Agli spagnoli
José Antich – ElNacional.cat – Barcellona. Domenica 30 maggio 2021
Dopo la decisione dei partiti politici spagnoli di reprimere la società catalana nell’ottobre del 2017, arriva ora quello che sembra un enfatico tatticismo del governo del PSOE [il Partito Socialista Spagnolo, ndt]: l’indulto per i nove leader [processati nel 2018] attualmente in prigione. Vale a dire, i sei membri del governo – Oriol Junqueras, Jordi Turull, Josep Rull, Raül Romeva, Quim Forn e Dolors Bassa -, la presidente del Parlamento, Carme Forcadell, e i leader delle organizzazioni indipendentiste [Omnium Cultural e ANC –Assemblea Nacional Catalana, ndt], Jordi Cuixart e Jordi Sànchez .
A Madrid, alcuni chiedono a gran voce di non rimarginare le ferite causate dagli abusi legali che il processo ha comportato con la convocazione di manifestazioni e la raccolta di firme, e altri, quelli presumibilmente moderati, stanno discutendo su come dovrebbero essere l’indulto ora promosso da Pedro Sánchez. Nessuna delle due parti ha intenzione di modificare il modo con il quale lo Stato ha affrontato le ripetute richieste dei leader catalani – poste dal presidente Pasqual Maragall nel 2003 con la sua proposta di Statuto che sarebbe stato poi mutilato con derisione, fino a Carles Puigdemont che ha ricoperto la carica nel 2016 e nel 2017 – ossia che la cittadinanza della Catalogna possa decidere il proprio futuro liberamente e democraticamente.
Nessun partito spagnolo ha proposto nulla di che al riguardo. Tutti, quindi, sono responsabili dell’ingresso della Spagna in un tunnel repressivo, la cui uscita è ancora oggi molto lontana. Le istituzioni dello Stato continuano a perseguitare ferocemente l’indipendentismo catalano, come dimostrano le richieste monetarie e milionarie della Corte dei conti al governo per la politica estera e a Diplocat [ente diplomatico misto tra pubblico e privato]. Tutto questo, dal 2011.
La forza sociale ed elettorale dell’indipendentismo è solida oggi tanto quanto lo era nel 2017, quando il 1 ° ottobre si è tenuto il referendum e la dichiarazione di indipendenza nel Parlamento della Catalogna. A proposito, mai annullata dalla Camera catalana. Gli effetti della repressione non hanno indebolito la loro forza elettorale – neppure gli scontri tra partiti indipendentisti – dato che hanno vinto le elezioni dal 2015. Senza contare che, nel 2012, Artur Mas decise di ribaltare la politica catalana, con il sostegno di Oriol Junqueras, per indirizzarla verso l’esercizio del diritto a decidere per il quale la maggior parte dei catalani si era espressa nella Diada [Manifestazione che commemora l’ultima strenua difesa della città di Barcellona l’11 settembre del 1714 contro le forze dei Borboni] di quell’anno. I sondaggi mostrano che il diritto a decidere attualmente ha l’80% del sostegno dei cittadini.
Non c’è dissociazione tra i catalani e i loro leader indipendentisti, come vorrebbe farci credere Madrid. I partiti indipendentisti hanno una maggioranza parlamentare solida e il 52% dei voti, anche se oggi il primo partito di opposizione, il PSC [nome del PSOE in Catalogna], è stato il più votato nelle ultime elezioni di febbraio. I partiti indipendentisti non smetteranno di esserlo perché i loro leader sono imprigionati. Né perché il PSOE di Pedro Sánchez (che non rappresenta affatto tutto il socialismo spagnolo) ha deciso di correre il rischio di un indulto parziale e reversibile per i prigionieri, con l’intenzione di mettere Pablo Casado ancora più a destra e garantirsi così il sostegno di ERC.
Gli spagnoli per bene dovrebbero ammettere che il regime costituzionale del 1978 è in crisi. A cominciare dal fatto che è stato dimostrato che la monarchia ha beneficiato della corruzione diffusa in Spagna, e che il nazionalismo spagnolo è sempre più intransigente. La codardia dei politici spagnoli, la loro cecità nel voler beneficiare della centralizzazione delle risorse e dei servizi non è solo una forma di sfruttamento degli altri, ma ha generato uno sviluppo diseguale, ha impoverito territori ricchi come la Catalogna, oltre ad alimentare le ansie di libertà, di autodeterminazione di molti catalani che hanno progressivamente optato per l’indipendenza.
La repressione – che nessuno, nemmeno chi oggi giustifica i benefici dell’indulto in Spagna, rifiuta – può contenere questa tendenza. Il danno causato dalla repressione richiede più di una semplice misura di grazia parziale. Chiede politiche e negoziati seri tra lo Stato e il movimento indipendentista per trovare insieme la soluzione democratica al conflitto. Non servono lezioni da Madrid su cosa significhi una democrazia solida, che non è affatto quella spagnola, anche se la classe dirigente si sforza di dimostrarlo trattando i catalani con pretesa superiorità.
Sarebbe bene che gli spagnoli capissero una volta per tutte qualcosa di molto semplice. Se i partiti indipendentisti sono legali in Catalogna e in altri territori, questi partiti hanno il diritto di portare il loro obiettivo alle loro ultime conseguenze quando ottengono la forza parlamentare che questi partiti hanno oggi in Catalogna. L’anomalia, in ogni caso, è che la risposta dello Stato alle ripetute richieste di approvazione di un referendum, come è stato fatto in altre parti del mondo, sia sempre stata negativa.
Ciò che impedisce di giungere ad una soluzione democratica rimane la predominanza in Spagna di un nazionalismo spagnolo, centralista e militarista (sebbene ora esercitato da polizia e giudici) che non si è evoluto di fronte ai cambiamenti avvenuti nel concetto stesso di sovranità nel XXI secolo e in molte parti del pianeta.
In Spagna, invece, i proclami continuano ad essere acclamati come se fossimo nel XIX secolo.
* traduzione M.Ravera/C.Daurù
https://www.elnacional.cat/ca/editorial/als-espanyols_614834_102.html