Da dove veniamo (II)

Da dove veniamo (II)

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L’indipendenza della Catalogna non piace all’Europa, ma nemmeno l’autoritarismo e le manganellate.

 

Giovedì 19 ottobre 2017. Riunione dei capi di Stato e di governo a Bruxelles. Ordine del giorno: il pericoloso aumento del populismo in Europa, l’immigrazione, la crisi economica e la lotta ai cambiamenti climatici. La Catalogna non appare da nessuna parte, è l’elefante sul tavolo che tutti fingono che non esista. Se ne parla negli incontri improvvisati che si svolgono nei corridoi, a pranzo e cena, in incontri a porte chiuse, ma ufficialmente, in Spagna, non succede nulla. Niente.

Non c’è conflitto territoriale. Tuttavia, e per scaramanzia, Mariano Rajoy opta per tenere un profilo basso. La sua incapacità di esprimersi in inglese (e in qualsiasi altra lingua) lo porta a un certo ostracismo. Le immagini dei pestaggi del 1 ° ottobre non giocano molto a suo favore. Nemmeno il discorso di Filippo VI del 3 ottobre. Ecco perché Rajoy si mostra discreto e prudente. Tutto ciò che sta accadendo in Catalogna lo inquieta; è consapevole che l’immagine della Spagna e del suo governo è in declino. Alti rappresentanti del Belgio, della Slovenia, del Lussemburgo e di alcuni paesi baltici hanno denunciato pubblicamente l’uso della violenza da parte dello stato spagnolo. L’indipendenza della Catalogna non piace, in Europa, ma nemmeno i pestaggi e l’autoritarismo.

In questa riunione del 19 ottobre, Mariano Rajoy spiega che applicherà l’articolo 155 della Costituzione, che consente la sospensione (il commissariamento) dell’autonomia e la convocazione delle elezioni.

Riesce a ottenere l’impegno delle autorità europee a rispettare la decisione spagnola (“un problema interno” sarà il mantra che l’UE utilizzerà per riferirsi al conflitto territoriale), ma in cambio Rajoy dovrà indire elezioni subito dopo l’applicazione del art. 155. Dietro a questa richiesta c’è il timore dell’UE che la Catalogna resti soggetta a un permanente 3 di ottobre e, quindi, la locomotiva economica spagnola (già abbastanza indebolita) finirà per saltare per aria. Rajoy accetta il “suggerimento” (non può fare altro) e assicura ai suoi interlocutori (ricordate, capi di stato e di governo) che i catalani, che sono persone di buon senso e di ordine, finiranno per abbandonare avventure secessioniste. L’indipendentismo ha i giorni contati, Rajoy assicura di fronte ai suoi interlocutori.

Ma…

Rajoy, come sempre, scivola. Con un’affluenza record di quasi l’80%, l’indipendentismo vince nonostante lo spettacolare – e inefficiente e insufficiente – aumento della formazione Ciudadanos. La grande mobilitazione dell’indipendentismo, la manifestazione a Bruxelles (che mostra al mondo che il problema non è risolto), l’uso dei social network, la partecipazione della CUP alle elezioni (decisivo) e il crollo del Partito Popolare (rimane con quattro deputati nel Parlamento catalano) rende vincente l’indipendentismo. Pertanto, il problema rimane ancora sul tavolo.

Ore dopo le elezioni, venerdì 22 dicembre, il governo federale tedesco pubblica un comunicato stampa ufficiale (in tedesco e inglese) con tre punti:

-distensione del conflitto (tradotto: niente violenza)
-tavolo di trattativa rispettando la legge e la costituzione (tradotto: qualcuno crede che un governo possa dire che le parti negoziali possono infrangere la legge?)

-rispettare i risultati elettorali (tradotto: Rajoy, non barare più. Hai perso la tua occasione)

Una considerazione: quando questo comunicato stampa viene reso pubblico, il governo tedesco è in carica, quindi poteva risparmiarsi il posizionamento. Seconda considerazione: il governo federale tedesco non rilascia mai dichiarazioni che valutino le “elezioni regionali” oltre i suoi confini interni. E terza considerazione: il primo giorno lavorativo dopo il comunicato (26 dicembre, festivo in Catalogna ma non in Spagna), ai poliziotti trasferiti in Catalogna (per picchiare la gente) viene ordinato di tornare a casa. Questo è ciò che io chiamo distendere il conflitto; altri possono interpretarlo come una coincidenza cosmica. Insomma….

Detto questo, e per evitare fraintendimenti: tutto ciò significa forse che la Germania è a favore dell’indipendenza della Catalogna? Neanche per sogno. La Germania vuole risolvere democraticamente il conflitto, tra l’altro perché oltre 2.000 aziende tedesche si trovano in Catalogna, ed è per questo che il presidente del Circolo dei Dirigenti di lingua tedesca, Albert Peters, ha chiesto più di una volta di “trovare una soluzione per la Catalogna”.

Vado avanti.

Lo stato profondo (Deep state), che aveva già fatto un colpo di autorità il 3 ottobre, riprende le redini di fronte al disastro che suppongono per l’unionismo le elezioni del 21 Dicembre. Ecco perché, a gennaio, quando le festività natalizie sono finite, i grandi media internazionali considerano Mariano Rajoy ormai finito. Bloomberg, la principale agenzia di notizie economiche del mondo con sede a New York, pubblica informazioni in cui si afferma che il presidente spagnolo ha perso il sostegno delle élite (leggi lo Stato) e viene quindi considerato ammortizzato.

Mariano Rajoy perde sostegno

Con Rajoy ormai fuori gioco, lo Stato (monarchia-alta magistratura-Guardia civile) fa saltare tutti i tentativi di investire il nuovo presidente della Generalitat. È la prova inconfutabile di chi comanda attualmente in Spagna: Filippo VI a Davos e i giudici che decidono le presidenze della Catalogna. La sentenza per l’affare Gürtel (corruzione del PP) è rinviata ad aprile. Rajoy pende da un filo e arriva la tempesta perfetta:

-legge di bilancio da approvare entro maggio (o approvazione o elezioni)
-Pressione del PNB (partito nazionalista basco) per un presidente catalano
-Pressione dell’UE per approvare i bilanci e non convocare altre elezioni che creano ancora più incertezza

Finalmente, nel giro di giorni, Quim Torra è investito presidente della Generalitat,

il PNB (partito nazionale basco) sostiene la legge di bilancio e si rende pubblica la sentenza del caso Gürtel. Pedro Sánchez promuove una mozione di censura e il PNBasco, che la settimana precedente ha approvato il bilancio del PP, contribuisce alla caduta di Mariano Rajoy. In questo modo, Pedro Sánchez ottiene la presidenza spagnola pochi mesi dopo aver facilitato l’investitura di Mariano Rajoy e dopo che lo stesso Sánchez fosse stato mandato via dal PSOE. Una situazione politica delirante.

Da questo momento, Filippo VI e lo stato profondo (deep state) iniziano ad avere problemi. La situazione dei prigionieri politici diventa l’unico asso nella manica di cui dispone lo Stato per speculare e condizionare le politiche del governo spagnolo. Ed ecco che dobbiamo ricordare un paio di cosette:

Una: pochi giorni dopo che Sánchez è investito come presidente spagnolo, si riunisce con la cancelliera Angela Merkel, che lo invita a trovare delle soluzioni per “una distensione del conflitto catalano”.

 

Riunione Merkel & Sánchez

E due, dopo l’incontro Sánchez-Merkel, il presidente spagnolo dice dal Congresso dei Deputati (parlamento spagnolo), e in risposta al portavoce di ERC Joan Tardà, che la crisi in Catalogna “soltanto si risolverà con il voto”

Sánchez dice che la soluzione è il voto

 

 

 

Conviene ricordare queste cose e quelle “casualità” ogni tanto… Come dirà il grande Humphrey Bogart in Casablanca: “Ricordo ogni dettaglio. I tedeschi vestivano di grigio. Tu indossavi il blu.

 

 

 

Guardate il seguito!

Bernat Deltell. Pubblicato mercoledì 15 luglio de 2020

https://bernatdeltell.cat/don-venim-ii/

 

            * trduzione  Àngels Fita-AncItalia

 

 

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