Perché la sentenza assolutoria sul maggiore Trapero è una bomba nello stato spagnolo profondo

Perché la sentenza assolutoria sul maggiore Trapero è una bomba nello stato spagnolo profondo

 

<colpisce il paragone tra la sentenza dello scorso anno contro i politici catalani e quella resa pubblica adesso; una differenza che potrebbe diventare piú munizione in ambito internazionale>

 

 

                           Vilaweb.cat – Josep Casulleras Nualart – 22.10.2020  

 

Le circa cento pagine della sentenza della “Audiencia” spagnola (alta corte) che assolve Josep Lluís Trapero, Pere Soler, Cèsar Puig e Teresa Laplana dai reati di sedizione e disobbedienza sono una materia molto infiammabile. Per vari motivi ma, essenzialmente, perché quei fatti e quei comportamenti che il giudice Manuel Marchena e “amici” disprezzarono e ridicolizzarono riguardanti la polizia catalana “Mossos” durante il 20 di settembre e il 1° di ottobre 2017 furono la scusa per condannare il ministro catalano degli interni di allora, Joaquim Forn, a dieci anni e mezzo di carcere per sedizione – insieme al resto dei prigionieri politici – e invece ora sono la base per giustificare il comportamento della suddetta polizia catalana per assolvere il maggiore Josep Lluis Trapero, comandante dei Mossos. È impressionante riscontrare cosa diceva quella sentenza e cosa dice ora quest’altra sentenza, che diventerà ulteriore munizione per denunciare sulla scena internazionale quella condanna della Corte Suprema per sedizione.

Alla sentenza sottoscritta dai magistrati Francisco Vieira e Ramón Sáez Valcárcel si è opposta il terzo magistrato, Concepción Espejel, che ha presieduto la camera. Il voto particolare che ha firmato, di quattrocentosessantuno pagine interamente scritto in lettere maiuscole, pieno di trascrizioni letterali di documenti ed e-mail, è una vera dichiarazione di intenti, praticamente una dichiarazione di guerra ai suoi colleghi magistrati. E’ scritto con disprezzo, riversando praticamente tutti gli argomenti di assoluzione per smantellarli seguendo la linea argomentativa del pubblico ministero, e andando anche oltre, dicendo che Trapero e Pere Soler avrebbero dovuto essere condannati per sedizione senza trovare, però, alcuna prova presentata in tribunale. Sembra che Espejel, magistrata talismano del PP, fosse addirittura più disposta a condannarli rispetto al pubblico ministero.

I pubblici ministeri Pedro Rubira e Miguel Ángel Carballo hanno concluso il processo come una di quelle squadre che supplica all’arbitro di segnare la fine della partita affinché il calvario finisca una volta per tutte, implorando la possibilità di condannare gli accusati, almeno, di disobbedienza vedendo la disfatta della loro offensiva giuridica. Ed Espejel ignora completamente il valore delle testimonianze a favore che rendono impossibile provare le accuse, come se il magistrato avesse avallato gli argomenti dei pubblici ministeri prima di ascoltarli e nonostante l’assoluta inefficacia delle testimonianze e delle prove di accusa che sono arrivate in tribunale. Fallimento di Daniel Baena, alias Tacitus, e del colonnello Diego Pérez de los Cobos, preso in contraddizione grazie all’avvocato Olga Tubau.

Lo ha visto la corte, e si nota nella sentenza, in cui entrambe le guardie civili ne escono squalificati. Baena viene praticamente descritto come un bugiardo, per aver detto che Trapero è stato nominato maggiore e comandante della polizia affinché il progetto indipendentista potesse avere un sostegno dalla polizia catalana; per aver detto che il comandante Trapero si incontrò in segreto con il presidente Puigdemont e che faceva parte del “comitato esecutivo” del processo di indipendenza, citato nel famoso documento “Enfocats”. “Questi tre dati non corrispondono alla realtà”, dice la sentenza.

 

Poi, i magistrati Vieira e Sáez Valcárcel dicono di Pérez de los Cobos che “la sua percezione non aggiunge alcun valore alla prova d’accusa”, perché il contenuto della sua dichiarazione come testimone è solo una percezione personale. Il colonnello non ha potuto provare nulla di ciò che ha detto su Trapero, mostrando un desiderio ossessivo di vederlo condannato, sulla sua complicità con l’organizzazione del referendum e il progetto di indipendenza. Inoltre, ci sono state importanti testimonianze fornite dalla difesa che lo hanno fortemente contraddetto, come quella di Juan Antonio Puigserver, l’alta carica che il governo spagnolo impose a capo del Dipartimento dell’Interno catalano durante l’applicazione dell’articolo 155 (commissariamento dell’autonomia).

Ma ciò che più colpisce della sentenza è la difesa del modello di polizia seguito dai Mossos, privilegiando la mediazione e garantendo proporzionalità, opportunità e congruenza, ovvero limitare l’uso della forza. Questo, ovviamente, e non importa quanto la sentenza non lo dica letteralmente, in opposizione al modo di procedere della Guardia Civile e della polizia spagnola. Si tratta di un approccio assolutamente opposto a quello del tribunale presieduto da Marchena, che nella sentenza dell’ottobre 2019 ha utilizzato il modo di agire dei Mossos per incriminare Joaquim Forn e rafforzare la condanna per sedizione. Guardate queste due affermazioni. In primo luogo, quella dell’assoluzione di Trapero, a pagina 67: “In quel contesto di intenso conflitto politico e sociale, l’enfasi sui principi dell’azione di polizia non deve essere necessariamente interpretata come una scusa, perché era una scommessa strategica stabilita nel suo quadro normativo”. E ora la sentenza della Corte Suprema, quando afferma che il ministro catalano Forn “ha nascosto il suo vero scopo, cioè, che l’azione dei Mossos non costituisse un rischio per lo scopo criminale dei coimputati. Così si faceva vedere che la ponderazione in base al principio di proporzionalità obbligava a non usare la forza per ottemperare alla decisione giudiziaria in modo assolutamente esclusivo per difendersi da precedenti aggressioni dei cittadini alla polizia”.

I magistrati si spingono oltre nella sentenza, mettendo in dubbio l’uso della forza da parte della polizia spagnola; la sentenza della Corte Suprema, invece, l’ha sempre giustificata e ha accusato i manifestanti di violenza, per tentare di argomentare la presunta rivolta e la condanna per sedizione. L’Alta “Audiencia” spagnola non mette in discussione esplicitamente la sentenza della Corte Suprema, ma lo fa implicitamente a più riprese, invocando persino la costituzione spagnola come garanzia di rispetto per l’esercizio dei diritti fondamentali, come i diritti di riunione e di associazione: “Qualsiasi intervento con l’uso della forza può significare un’interferenza con i diritti fondamentali che vincolano tutte le autorità pubbliche (art. 53.1 e 3 della costituzione) “. E aggiunge: “Questo è il motivo per cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito standard precisi nel suo compito di interpretare l’articolo 11 della Convenzione (europea dei diritti dell’uomo sulla libertà di riunione e di associazione] per il controllo di polizia di proteste e la dispersione di manifestanti, anche in riunioni illegali. L’organizzazione di una riunione senza previa autorizzazione non giustifica necessariamente la sua dispersione”. Cita quindi la giurisprudenza della Corte di Strasburgo a questo proposito.

Attenti a questa giurisprudenza, perché si riferisce, né più né meno, che a una sentenza di un paio di settimane fa del Tribunale del Diritti Umani di Strasburgo, che condanna la Spagna per le aggressioni ricevute da una cittadina, Montserrat Laguna Guzmán, da parte della polizia spagnola durante una manifestazione a Valladolid contro i tagli del bilancio statale, nel 2014. Laguna Guzmán fu picchiata in testa, sul viso e sulla mano mentre teneva uno striscione quando la manifestazione era già finita e la polizia disperdeva alcuni gruppi di manifestanti che continuavano la protesta. Ecco qui un’altra porta di denuncia che si apre contro la Spagna per le violenze poliziesche dell’1-O, e che ci viene ricordata in una sentenza straordinaria dell’Alta “Audiencia” spagnola.

Vale a dire, in modo sorprendente, l’alta “Audiencia” spagnola in questa frase affronta il problema a partire dal rispetto dei diritti che si esercitavano il 20 di settembre e il 1° Ottobre del 2017; i diritti esercitati dai cittadini, che nella sentenza della Corte Suprema erano descritti come una massa tumultuosa, aggressiva, sediziosa e manipolata dai politici indipendentisti. “Pertanto, non possiamo rimproverare la menzione dei principi di azione di polizia indicati dalla legge’, conclude, e ricorda che secondo la legge spagnola degli organi e delle forze di sicurezza ‘questi principi sono quelli di congruenza, opportunità e proporzionalità nell’uso dei mezzi a loro disposizione”. Per questo dice di Trapero che “il capo della polizia non doveva porre come unico scopo della sua azione di impedire ad ogni costo il referendum” e che “l’uso della forza in questa situazione contro dei cittadini indifesi, contro gli anziani, contro intere famiglie, non poteva essere la soluzione per imporre l’obbedienza all’ordinamento giuridico, non importa quanto fosse legittimo”.

La sentenza arriva persino a confutare un modello di polizia basato sull’uso della forza come priorità, che è ciò che le forze di polizia spagnole usarono nell’1-O. Nei fatti comprovati della sentenza relativa al 20 di Settembre, non solo scagiona il maggiore Trapero e la funzionaria Laplana e, per estensione, tutto l’ente Mossos dall’aver incoraggiato e favorito una manifestazione tumultuosa, ma critica anche il comportamento della Guardia Civil per non aver avvertito i Mossos d’Esquadra dei dispositivi che intendevano adottare per perquisire gli uffici del governo catalano. E di non averlo fatto, tenendo conto del precedente della giornata precedente, quando i Mossos erano presenti nella perquisizione presso la sede di Unipost in Terrassa, effettuata dalla Guardia Civil, in cui vi era stata una mobilitazione di protesta anche là. Cioè, sapevano che poteva accadere, ma non avvertirono i Mossos in nessun momento. E questo riferimento ci invita a pensare a quei “tre patrioti spagnoli” in una riunione cospiratoria pochi giorni prima del 20 Settembre.

 

manifestazione del 20 settembre a Barcellona

Tutto questo irrita il terzo membro della corte, la magistrata Espejel, sposata con una guardia civil e decorata con l’Ordine al merito della Guardia civil. Il suo voto particolare è un proiettile rivolto all’Alta corte dello Stato, dove da tempo si registrano forti tensioni che la sentenza sul caso Trapero andrà ad infiammare ulteriormente; è un pugno sul tavolo, carico di rabbia ma anche di impotenza, perché il nero su bianco della sentenza è clamoroso e può avere importanti conseguenze legali. Ma è anche un dardo per il procuratore generale dello Stato, con l’intenzione di spingerlo a presentare ricorso contro questa assoluzione. La proposizione di un ricorso contro un’assoluzione è un’azione che deve essere molto ben giustificata, ad esempio da un elenco di fatti comprovati di una sentenza che siano molto improbabili, o manifestamente equivoci o quando il testo e la decisione sono irrazionali. Ma la sentenza è molto dettagliata, molto meticolosa, ed è proprio il voto particolare di Espejel che sembra del tutto improbabile e costruito non dalla ragione ma dalla pancia. Ma il pubblico ministero, ricorrerà comunque? Che cosa ha da dire il governo spagnolo di Pedro Sánchez e Pablo Iglesias, ormai assediato dalla destra su tutti i fronti?

La sentenza sul caso Trapero allarga ulteriormente la crepa che fu aperta con il processo contro l’indipendentismo. Quella sentenza, di Marchena e compagnia, è stata così scandalosa che è bastato lasciar passare il tempo per far affiorare tutte le contraddizioni legali, persino all’interno dello stato spagnolo. Perché questa settimana il Tribunale Superiore della Catalogna ha condannato per disobbedienza, comminando solo una multa, i membri che formarono parte del tavolo parlamentare del 2017, quando la presidente di quel tavolo, Carme Forcadell, è in carcere scontando una pena di undici anni e mezzo per sedizione. E Trapero è stato assolto quando il suo superiore di allora, Joaquim Forn, è in carcere per sedizione e condannato a 10 anni e mezzo. La crepa è evidente nell’invenzione legale avviata dal pubblico ministero José Manuel Maza e dai giudici Pablo Llarena e Carmen Lamela.

Ma fino a dove arriverà questa crepa? In questo momento è difficile pensare che il pubblico ministero possa presentare ricorso contro una sentenza come questa, perché praticamente non ha argomenti. Ma lo stato spagnolo, lo stato profondo che ha mosso tutta la macchina repressiva contro l’indipendenza, può permettersi che una sentenza come questa – che mette in discussione dalla testa ai piedi il modello poliziesco che aggredì i cittadini che volvevano votare e che anche il re benedisse-, diventi definitiva?

Se l’ultima parola fosse della Corte Suprema (il ricorso porterebbe la causa alla Corte Suprema), bisognerà vedere come finirà la questione.

 

* traduzione  Àngels Fita – AncItalia

https://www.vilaweb.cat/noticies/sentencia-trapero-analisi-josep-casulleras/

 

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