Diritti linguistici in Friuli e in Catalogna

 

DIRITTI LINGUISTICI IN FRIULI E IN CATALOGNA:

UNA NUOVA EUROPA POSSIBILE

 

 

Conferenza a Udine con la presenza del professor Aureli Argemí, fondatore e presidente emerito del Ciemen di Barcelona

 

ABSTRACT

Si presenta un articolo in lingua catalana e italiana sull’incontro “I diritti linguistici in Europa e in Friuli”, tenutosi a Udine il 7 luglio 2021, alle 17, sotto la Loggia del Lionello.

Presente il professor Aureli Argemí, fondatore e presidente emerito del Ciemen di Barcellona (Centro Internazionale Escarré per le Minoranze Etniche e le Nazioni), direttore della rivista “Europa delle Nazioni”, presidente della sezione catalana dell’Agenzia europea delle lingue minoritarie e membro della rete mondiale, con sede a Bruxelles, per i diritti collettivi dei popoli.

La conferenza è avvenuta nell’ambito del programma di “UdinEstate 2021” e degli incontri “Il Friuli e la geopolitica” organizzati dall’Associazione Historia, in collaborazione con l’Università degli Studi di Udine, il Comune di Udine, l’Ordine degli avvocati di Udine e l’Unione giuristi cattolici di Udine e Gorizia.

Sono intervenuti il sindaco Pietro Fontanini, l’avvocato Guglielmo Cevolin, docente aggregato di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università di Udine e presidente dell’Associazione Historia e il professor Ernesto Liesch dell’Università di Udine.

Ci sono stati inoltre due collegamenti telefonici, uno con l’onorevole Marco Dreosto, parlamentare europeo, e uno con la professoressa Vicenta Tasa Fuser dell’Università di Valencia, cattedra di diritti linguistici.

Ci si sofferma, nell’articolo, sulle idee, poste in atto dall’intervento di Aureli Argemí, riguardo alla tematica dei diritti linguistici, con particolare riferimento alla situazione catalana.

 

 

 

Pietro Fontanini, sindaco di Udine, ha preso la parola, introducendo la conferenza, e ponendo in rilievo l’importanza di tutelare minoranze storiche come quella friulana, ancor oggi vittima di discriminazioni.

È seguito l’intervento di Aureli Argemí, già ospite diverse volte della città. La narrazione delle battaglie fatte per il progresso nell’ambito dei diritti linguistici a partire dalla Seconda Guerra Mondiale, è stata condotta con gran capacità di coinvolgimento del pubblico e, a tratti, con senso dell’umorismo, ed espressa in un italiano pressochè perfetto, quell’italiano che l’Argemí apprese durante gli anni dell’autoesilio a Milano, in epoca franchista. E il Dopoguerra costituisce proprio il momento esatto in cui nasce l’esigenza di fondare la pace sulla base dello sviluppo della democrazia. Eppure tale pace sarebbe dovuta partire dalla consapevolezza della società civile e non dai poteri costituiti. Purtroppo cosí non è accaduto.

L’articolo 2 e l’articolo 26 della “Dichiarazione universale dei diritti umani” sostengono l’importanza di consentire a tutti coloro che parlano lingue minoritarie di poterle praticare nel loro territorio. Fatto che nella pratica non sempre avviene. Basti pensare alla Grecia, dove le lingue minoritarie sono ancora oggi perseguitate. Ma gli esempi potrebbero essere infiniti.

Il catalano, cosí come il friulano, essendo una lingua senza Stato, deve sottostare alle normative europee. Ma non dimentichiamo che lo Stato è una struttura politica, che coordina poteri e non sempre difende e rispetta i diritti individuali e collettivi delle persone. Basti pensare alle frontiere attuali, che dividono anzichè unire i popoli reali. Citiamo il caso dei catalani, divisi da una frontiera statale tra Catalogna e Francia, oppure la questione degli sloveni, divisi da frontiere tra Slovenia, Italia e Austria.

L’Europa futura, dovrebbe invece, a nostro avviso, rispettare la differenza e la pluralità delle persone e dei popoli effettivi, specie quando essi lo richiedono. Il catalano, ancor oggi, non è considerato lingua ufficiale europea pur essendovi uno Stato, Andorra, che presenta il catalano come lingua ufficiale. Il catalano è riconosciuto dalla Costituzione spagnola, certamente, ma non allo stesso livello dello spagnolo. E questo è il punto. Questa è una discriminazione. Si ritiene, invece, che il bilinguismo possa e debba convivere in modo civico e paritario, e gli esempi di questa convivenza positiva e pacifica sono numerosi: il caso Belgio, il caso Cechia e Slovacchia, il caso Svizzera e via discorrendo.

Nella “Dichiarazione universale dei diritti linguistici” si è riconosciuto che i soggetti non sono gli Stati, ma sono le persone e le comunità. Tutti hanno il diritto di imparare la propria lingua e, per quanto riguarda il caso delle lingue minoritarie, tutti hanno il diritto di ritrovare la dignità della propria lingua e cultura in genere, dato che, sovente, tale dignità è stata tolta in modo arbitrario e violento, creando complessi e discriminazioni enormi, dure a sanare. Oggi si parla molto di rispetto dell’ambiente e di ecologia, ma le lingue formano parte dell’ecologia umana e non vanno sottovalutate.

Siamo convinti che il rispetto di tutte le lingue crei pace. Le difficoltà riscontrate per portare avanti la “Dichiarazione dei diritti delle minoranze”, e le numerose porte trovate chiuse, ci fanno capire la forza insita nel grande cambiamento di mentalità espresso in tale documento.

Qualche nota positiva in conclusione: alcuni passi avanti sono stati fatti. La “Dichiarazione sui diritti linguistici” oggi si riflette nella “Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni” del 2007, in alcune nuove Costituzioni dei Paesi dell’America Latina e nell’attuale politica linguistica dell’India.

Un discorso lucido, colto e allo stesso tempo chiaro quello di Aureli Argemí, capace di creare coscienza nella società civile. Un ignorante odia quello che non conosce e quindi bisogna far conoscere alla gente come stanno realmente le cose. Perchè il popolo è intelligente.

Noi vogliamo un’Europa pluriligue che rispetti i diritti di tutti e stiamo lottando perchè i popoli possano dialogare, popoli intesi come gruppi con lingua e tradizione comuni. Un motto che racchiude il senso della forza della nostra battaglia è che non si tratta della lingua che amiamo, ma si tratta della lingua in cui diciamo “ti amo”.

 

STEFANIA BUOSI MONCUNILL

Ricercatrice italo-catalana, è membro del gruppo di ricerca interuniversitario Sciència.cat, dottorato di ricerca su una miscellanea alchemica catalana del XVI secolo presso l’Università di Barcellona in fase di conclusione. Borsista del Science History Institute di Philadelphia in Pennsylvania, USA. Interesse anche per la riflessione sociale, lo studio delle persone e delle minoranze che vedono minacciata la loro identità, con particolare attenzione per il riconoscimento e il rispetto dei diritti individuali e collettivi come modo per progredire verso una pace e una democrazia durature.

 

3 commenti su “Diritti linguistici in Friuli e in Catalogna”

  1. Grazie Stefania e complimenti per la tua brillante e meravigliosa professione. Almeno per me è pleonàstico pensare che l’inclusività di culture, lingue e linguaggi debba essere il fondamento di un’Europa come corpo politico-sociale unico e compatto, nel rispetto delle diversità , valore aggiunto di ogni civiltà degna di questo nome. Le discriminazioni di ogni genere sono intollerabili e pericolose: le guerre mondiali e non solo, avrebbero dovuto insegnarci la giusta direzione mentale nei confronti del “diverso” e delle minoranze. Chi avrebbe potuto studiare le altre “culture” se non ci fosse stato il superamento dell’etnocentriso, in sede antropologica? Purtroppo, ancora , bisogna tenere desta l’attenzione sul rispetto dei diritti umani, perchè è diffusa l’idea acritica della superiorità di una cultura sulle altre. Dobbiamo abituarci all’idea che l’etnocentrismo contribuisce all’adattamento e all’integrazione sociale. Ad esempio forse pochi sanno che il sanscrito, il latino, il greco e le altre lingue imparentate derivano da una proto-lingua comune più antica di tutte, l’indoeuropeo o indogermanico: esse infatti , partendo dalla comune lingua madre, si sono differenziate per ramificazioni successive. Quindi c’è una linea ereditaria fra le lingue, una filiazione che ci deve far dubitare sempre delle apparenze, anche di quelle più clamorose. Non sono una filologa, ma ho sentito impellente la necessità di esprimere la mia opinione, pungolata dall’interesse e dalla bellezza di questo argomento. Grazie, mia stimata e cara amica.. Buona serata.

    1. Grazie Carmen, leggo solo ora il tuo intervento, perdona dunque il mio ritardo nella risposta. Sono d’accordo con te, anche io vedo un’Europa unita da una comune cultura, ma rispettosa dei singoli popoli e delle rispettive lingue. Certo la storia, cosí come la prospettiva etnocentrica – causa di molti fraintendimenti nello studio di culture “altre”-, dovrebbero insegnare, ma invece vediamo che l’allerta sui diritti umani deve restare alta. Ti abbraccio.

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