Lezioni di Pablo Hasel

 

Lezioni di Pablo Hasel

 

D’ovunque tu sia, chiunque tu sia o qualunque cosa tu sia, dovrai scegliere: o stai con la cruda chiusura nell’aggressione perpetrata dallo stato spagnolo o con la necessità di respirare che rivendica la causa catalana

 

Manifestació i enfrontaments a Barcelona per l’empresonament de Hasel
16.02.2021      Foto: Albert Salamé / VWFoto

 

 

Vilaweb.catNúria Cadenes – 18.02.2021

 

Con pochissime ore di differenza, così poche che il contrasto è diventato ancora più evidente (e, nell’evidenza, estremamente pungente), lo stato spagnolo ha fatto due cose: ha permesso ai proclami nazisti di circolare liberamente a Madrid e ha arrestato un rapper nella città catalana di Lleida per imprigionarlo.

I due momenti, le due immagini e il suono che le accompagna definiscono così chiaramente dove si trovano loro e dove siamo noi che, se non fosse per l’intollerabile sfogo di odio delle camicie blu (equivalente delle camicie nere italiane) e, soprattutto, per il fatto che in questo momento Pablo Hasel è già in carcere, dovremmo ringraziarli per la fotografia.

Perché ora il quadro è definito, in questo “noi e loro” che tanto li infastidisce, che ovviamente significa molte cose ma che nel caso specifico che ci occupa sono urla ed esercizio e impunità fascistoide da una parte, e libertà e democrazia dall’altra.  Di ovunque tu sia, pertanto, chiunque tu sia o qualunque cosa tu sia (persona o ente o partito) sempre più direttamente, dovrai scegliere: o stai con la cruda chiusura nell’aggressione perpetrata dallo stato spagnolo o con la necessità di respirare che rivendica la causa catalana.

E non ci sono mezze misure: comportarsi, come ha fatto l’altro giorno ad esempio, il rettore dell’Università di Lleida, Jaume Puy, immaginando un presunto punto equidistante e cercando di giustificare il suo indegno comportamento (perché non agire è anche agire, non bisognerebbe mai dimenticarlo) è prendere una posizione così netta che è quasi superfluo doverlo dire. E’ la vecchia retorica dei vili che dicono, che so, “né sessista né femminista”, che sarebbe come a dire “né razzista né anti-razzista” o “la cosa migliore per Hasel e per tutti era di raggiungere un soluzione mediante il dialogo”.

Questo ha detto il rettore dell’Università di Lleida.

Perché questo grigiore, questa falsità, l’uso spurio dei termini, tutto, rimane spogliato di fronte ai fatti che Pablo Hasel ha smascherato aspramente alla luce del sole. “La soluzione del dialogo”, in genere, veste bene; quando il fatto è che intendono imprigionare un rapper per una canzone, che i poteri dello stato dettano sentenza e la eseguono, che il rapper si rinchiude in una università  come azione di protesta e, per rendere più visibile  fino a che punto questo atto è abominevole e per evidenziare pubblicamente che lo stato spagnolo invia la polizia con tutta la spettacolare attrezzatura poliziesca per entrare nel campus universitario e arrestare il giovane, la frase del rettore Puy lo lascia nudo agli occhi del mondo.

A lui e a ciò che rappresenta. Il sinistro lamento dell’equidistanza. Sempre complice della repressione.

All’inizio ho detto che in poche ore la Spagna ha fatto due cose. In realtà ne ha fatto una manciata. Fino ad ora, dal giorno dopo delle elezioni regionali, dallo stessissimo giorno dopo (perché dovremmo presumere che hanno bisogno di dissimulare le loro intenzioni?), il pubblico ministero ha fatto ricorso contro il terzo grado (quello che permette la libertà vigilata) dei prigionieri politici, hanno reso pubblica l’assoluzione di una parlamentare del PP (Cifuentes) per il caso di un master falsificato e, manu iudiciali, hanno obbligato i musei catalani a spostare un’altra partita di opere d’arte verso la regione dell’Aragona. Nel frattempo, un altro dei loro giudici (non uno qualunque, no, ma il presidente della Corte Superiore di Giustizia di Castiglia e León) afferma pubblicamente che il problema che hanno è che “la democrazia è messa in discussione da quando il Partito Comunista forma parte del governo”. Bello, no? lui con la sua separazione dei poteri. Eccola l’essenza del nazional-cattolicesimo autoritario che trasuda ovunque alla minima pressione. Non è creato dalla pressione, anzi, lo rende visibile. Come quando premi uno di quei tubi plastici di maionese.

E se ora mi dite che lo sapevamo già, ebbene sì, rispondo di sì.

Ma succede che, a volte, accecati dalla loro retorica, alimentati l’uno con l’altro, perpetrano qualche pasticcio che fa “clic”. Rinchiudere un cantante in carcere per una canzone, per esempio. Posizionandosi, in questo modo, in cima alla classifica degli stati che reprimono gli artisti (e con loro, la creazione: perché esiste un divieto diretto e anche la paura di scrivere, o cantare, o filmare, o dipingere cose che potrebbero essere “reprimibili”). E’ così chiaro, così definitorio, che lo capisce chiunque. Amnistia Internacional glielo ha già detto: “La Corte europea dei Diritti dell’Uomo afferma che l’uso di leggi sulla diffamazione allo scopo o con l’effetto di prevenire critiche legittime al governo o alle cariche pubbliche viola il diritto alla libertà di espressione.”

E questo perpetra la Spagna.

Cose che la equiparano a democrazie avanzate come la Turchia o il Marocco. E che addirittura fanno firmare un manifesto di denuncia a gente che solitamente non si pronuncia, come Almodóvar o Joan Manuel Serrat.

Cose che fanno “clic”.

Da questo caso, direi che possiamo imparare molto. Il margine che diventa sempre più stretto, più sottile, più foglio di carta, briciola di niente che rimane agli annessionisti per tentare di vendere uno stato di meraviglie democratiche che ormai suppura ovunque di maionese autoritaria.

P.Hasel nel momento della detenzione

O, soprattutto, questo chiaro esempio di disobbedienza civile che il rapper Pablo Hasel è riuscito a portare alla ribalta. Perché ha saputo trasformare il fatto ignominioso del suo arresto in un atto di denuncia pubblica. Di forza. Di libertà irredimibile. Ecco perché si è chiuso all’Università. Appunto. Lo ha detto lui stesso alle centinaia di persone che si sono radunate lì per accompagnarlo: “La disobbedienza è necessaria contro ogni ingiustizia.”

Più di un atteggiamento. E’ un atto consapevole e politico. Ieri lo scrittore Julià de Jòdar, in un (altro) articolo brillante, ha parlato sulle disobbedienze che dovrà eseguire il nuovo governo indipendentista. E’ così. Ed è anche (soprattutto?) l’assunzione generalizzata, come popolo, della disobbedienza civile come strumento per rafforzare e andare avanti con il nostro progetto. Disobbedienza civile come atto pubblico di obbedienza alla legittima libertà.

 

Se guardiamo bene, la disobbedienza civile è la risposta necessaria contro ogni ingiustizia: deve essere la nostra strategia di fronte alla Spagna.

Per superarla.

 

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

https://www.vilaweb.cat/noticies/llicons-de-pablo-hasel/

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