La visita fugace di un re in terra ostile
Elnacional.cat – José Antich
Divendres, 9 d’octubre de 2020
La visita a Barcellona del capo dello stato spagnolo, incapsulato in mezzo a misure di sicurezza eccezionali, non è altro che un riflesso fedele di ciò che Madrid non vuole vedere: c’è una rottura in tutta regola; la cittadinanza catalana, la maggior parte, si è allontanata dalla Spagna, ha rotto i legami con uno stato che ha fatto della repressione la sua bandiera principale. Il fulmineo viaggio di Filippo VI in una Catalogna senza presidente, il terzo consecutivo interdetto dallo Stato spagnolo (Mas, Puigdemont e Torra), mette in luce l’eccezionale situazione del momento. Come accentuato anche dall’assenza all’evento delle massime autorità catalane, opportunamente sostituite da cariche di secondo livello, tutti militanti del PSC. È stato un viaggio fugace, destinato solo alla televisione e al consumo interno. Solo da notare l’unità della Spagna menzionata nei discorsi e le proteste di piazza, cosa già comune ogni volta che il monarca si sposta in Catalogna.
L’importante dispiegamento della polizia a Barcellona, con un’alterazione del traffico per ore, nei dintorni della stazione centrale di Francia, ha evidenziato che qualcosa doveva succedere e serve a constatare l’immenso errore di quel 3 ottobre 2017 in cui il re scelse di non mantenere il suo ruolo costituzionale e si mise a fare politica, dimenticando che la storia della monarchia spagnola è piena di queste goffe azioni che gli sono costate un sacco di guai. Nessun contatto, nessuna passeggiata, nessun bagno di folla, nessuno dei vecchi protocolli rispettato, sostituiti da un evidente vuoto istituzionale rotto soltanto dal presidente del governo, Pedro Sánchez, appena arrivato da Madrid. Il Re parla in un dato momento dell’immagine dell’unità, è l’unica cosa che si salva da un discorso inespressivo che nessuno ricorderà. Non è che le cose accadano molto velocemente, è che il viaggio è stato solo una fotografia “opportunity”, con l’unico intento di sottolineare che la Catalogna è Spagna.
Il disagio di Filippo VI (a cui il governo aveva vietato di recarsi a Barcellona poche settimane fa in occasione di un evento per lui particolarmente significativo come la consegna delle nomine a una nuova promozione di giudici), era evidente nella freddezza con cui ha ricevuto Sanchez senza nemmeno salutarlo con la semplice formula della mano sul petto a causa del coronavirus. Deve succedere qualcosa di molto grave tra i palazzi della Zarzuela (monarchia) e della Moncloa (governo) che impedisce di mantenere le forme in un atto pubblico evidenziando la tensione, ritrasmessa dalla televisione, e che aveva l’altro fulcro informativo nello stato di allarme che, dopo tante polemiche, il governo spagnolo ha dovuto decretare per Madrid. La frase “le cose si possono fare meglio” detta dal Re non aveva un destinatario diretto ma, supponendo che non l’abbia detta a sé stesso, potremmo pensare che il destinatario sia Sanchez.
A proposito, se lasciamo da parte l’irresponsabilità di Isabel Díaz Ayuso verso la salute dei madrileni e l’enorme pericolo che suppone avere una persona del genere a capo della Comunità di Madrid, il decreto di allarme per Madrid ha il carattere di giustizia poetica per noi catalani. Anche se in ritardo, la sciocchezza che il virus non capisce di territori, ripetuta più e più volte, per screditare nello scorso marzo la richiesta accorata della Generalitat catalana, di confinare urgentemente la capitale spagnola, ora è caduta come frutta matura.
Perché si può vincere momentaneamente la battaglia della manipolazione a colpi di enormi campagne pubblicitarie ma, alla fine, il falso castello di carte cade per effetto del proprio peso.
* traduzione Àngels Fita – AncItalia