civile pacifica per ottenere l’indipendenza della Catalogna. In effetti, la percentuale esatta è del 71,3% e la società che ha condotto il sondaggio è GESOP, la ditta di sondaggi demografici con cui El Periódico lavora abitualmente per i sondaggi politici, il che rende lo studio poco inclinead avere simpatie indipendentiste nelle sue conclusioni. Insieme a questa prima considerazione, ve ne sono altre tre che vale la pena sottolineare: supera il 60% in tutte le aree della Catalogna, compresa l’area metropolitana; oltre il 69% in tutte le fasce d’età, avvicinandosi al 77% nella fascia di età compresa tra i 16 ei 29 anni; e il fatto che c’è una differenza di quasi 26 punti tra l’86% degli elettori della CUP che esprime la propria disponibilità a partecipare a un movimento di questa natura e il 60,8% di ERC, e in media il 72,9% di Junts (JxC).
Data la distribuzione tra indipendentisti e non indipendentisti in Catalogna, solitamente considerata in questo tipo di analisi quasi in due metà alla pari, diremmo che l’ appoggio del 71,3% dei sostenitori dell’indipendenza si tradurrebbe di fatto in circa un terzo della società catalana disposta a prendere parte adazioni di disobbedienza civile pacifica,il che si traduce in un numero di possibili volontari per proteste di questo tipo assai elevato. Il fatto che questa sia la prima inchiesta di questo tipo effettuata non permette di valutare la situazione rispetto ad altri momenti recenti per capire se la tanto decantata frase di smobilitazione dell’indipendentismo catalano sia una realtà o sia semplicemente un’ impressione senza fondamenta.
In ogni caso, la conclusione che si può trarre dell’attuale stato di cose e che la smobilitazione in atto èsoprattutto una necessità della dirigenza politica dei partiti che, in un quadro di continua repressione da parte dello Stato, hanno scelto questa strada di fronte della mancanza di un’alternativa coerente, condivisae maggioritaria. La disobbedienza civile potrebbe essere un’opzione e, infatti, c’è chi già pensava a un percorso simile durante gli eventi di ottobre 2017, sebbene fosse stata esclusa, poiché si temeva che la adesione della società catalana sarebbe stata troppo diseguale e questo fatto potrebbe offuscare la risposta se l’azione si dovesse prolungare nel tempo. In effetti, lo Tsunami Democràtic anticipó alcune azioni, come quella all’aeroporto di El Prat, ma si ritiró subito dopo, provocando grande confusione ed enormi danni alla risposta dell’opinione pubblica che stava avvenendo.
Niente è più come nel 2017, a cominciare dalla situazione dei partiti, che predicano una cosa e ne fanno un’altra e sono incapaci di portare a termine ciò che promettono. Il fiasco dell’ex parlamentare Pau Juvillàè stato l’ultimo tentativo fallito di rispondere alla repressione e a una sentenza del tribunale da parte di Esquerra (ERC), Junts (JxC) e CUP, e l’unica cosa che è rimasta sul tavolo è la disputa tra le parti per ribaltare la causa del parlamentare della CUP. Litigando come fanno oggi le tre formazioni, dubito che ci sia modo di concordare una strategia comune, perché oramai sono abituati al confronto permanente, anche se non porta da nessuna parte.
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