Da dove veniamo (III)
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Tendiamo a dimenticare eventi molto rilevanti che sono accaduti negli ultimi due anni e che ci danno alcuni indizi per capire cosa sta succedendo ora. Ed è per questo che vale la pena ricordare
Gennaio 2018. Inizia il rovesciamento del governo del Partito Popolare. La grande stampa internazionale (The Times, Bloomberg, The Guardian, The New York Times, Financial Times, Le Monde e Frankfurter Allgemeine Zeitung) attacca duramente Mariano Rajoy e lo considera già un cadavere politico. E avverte: “il 155 si rivolterà contro il governo spagnolo”. Dopo la sconfitta dell’unionismo nelle elezioni del 21 dicembre, lo Stato, costituito principalmente dalla monarchia, la Guardia civile e l’Alta magistratura (Corte suprema, Corte costituzionale e Audiencia nazionale), prende le redini. Il re Filippo VI parte per Davos, e i giudici decidono chi può essere presidente della Generalitat e chi non può esserlo. Rajoy è già fuori dai giochi, ma l’Europa gli ha dato un incarico: deve approvare i bilanci dello stato ed evitare le elezioni per non creare ancora più incertezza nel Paese.
E gli scandali e la pressione aumentano ancora di più durante il mese di aprile:
-Cristina Cifuentes, che doveva succedere a Rajoy, cade in disgrazia
-immane botta proveniente dai giudici “regionali” tedeschi con la sentenza su Puigdemont
-Carles Puigdemont rilasciato in Germania
-González Pons invia lettere mal tradotte a tutti gli europarlamentari mettendo in discussione l’operato della giustizia tedesca
-senza bilancio dello stato approvato
-sentenza sul caso di corruzione PP – Gurtel – periodo 1999-2005 (infine rinviata a maggio, per permettere l’approvazione della legge di bilancio)
-Il quotidiano britannico The Guardian considera il ministro degli Esteri spagnolo Alfonso Dastis un politico “autoritario” allo stesso livello di Nicolás Maduro e Bashar al-Assad
-la Svizzera afferma che Falciani non è una moneta di scambio di nessuno (la Spagna aveva concesso asilo politico a Falciani e voleva scambiarlo con gli esiliati catalani)
-organi internazionali (Amnesty InternationaI, rapporto Greco, studio del World Economic Forum, ONU …) mettono in discussione l’indipendenza del sistema giudiziario spagnolo e lo collocano al di sotto del Botswana e del Tagikistan
-Seat annuncia per la seconda volta in meno di un anno che rimarrà in Catalogna indipendentemente dal suo futuro politico
-Il candidato spagnolo alla Corte europea dei diritti dell’uomo, Francisco Pérez de los Cobos, è eliminato al primo turno.
La Spagna accelera la sua caduta libera. Mariano Rajoy attende la sentenza del caso Gürtel con rassegnazione, ma deve prima approvare la legge di bilancio. E il PNBasco voterà a favore, ma il portavoce dei nazionalisti baschi, Aitor Esteban, lascerà cadere una frase enigmatica durante la conferenza stampa annunciando il voto favorevole: “il 155 presto decadrà. E non lo dico senza cognizione di causa”.
E questo è ciò che accade: il 23 maggio il Congresso dei deputati (parlamento spagnolo) approva la legge di bilancio e proprio il giorno successivo, il 24 maggio, si rende pubblica la sentenza Gürtel che condanna il PP per “arricchimento illecito” diventando il primo partito politico condannato per corruzione in Spagna. Tutto va come un cronometro. Subito Pedro Sánchez promuove una mozione di censura e sarà investito presidente grazie al sostegno dei partiti indipendentisti, Podemos e PNBasco, che una settimana prima aveva votato la legge di bilancio del ministro Cristóbal Montoro del Partito Popolare. Pedro Sánchez, che era stato defenestrato dallo stesso partito socialista pochi mesi prima, diventa presidente spagnolo.
E i nazionalisti baschi ottengono la quadratura del cerchio: approvare i bilanci che l’Europa voleva, evitare nuove elezioni, rovesciare Mariano Rajoy ed eliminare il 155 della Catalogna. E tutto in una settimana!
Già come presidente, Pedro Sanchez incontra Emmanuel Macron e successivamente la cancelliera Angela Merkel. Martedì 26 giugno si tiene una conferenza stampa congiunta Merkel-Sanchez a Berlino. Alla domanda sulla presenza di Carles Puigdemont in Germania, la cancelliera ha risposto che non si sentiva “a disagio” perché “è una questione governata dallo stato di diritto”. Da parte sua, Pedro Sánchez ammette di fronte alla Merkel che “ciò che 1 di Ottobre rappresenta è una pagina da girare”. Pochi giorni dopo, il 12 luglio, la corte dello Schleswig-Holstein accetta di estradare il presidente Carles Puigdemont per il reato di appropriazione indebita di fondi pubblici, ma esclude il reato di ribellione. Per tutto questo, martedì 17 luglio Pedro Sánchez può illustrare in dettaglio la sua tabella di marcia nel Congresso dei deputati e ammette che è necessario un “dialogo senza barriere” con la Catalogna. E aggiunge, rispondendo al portavoce repubblicano Joan Tardà: “il problema dovrà essere risolto votando”.
Pedro Sánchez diu que la crisi es resoldrà votant
Ma è qui che inizia la guerra aperta tra il governo spagnolo e lo Stato spagnolo senza esclusione di colpi. Questo è il punto di partenza queste due estrutture non si nascondono più. Giovedì 19 luglio, il “giudice” Pablo Llarena respinge l’estradizione di Carles Puigdemont in quanto è solo per appropriazione indebita e ritira l’ordine di estradizione europeo contro il presidente catalano e gli altri ministri catalani in esilio. E per di più, Llarena denuncia la “mancanza di impegno” della corte tedesca. Critica, quindi, il sistema giudiziario tedesco e, inoltre, se la prende con la riunione Merkel-Sanchez. In sostanza, Llarena insinua (tenendo conto della sua logica spagnolista) che i governi tedesco e spagnolo hanno concordato una soluzione per gli esiliati che possa far cadere tutta la causa.
Apro una parentesi. Il 6 aprile 2018, il presidente Carles Puigdemont è stato rilasciato dal carcere di Neumünster dopo che l’Alta corte superiore di giustizia dello Schleswig-Holstein aveva decretato il suo rilascio su cauzione. Il giudice ha escluso il crimine di ribellione nella richiesta di estradizione della Spagna.
Il giorno successivo, il 7 aprile, l’allora ministro della giustizia, la socialdemocratica Katarina Barley, fece delle dichiarazioni esplosive. Barley afferma che la decisione del tribunale Schleswig-Holstein di liberare Puigdemont è “assolutamente corretta” e che,anzi, “lo sperava”. Ma Katarina Barley, il ministro della giustizia (della Giustizia!), dice anche qualcos’altro, e cioè che la Spagna dovrà spiegare molto bene la richiesta di estradizione per il reato di appropriazione indebita, e ritiene che questo compito “non sarà facile”. Le dichiarazioni di Barley sollevano un polverone. Tanto, che due giorni dopo (9 aprile), il portavoce del governo federale tedesco Steffen Seibert, relativizza le dichiarazioni del ministro Barley. Seibert considera il conflitto in Catalogna “un affare interno”, ma in nessun momento contraddice il Ministro della Giustizia. Non ci sono sfumature, precisazioni o critiche nei confronti di Katarina Barley
Ora torniamo all’estate del 2018. Sabato 11 agosto. La Merkel si trasferisce a Doñana (un parco nazionale nel sud della Spagna).
Incontro bilaterale con Sánchez per discutere sulla crisi dei rifugiati. Conferenza stampa sabato a mezzogiorno, poco prima delle riunioni. È una soluzione insolita, quella di fare prima la conferenza stampa e poi gli incontri a porte chiuse, che durano fino a domenica. Nessun riferimento alla Catalogna. Ma quattro giorni dopo, cioè il 15 agosto, giorno festivo, il deputato repubblicano Joan Tardà fa un tweet che passa inosservato. È un tweet sul referendum a tre domande:
Un obiettivo chiaro: essere più forti per vincere la battaglia per il dialogo e la trattativa per un referendum che offra una risposta alle esigenze di tutti, quelle dei catalani che aspirano all’indipendenza, quelle che vogliono uno stato federale o di coloro che difendono l’attuale autonomia— Joan Tardà i Coma (@JoanTarda) August 15, 2018
Ma lo Stato dice che ce n’è abbastanza di tutto quanto e spara contro il governo socialista. Motivo? Giovedì 23 agosto, il governo di Pedro Sánchez ha annunciato che non avrebbe assunto la difesa del “giudice” Pablo Llarena in Belgio per le sue azioni private. E pochi giorni dopo il governo si tira indietro e ora ne assumerà la difesa. Cosa è successo? Pressioni? Sì, pressione da parte dello Stato. Ma da chi? Filippo VI? Alta magistratura? Chi mette pressione?
Ma il governo socialista non si arrende e insiste. Lunedì 3 settembre, il presidente Pedro Sánchez parla di un possibile referendum in Catalogna “ma per migliorare l’autogoverno, non per l’indipendenza”. Qualcuno sembra fare pressione su Sanchez per trovare una soluzione al conflitto territoriale. Questa è la seconda volta che il presidente spagnolo parla di voto. Ed è chiaro che la soluzione sta nel voto, giusto?
Tendiamo a dimenticare fatti molto rilevanti che sono accaduti negli ultimi due anni e che ci danno alcuni indizi per capire cosa sta succedendo ora. Ed è per questo che vale la pena ricordare. La guerra tra Governo e Stato condiziona la politica attuale, quindi è importante ricordare da dove veniamo per capire dove possiamo andare.
Ho finito. La politica spagnola mi ha sempre ricordato questo dialogo nel film Casablanca:
-Renault: Mi dica, Rick, cosa lo ha portato a Casablanca?
-Rick: sono venuto a Casablanca per prendere le acque
-Renault: Ma… Casablanca è un deserto!
-Rick: A quanto pare, sono stato informato male
Guardate il seguito!
Bernat Deltell. Pubblicato giovedì 16 luglio 2020
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* traduzione Àngels Fita-AncItalia