Perché il verdetto su Lluís Puig è un passo così decisivo nel processo di indipendenza.
«I tribunali europei renderanno nullo il processo e metteranno la Spagna nella prospettiva di non essere in grado di rispondere, alle azioni politiche dell’ottobre 2017 o a quelle che faremo in seguito, attraverso la violenza giudiziaria e poliziesca»
Vilaweb. cat – Vicent Partal 07.08.2020
Il verdetto della magistratura belga che respinge la richiesta di estradizione del ministro catalano Lluís Puig è una grande vittoria. Determinante per il processo di indipendenza della Catalogna. Dopo il verdetto dei tribunali tedeschi relativo al presidente Puigdemont, il caso di Lluís Puig lascia quasi definitivamente fuori gioco la giustizia spagnola e squalifica completamente la persecuzione politica contro il referendum sull’autodeterminazione e la proclamazione dell’indipendenza. Ci vuole ancora tempo perché il caso raggiunga i vertici dei tribunali europei, che si tratti della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo o della Corte di giustizia dell’Unione europea, ma la forza delle decisioni lascia chiaramente poco spazio di manovra allo stato spagnolo. Se la Germania ha chiarito che non c’è stata ribellione o sedizione, ora il Belgio ha chiarito che la Corte Suprema spagnola non è competente per giudicare i fatti.
Il risultato di tutto questo disegna oggi uno scenario più plausibile che mai: prima o poi, i tribunali europei competenti annulleranno il processo e, quindi, metteranno la Spagna nella prospettiva di non poter rispondere ad azioni politiche come quelle dell’ottobre 2017 attraverso la violenza poliziesca e giudiziaria. Come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio. Solo che ora dovranno farlo con la legittimità del movimento indipendentista collocata a un livello molto più alto di quello che aveva allora e con la messa in discussione dello stato spagnolo molto più evidente, sia internamente che nel resto dell’Unione europea
Il modo in cui la Catalogna raggiungerà finalmente l’istituzione di quella repubblica indipendente proclamata tre anni fa dipenderà fondamentalmente dalla popolazione e dai politici, e non sarà in automatico, non verrà dall’esterno. Ma dall’esterno sta già arrivando il disegno di alcuni limiti che lo stato spagnolo non potrà più varcare una seconda volta senza che ciò abbia delle gravissime conseguenze per loro.
Potremmo dire che la vittoria di ieri si basa su quattro parole che iniziano con la lettera p. Ripassandole penso che capiremo bene il punto esatto dove ci troviamo e come ci siamo arrivati.
“P” di Lluís Puig:
La prima P è maiuscola e corrisponde al cognome del consigliere Lluís Puig. Perché lui riassume in modo molto appropriato, lo spirito del nostro governo in esilio.
Se avesse pensato a sé stesso, Puig avrebbe potuto scegliere di non correre alcun pericolo. Avrebbe potuto dilatare i tempi dell’ordine di arresto europeo, avrebbe potuto tentare di sfuggire ai suoi effetti. Invece, ha deciso di affrontarlo e di andare fino in fondo. Pensando, non al proprio comfort personale, ma all’operazione politica dell’indipendenza della Catalogna.
Puig ha smantellato l’idoneità della Corte Suprema spagnola, e lo ha fatto assumendo il pericolo di essere consegnato a uno stato spagnolo che lo avrebbe messo in carcere se il verdetto fosse stato diverso. Pertanto, non ha sfuggito alla responsabilità di ministro del governo legittimo della Catalogna, anzi. Lluís Puig è stato un uomo coraggioso e molto generoso e questo merita tutto il nostro rispetto. Così come il presidente Puigdemont si consegnò, mettendosi in pericolo, ai tribunali tedeschi. Come lo sono stati tutti gli altri esiliati.
“P” di pazienza:
Il giorno dopo la proclamazione dell’indipendenza, dalla sede della Generalitat di Girona, il presidente Puigdemont tenne l’unico discorso ufficiale – inteso come tale – in qualità di presidente provvisorio della repubblica. E disse che per attuare la repubblica catalana indipendente che era stata appena proclamata dal parlamento, sarebbero necessari tre “P”: pazienza, perseveranza e prospettiva. La tabella di marcia tracciata da quella frase è la chiave per capire dove siamo e le sue conseguenze stanno diventando via via più chiare.
La pazienza è senza dubbio la qualità più difficile di tutte. Dopo aver proclamato uno stato indipendente, ogni giorno che passa senza che sia divenuto una realtà palpabile diventa lunghissimo. Soprattutto a causa dei dilaganti abusi commessi dallo stato spagnolo. La divisione tra i partiti indipendentisti, le loro miserie quotidiane e la loro gestione fanno molto male alla gente. Stancano. Ci esauriscono. …
Ecco perché c’è una parte della popolazione che non vede più l’indipendenza come qualcosa di fattibile, o che è delusa dalle azioni dei partiti indipendentisti. Fra tutti, questo è il punto a più alto rischio, il più pericoloso. Perché potrebbe accadere che nel momento in cui la Spagna non possa più usare violenza contro il processo di indipendenza, non ci sia più una maggioranza sociale indipendentista. Vedremo.
Ma detto questo, ci sono due argomenti che ci fanno pensare che le cose potrebbero andare in un altro modo. Il primo è che, nonostante gli errori della politica istituzionale e l’usura causata dalla partigianeria, la piazza si mantiene su un livello enorme di forza e decisione, più forte ancora rispetto al 2017. E questo è il fattore più importante di tutti, il fattore più decisivo. Il secondo argomento è che la Spagna si è rifiutata di accettare che l’indipendenza della Catalogna possa essere decisa da una maggioranza elettorale e, quindi, in logica corrispondenza, l’indipendentismo non ha più bisogno di alcuna maggioranza elettorale. Avremo tempo per parlarne ancora.
Per intenderci e per chi invoca sempre il pessimismo. Il 13 marzo 2018, la Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha stabilito che bruciare fotografie del re spagnolo non poteva essere perseguibile dalla Spagna perché rientrava nell’ambito della libertà di espressione. Fino a quel giorno, chiunque di noi poteva finire in carcere se bruciavamo una fotografia del re spagnolo, invece oggi non possono nemmeno fermarci e non ci fermano. Il percorso della giustizia europea è molto lento; ma quando la giustizia europea cambia le cose, le cambia definitivamente.
“P” di perseveranza:
La seconda “P” che spiega la vittoria di Lluís Puig è il balzo in avanti del processo di indipendenza, è la perseveranza. Da bravo giornalista, il presidente Puigdemont non sceglie le parole a caso, anche se a volte debba essere chiarito il loro significato. Il vocabolario Treccani dice che “perseveranza” significa “costanza e fermezza nel perseguire i propri scopi o nel tener fede ai propri propositi, nel proseguire sulla via intrapresa o nella condotta scelta..”
Più chiaro di così!. La perseveranza implica non solo persistere in qualcosa, ma proseguire sulla via intrapresa e nella condotta scelta. In catalano: “…proseguire in modo continuativo su qualcosa già iniziato”. In questo caso si prosegue con l’istituzione della repubblica proclamata dal referendum del 1 ottobre. Come per tante cose nella vita, la strada può avere tanti tornanti, così tanti che anche a un certo punto è difficile sapere quale strada seguire. Ma l’intenzione non può essere messa in dubbio.
Tutto ciò che è stato fatto dall’esilio ha seguito la linea della perseveranza. Come tutte le mobilitazioni popolari, sono state fondamentali per sostenere la perseveranza, dalle manifestazioni davanti alle carceri alle marce per la libertà, dai giorni della rivolta di piazza Urquinaona ai giorni dell’11 settembre. E, nonostante tutto il male fatto dalla partigianeria e che tuttora fa, il governo della Generalitat ha mantenuto la perseveranza come guida per le proprie azioni. In questo senso, il discorso del presidente Quim Torra di ieri è stato esemplare: non dobbiamo deviare nemmeno di un millimetro dall’obiettivo prefissato, e questo obiettivo è la repubblica indipendente della Catalogna. E dovremmo dare un grande valore, quello che ha, all’accordo raggiunto tra JxCat, Esquerra e CUP (tutte le forze indipendentiste in campo).
Infine, un dettaglio importante da ricordare: il giudice belga rende propri le due argomentazioni del Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite su Jordi Cuixart, Jordi Sànchez e Oriol Junqueras. All’epoca in cui si resero pubbliche, la parte più pessimistica dell’indipendentismo, disse subito che erano inutili, che erano semplici dichiarazioni senza attuazione pratica. Ma ieri abbiamo visto quanto siano importanti. Da quasi tre anni si gioca una manovra che in realtà è un enorme puzzle in cui ogni pezzo ha bisogno della parte precedente e di quella laterale.
E la “P” di prospettiva:
Questa è la parola più sorprendente, ma bisogna anche capire che è la chiave di tutto, perché impedisce l’offuscamento che ci avrebbe fatto tanto male.
Ricordo vividamente la prima conferenza stampa tenuta dal governo in esilio a Bruxelles. E come il presidente Puigdemont disse in quell’occasione – e lo ha detto anche Marta Rovira più tardi in parlamento – la Spagna voleva scatenare una violenza senza precedenti sulla Catalogna. Giustificando, quindi, la sua decisione di andare in esilio come governo dicendo che erano convinti di non poter affrontare e combattere quella violenza dall’interno e convinti che ci fosse un modo per farlo fin dallo spazio giudiziario europeo.
Rimasi colpito dalla serenità con cui espresse quella teoria. Si capiva che la sua opinione era che se si fosse tentato di sostenere la repubblica in piazza, la violenza spagnola sarebbe stata molto forte e avrebbe comportato dei costi che lui e il suo governo non volevano assumersi. Ma invece, appellandosi alla giustizia europea, erano convinti che nel tempo sarebbe stato possibile piegare la giudizializzazione di un processo che è solo politico e che doveva risolversi attraverso la democrazia.
Questa prospettiva era molto difficile da vedere in quel momento e l’ho ascoltata con un certo scetticismo. Ci diceva che l’Europa avrebbe posto dei limiti alla violenza spagnola con un processo giudiziario che sarebbe stato, senza dubbio, lungo ma che avrebbe gettato una solida base per andare avanti. Queste basi avrebbero permesso di far tornare sulla via della politica quello che la Spagna ha voluto sviare sulla via della violenza.
Oggi, dopo il verdetto sull’estradizione di Lluís Puig, non si può negare che questa prospettiva avesse delle basi. Molto solide. Non siamo ancora alla fine della strada, ma ne abbiamo già percorsa molta e la fine è più vicina oggi di quanto non lo fosse due giorni fa. Personalmente, credo che le decisioni europee non saranno sufficienti e che sarà necessario un processo di confronto istituzionale e di piazza, come quello elaborato dal Consiglio per la Repubblica o dall’ANC, per chiudere definitivamente il processo. Ma è vero che la Spagna è sempre più indebolita e limitata dall’azione della giustizia europea e dai suoi immensi errori. E quindi domani avrà molte più difficoltà a fermarci, molte di più rispetto a ottobre 2017.
Questo è principalmente il motivo per cui possiamo dire che ieri è stato un momento chiave nel processo di indipendenza della Catalogna, uno di quelli che passerà nei libri di storia, uno scacco matto. Perché è diventato chiaro a tutti la portata e la capacità del percorso che l’esilio ha messo sul tavolo da quasi tre anni e che sta dando i suoi frutti con pazienza, perseveranza e prospettiva. E perché è confermato che il movimento per l’indipendenza possiede dei leader che sanno cosa quello che stanno facendo.
* traduzione Àngels Fita-AncItalia