Fatelo sapere in Italia, fatelo sapere in Europa, fatelo sapere in Spagna.
Bea Telegón – ElNacional.cat – 3.10.2021
Viviamo in tempi di etichette. Etichettarci l’un l’altro e, in un certo qual modo farlo con noi stessi, sembra essere diventato tendenza. Vegani, vegetariani, onnivori, di sinistra, di destra, apolitici, agnostici, atei, credenti, nazionalisti, sovranisti, indipendentisti, unionisti. Sono tutte etichette. Ed infine, c’è anche l’etichetta di chi non vuole essere etichettato.
Quando t’inscrivi ad un partito politico, di solito è perché hai voglia di partecipare, di imparare, di partecipare ad un progetto che trovi più o meno interessante. Un’altra storia è quando ti sei già unito e inizi a capire che la militanza politica è tutta “un’altra cosa”.
Normalmente cominci a renderti conto che non tutti difendono lo stesso progetto, anzi che a volte non lo capiscono nemmeno, altre volte invece puoi arrivare a vedere nelle tue stesse fila dei “compagni” che sembra si comportino in modo contrario ai valori che dovrebbe difendere il partito in cui militano. Succede ai militanti di base, che sono più smarriti di un gatto in tangenziale, ma a volte succede anche con i dirigenti, che continuano a dare messaggi che non hanno nulla a che vedere con quanto stabilito negli accordi di partito.
Ed un bel giorno finisci per vederti militante in un luogo con cui hai sempre meno in comune. Ed i tuoi amici, conoscenti, ti “etichettano” come se fossi tu in piena comunione con tutto ciò che difendono i volti visibili, i leaders, del partito in cui militi. È una situazione scomoda. Soprattutto fai parte dell’“apparato” del partito (organi vicini alla direzione dell’organizzazione), perché succede lo strano fenomeno di scoprirsi a ripetere come se fosse un mantra quello che si dice dall’alto anche se non si è d’accordo. Per facilitare il tuo compito ti inviano già preparati gli “argomenti” ed i discorsi, così puoi limitarti a ripetere frasi che non capisci ma che ti garantiranno di salvare il posto raggiunto. Purtroppo, succede assai spesso. Si chiama “disciplina di partito”.
Qualcosa del genere è ciò che accade con Carles Puigdemont. Un politico che viene sommariamente incasellato “a destra”, ed altrettanto sommariamente viene ritenuto responsabile dei casi di corruzione del suo vecchio partito già da tempo dissolto.
E naturalmente, per averlo sostenuto – cosa che non nascondo perché difendo la sua visione di democrazia, fair play e coerenza – anch’io vengo sommariamente condannata, rea di “essermi buttata a destra”.
A dire il vero, non m’infastidiscono le critiche, quando chi le solleva non ha molto interesse o voglia di essere onesto. Questo è evidente. Basterebbe scavare un po’ più a fondo per poter capire meglio le cose. Ma siccome sembra una costante, che si ripete di sovente e non capita solo a me, che anche colpisce chiunque si mostri in qualche momento d’accordo con il politico catalano, il “fenomeno” mi incuriosisce.
La stessa cosa successe a Josep Miquel Arenas, in arte Valtònyc. Un giovane rapper condannato ad oltre 3 anni di prigione per i testi delle sue canzoni anti monarchiche, filocomunista, anticapitalista, ha scelto di continuare la sua battaglia legale da esule a Bruxelles insieme a Puigdemont. Ed allora subito viene sommerso d’insulti ed attacchi di persone che lo accusano di essere un “venduto” alla destra. Di nuovo tutta gente che non sa o non vuole sapere nulla. Però sempre pronta a mettere etichette che, oltretutto, sono assolutamente sbagliate.
Puigdemont è di destra? Questa è la domanda. Ebbene, guarda un po’ tu, la risposta è NO. Quantomeno non ha nulla a che vedere con la destra spagnola. Perché la destra spagnola è nella linea successoria diretta dell’eredità fascista, del regime franchista, con tratti totalitari. Erede di una dittatura arrivata al potere con un colpo di stato militare saldatosi con decine di migliaia di morti e scomparsi e che si è mantenuta saldamente al comando grazie alla persecuzione delle idee politiche contrarie ed alla repressione assoluta della dissidenza. Questo è il vero volto della destra spagnola.
È vero che almeno una parte abbia fatto degli sforzi per assomigliare ad una “destra europea”, ma non ha nulla a che fare con tutto questo. Facilmente, visto da fuori, si confonde Il neoliberismo con la destra spagnola, ma sono due cavalli differenti, anche se bevono nello stesso stagno. In Spagna ci sono stati tentativi da parte di alcuni partiti liberali, ma non sono riusciti ad arrivare in porto, perché hanno finito per cadere a faccia in giù nella pozzanghera degli eredi del regime franchista.
Non è ancora arrivata una formazione di stampo chiaramente liberale in politica economica e sociale, ambientalista e femminista. Bene, adesso sicuramente mi direte che tutto questo è più o meno quello che incarna oggi il PSOE. E magari potreste anche avere ragione. In effetti, il fallimento del PSOE secondo me è l’avere scelto di auto etichettarsi di sinistra, quando non succederebbe nulla se invece si definisse una volta per tutte così come nella pratica dimostra di essere: una forza liberale europea. E non sarebbe un dramma. Senza complessi. Ma in questo caso dovrebbero essere contundenti con la monarchia. E a ciò che si vede, sembrano poco disposti a svegliare il can che dorme. Quindi tecnicamente sono un partito prevalentemente conservatore anche se i loro statuti affermano tutta un’altra cosa.
In fin dei conti, sono i fatti a segnare la collocazione ideologica.
Il fatto che una persona creda nella Giustizia Universale, nello Stato di diritto basato su principi democratici; il fatto che difenda i Diritti Umani fino alle ultime conseguenze; il fatto che appelli alla democrazia partecipativa; il fatto che una persona si sieda per dialogare con chiunque, con l’unico requisito invalicabile del rispetto dei Diritti Umani; Chi si impegna per la cultura, per le pari opportunità, per i diritti delle donne, per l’integrazione interculturale, non può essere “di destra”. Qualcuno antimonarchico, non può essere bollato come conservatore neanche in Spagna.
D’altra parte, chi crede che lo stato di diritto sia al di sopra la democrazia; non rispetta i Diritti Umani; perseguita la dissidenza politica; giudica e sottomette chi è omosessuale, o considera di una razza diversa dalla sua; rifiuta di dialogare con qualcuno che la pensa diversamente -anche se rispetta i Diritti Umani-; un classista, o che difende la figura della monarchia in Spagna, non può essere considerato un “democratico”.
Ebbene, domani Vox (il partito spagnolo d’estrema destra che ricevette gli effusivi pubblici complimenti per i buoni risultati la stessa notte elettorale niente meno che da Salvini e Le Pen) andrà in Sardegna. In un comunicato che hanno scritto non appena si è saputo che il TGUE ha ricevuto la richiesta di misure cautelari dall’avvocato del presidente Puigdemont, hanno detto: “Lunedì prossimo, 4 ottobre, la vicesegretaria per gli affari legali di VOX, Marta Castro, offrirà ai media una conferenza stampa dopo l’udienza per decidere sul mandato d’arresto europeo emesso dalla Corte Suprema spagnola nei confronti di Puigdemont. Marta Castro si recherà, insieme ad un gruppo di legali italiani, alla Corte di Giustizia di Sassari (Sardegna) per intervenire nell’udienza che deciderà l’estradizione di Puigdemont”.
In altre parole, l’estrema destra, che è quella che rappresentò l’accusa popolare nel processo ai dirigenti politici catalani per i fatti del 2017, è la stessa che andrà in Italia per dire al giudice di consegnare Puigdemont alla Spagna. Coloro che videro ribellione e golpe in una consulta popolare. Quelli che inneggiano al re e non si ribellano davanti agli indizi del suo possibile coinvolgimento in casi di corruzione. Coloro che vorrebbero cacciare gli immigranti minori d’età non accompagnati. Quelli che mettono in un angolo il femminismo. Quelli che lodano un dittatore fascista, come Franco. Questi sono coloro che domani andranno davanti alla giustizia italiana per far capire all’Europa chi sono quelli che “perseguitano” Puigdemont.
La sua sola presenza pone di manifesto ciò che la Svizzera ha già sottolineato quando ha respinto l’estradizione di Puigdemont la seconda volta: che viene perseguitato per motivi politici.
Domani, se qualcuno avesse ancora dei dubbi su ciò che sta accadendo in Spagna, lo potrà vedere molto chiaramente. Soprattutto la sinistra italiana, che eppure sa cos’è stato il fascismo in Italia. La foto sarà meravigliosa, soprattutto per coloro che hanno creduto al messaggio che “Puigdemont è di destra”.
Puigdemont, secondo me, ha dimostrato di essere una persona contraria al settarismo. Con il desiderio di aggiungere alla sua causa tutte quelle persone accomunate dalla difesa della democrazia, dei diritti umani, della giustizia basata sui principi democratici, che partecipano, si esprimono. Nessuno può accusarlo di finanziare con fondi pubblici il terrorismo di Stato o organizzare una trama di corruzione sistematica (il PSOE ed il PP non possono dire altrettanto). È stato presidente della Catalogna, e ne è uscito senza alcun tipo di scandalo che gli si possa addebitare. Il suo scandalo è stato quello di “usare le urne” affinché i suoi cittadini si esprimessero. Eppure, è il più perseguitato nella storia degli ultimi 40 anni della “democrazia” spagnola, dove “Mr. X”, o “l’elefante bianco” (riferimento implicito Felipe Gonzalez), o “M. Rajoy” non sono stati mai identificati né perseguitati dalla magistratura spagnola. Vivono tranquilli, trattati come dei re. Perché a nessuno di loro è venuto in mente di chiedere l’opinione diretta dalla gente.
A dire il vero, in un’occasione lo fecero un referendum, e quando gli spagnoli dissero NO alla NATO, fecero esattamente il contrario.
* traduzione Fulvio Capitanio