Precedenti e ragioni dell’ascesa del processo per l’indipendenza della Catalogna (e2)

Dal 10 Luglio alla sentenza della Corte Suprema: una decade di processo (per l’indipendenza) riassunta in 20 momenti

 

Il taglio della Corte Costituzionale e la manifestazione di dieci anni fa che aprirono una fase di accelerazione che ancora non si è chiusa passando per elezioni, consultazioni, referendum, patti, divergenze e giudizializzazione

 

Nació Digital.cat – Oriol March , 10 luglio del 2020

https://www.naciodigital.cat/noticia/205630/10-j/sentencia/suprem/decada/proces/20/moments

L’undici di Settembre è diventato l’epicentro delle grandi mobilitazioni del processo (di indipendenza) | Foto : Adrià Costa

 

La sentenza della Corte Costituzionale (TC) contro lo Statuto di Autonomia catalano apriva una nuova tappa nei rapporti tra la Catalogna e lo Stato segnata dall’ascesa dell’indipendentismo -in piazza e nelle istituzioni- e da uno scontro di legittimità che ancora oggi si trascina. Il punto di partenza fu la manifestazione contro il taglio del testo, che portò un milione di persone nelle piazze per la prima volta, esattamente dieci anni fa. (Vi rimandiamo al post precedente sull’articolo “La Dignità della Catalogna” che spiega i motivi di tanta indignazione e aiuta a comprendere le origini dello scontro).

Rievoca i dieci anni di processo con la raccolta di fotografie di NacióDigital

Un periodo che ha visto una concatenazione di elezioni, lo svolgimento di una consultazione, l’organizzazione di un referendum, il cambio di leadership e l’emergere della repressione come  risposta delle istituzioni spagnole al processo (per l’indipendenza). Questi sono i 20 momenti più salienti che hanno segnato il nostro paese dal 2010.

 

1 – Rifiuto della Corte Costituzionale, protesta clamorosa indipendentista

Quando: 10 luglio del 2010 (chiamato anche 10-J, da Juliol mese di luglio)

Dove: Passeig de Gràcia di Barcellona

Cosa:
due settimane dopo la sentenza contro lo Statuto (di autonomia), un milione di persone riempirono il Passeig de Gràcia di Barcellona per protestare contro il verdetto tra grida in favore dell’indipendenza. La marcia ebbe due file di personalità in testa: una fila istituzionale, con i presidenti ed ex-presidenti de la Generalitat e del Parlamento catalano, e un’altra fila organizzata de enti culturali e sociali -con l’associazione Òmnium Cultural, sotto la guida di Muriel Casals, in testa- con il motto Som una nació, nosaltres decidim (Siamo una nazione, noi decidiamo). La concentrazione si produsse quando mancavano soltanto quattro mesi per le elezioni catalane del 2010, nelle quali Artur Mas portò la formazione CiU (coalizione tra Convergència e Unió – partiti di centro-destra) verso i 62 seggi (totale 135 seggi), dopo sette anni di governo di sinistra in Catalogna.

La richiesta principale di Mas in quelle elezioni era il patto fiscale, un nuovo modello di finanziamento ispirato al modello basco (chiamato anche concerto) che ricevette il sostegno della maggioranza del Parlamento catalano ma che non fu mai accettato dal governo spagnolo guidato da Mariano Rajoy. Il leader del PP era arrivato a Presidente del governo alla fine del 2011 e, fin dall’inizio, difese dei tagli al bilancio che, in pratica, erano già stati implementati in Catalogna. In effetti, CiU riuscì ad approvare i bilanci regionali per due anni consecutivi grazie al voto dei deputati catalani del PP. Il rifiuto esplicito di Rajoy a trattare per un nuovo patto fiscale accelerò la rottura tra due formazioni che avevano mostrato sintonizzazione anche nel parlamento spagnolo su alcune questioni, come la riforma del lavoro.


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2 – La manifestació che diede un’accelerazione inarrestabile

Quando: 11 settembre del 2012

Dove: Passeig de Gràcia di Barcellona

Cosa:
L’Assemblea Nacional Catalana (ANC) nacque nel mese di marzo del 2012 e si pose l’obiettivo immediato, tanto semplice quanto ambizioso: organizzare una grande manifestazione indipendentista a Barcellona in coincidenza con l’undici di settembre (la Diada). L’atmosfera era molto calda, perché il patto fiscale era finito in un binario morto e non restava che attendere un incontro tra Mas e Rajoy nel palazzo del governo (la Moncloa) del 20 di settembre -nove giorni dopo la manifestazione- per certificare l’avvenuto definitivo decesso. Il presidente della Generalitat, che aveva seguito la marcia in televisione dal palazzo della Generalitat, inizió a parlare di una consultazione politica sul futuro della Catalunya dopo aver constatato il grande successo della mobilitazione, e i suoi consiglieri lo convinsero ad anticipare le elezioni che avrebbero dovuto svolgersi nel 2014.

La manifestazione del 2012, la prima “Diada” di massa, scosse la politica catalana con effetti che sono evidenti ancora oggi. Il tandem Carme Forcadell-Muriel Casals (presidente dell’ANC e presidente di Omnium Cultural rispettivamente), divenne un’icona del movimento indipendentista, si affermò nella sfera pubblica e si rese protagonista delle successive mobilitazioni fino a quando entrambe fecero il salto di qualità nelle istituzioni catalane nell’anno 2015, presentandosi nelle liste di una nuova formazione politica Junts pel Sí (insieme per il Si). La marcia del Passeig de Gràcia, che sosteneva la creazione di un nuovo stato in Europa, segnò una svolta che si manifestò nelle elezioni che si tennero a novembre.

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3 – Elezioni 2012: verso il diritto a decidere

Quando: 25 novembre del 2012

Dove: Parlamento della Catalogna

Cosa: Mas sperava di ottenere una “maggioranza eccezionale”, ma non ci riuscì. L’allora leader di CiU ottenne 50 deputati, dodici in meno di quelli che aveva nella legislatura precedente, e vide come il partito ERC (sinistra republicana) guidato da Oriol Junqueras passò da 12 a 21 rappresentanti. Il presidente della Generalitat pagò molto cari i tagli di bilancio che dovette attuare nel periodo 2011-2012 -e che poi continueranno anche per la distribuzione del deficit ideata dal governo spagnolo- e, lungi dal governare il processo da solo, gli elettori collocarono Junqueras come un pezzo chiave. Il diritto a decidere diventò centrale per il governo con l’idea di tenere una consultazione sul futuro della Catalogna nel 2014, come rimase sancito dal patto di stabilità firmato da Mas e  Junqueras in una solenne cerimonia in Parlamento (catalano).

Il governo era ancora solo di CiU, ma non era privo di tensioni. La federazione nazionalista, che aveva esibito una cattiva salute di ferro per decenni, arrivò già tesa alla legislatura e, di fatto, si sarebbe sciolta dopo soli tre anni. Convergència aveva fatto una svolta verso l’indipendenza durante il congresso del partito cellebrato nella città di Reus, a marzo del 2012, ma l’altro partito Unió guidato da Josep A. Duran i Lleida si manteneva sulla posizione di concordare il diritto a decidere con lo Stato spagnolo. ERC, guidato da Junqueras, iniziò un nuovo periodo che lo avrebbe portato ad altre vittorie elettorali nel corso degli anni successivi, come quella per i deputati al parlamento spagnolo nel 2019 e, anche, nelle comunali dello stesso anno.

 

4 – La Via Catalana percorre tutto il paese

Quando: 11 setembre del 2013

Dove: Ovunque in tutta la Catalogna

Cosa:
Dopo il successo del 2012, l’ANC si pose la sfida di tornare a organizzare una manifestazione di massa senza ripetere lo stesso formato precedente. L’ispirazione venne dai paesi baltici, dove nel 1989 fu costruita una catena umana per difendere la propria indipendenza. In questo modo, centinaia di migliaia di persone unirono le mani da nord a sud del paese in una nuova dimostrazione di forza nonostante le iscrizioni in aree lontane come la zona delle Terre dell’Ebre fecero soffrire gli organizzatori fino alla fine. La cosiddetta Via Catalana aveva adempiuto al suo scopo.

La mobilitazione esercitò una maggior pressione su CiU e ERC, che all’epoca erano immersi nel rendere attuabili i termini della consultazione prevista per l’anno successivo. La doppia domanda -se si desiderava che la Catalogna diventasse uno stato e se questo stato dovesse essere indipendente- riuscì a coniugare le aspirazioni di tutte le forze politiche coinvolte, tra le quali c’erano anche ICV-EUiA e la CUP (comunisti e estrema sinistra); la CUP era entrata nel 2012 in Parlamento (catalano) con 3 deputati.

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5 – Una ‘V’ verso la consultazione

Quando: 11 settembre del 2014

Dove: Avinguda Diagonal e Gran Via di Barcellona

Cosa:
Da mobilitazione in mobilitazione, l’indipendentismo diventava sempre più forte nelle piazze. Ogni raduno dell’undici di settembre permetteva alle organizzazioni di diventare la “lepre” delle istituzioni e l’occasioni più iconica arrivò durante la marcia in forma di “V” che raggiunse la cifra di 1,800,000 persone a Barcellona. Forcadell pronunciò quelle parole che hanno segnato la sua carriera: “Presidente, metta le urne!”. C’erano dubbi palpabili sulla capacità del governo catalano di andare fino in fondo con la consultazione del  9-N (9 di novembre), e la leader dell’ANC sottolineò la propria posizione sul palco allestito nella Piazza delle Glorie Catalane mettendo in risalto le urne per la consultazione. Pochi mesi prima, l’8 aprile 2014, tre rappresentati del Parlamento catalano -Marta Rovira, Jordi Turull e Joan Herrera- erano andati in Parlamento spagnolo per chiedere una votazione concordata, ma ricevettero un clamoroso rifiuto da parte dei principali partiti.

Le discrepanze all’interno degli indipendentisti diventarono evidenti per tutto il mese di ottobre, quando si tennero fino a tre vertici con tutti gli attori nei quali l’unità vacillò. Una volta scartata dal presidente Mas la consultazione originale e avendo escogitato il “processo di partecipazione”, apparsero pubblicamente le prime crepe tra CiU e ERC, sebbene alla fine tutti i partiti aderirono per organizzare una data che ormai fa parte della storia del paese, come precursore del referendum, che sarebbe arrivato tre anni dopo con nuovi protagonisti.

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6 – La grande partecipazione del 9-N

Quando: 9 novembre del 2014

Dove: In tutto il paese

Cosa: Malgrado il pessimismo che si respirava nei partiti durante i giorni precedente al 9 di novembre, 2,35 milioni di persone andarono nei seggi elettorali per esprimere un voto al di fuori della legatlità spagnola. L’organizzazione, guidata dal ministero degli interni catalano, guidato dalla vice-presidente Joana Ortega, funzionò grazie a una vasta rete di volontari e, in serata, Mas apparve per annunciare i risultati. Nelle settimane precedenti c’erano stati dei contatti con il palazzo del governo della Moncloa attraverso intermediari come Joan Rigol, e il governo spagnolo sottolineò che l’esecutivo non poteva farsi carico dell’organizzazione nè la partecipazione.

Questo è il germe della querela presentata dal pubblico ministero contro Mas, Irene Rigau e Ortega, che è finita nella Corte Superiore di Giustizia della Catalogna (TSJC) nel febbraio del 2017. Tutti e tre sono stati dichiarati ineleggibili -la condanna contro l’ex-presidente scade tra due mesi– e più tardi fu aggiunto Francesc Homs, ministro della presidenza nel momento della consultazione. Grazie ai volontari, furono allestiti seggi elettorali anche all’estero (Londra, Milano, New York…) con una grande partecipazione. Le immagini delle code nei seggi elettorali rinforzarono le mobilitazione degli ultimi anni e, anche se il risultato non era vincolante, significò un inequivocabile mandato politico nei confronti dei partiti, che avviarono il dibattito sui passi successivi da compiere in un clima di crescente sfiducia tra Mas e Junqueras.


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7 – Le elezioni plebiscitarie avviano i 18 mesi di conto alla rovescia

Quando: 27 settembre del 2015

Dove: Parlamento della Catalogna

Cosa: Dopo il 9-N proliferarono gli incontri dei principali leader -anche i leader di CiU e ERC- e le riunioni discrete. L’unità vacillò più che mai, ma alla fine Mas e Junqueras concordarono di tenere elezioni di carattere plebiscitario per il 27 settembre del 2015, un anno dopo la firma del decreto di convocazione della consultazione del 9-N. In quel momento, i due leader accordarono -così risulta nel contratto scritto- che avrebbero corso con liste separate, anche se Mas non abbandonò mai il desiderio di formare una lista unitaria. Quando la federazione CiU si sciolse, l’ex-presidente lanciò una nuova proposta a ERC -con l’approvazione dell’ANC allora guidata da Jordi Sànchez- che portò alla creazione di Junts pel Sí (insieme per il Si), collocando Raül Romeva nella lista come numero 1 per Barcellona mentre Carme Forcadell e Muriel Casals erano al secondo e terzo posto, rispettivamente. L’obiettivo era quello di ottenere la maggioranza assoluta per raggiungere l’indipendenza in 18 mesi, come era indicato nel programma elettorale.

La notte del 27-S, però, lasciò Junts pel Sí con 62 seggi, lungi dal risultato previsto, mentre la CUP (estrema sinistra) otteneva 10 seggi che sarebbero stati decisivi fin dal primo momento della legislatura. Gli anti-capitalisti, con Antonio Baños come candidato, mantennero fino alla fine il veto sull’investitura di Mas come presidente costringendo al movimento Junts pel Sí di muoversi. La legislatura iniziò con una dichiarazione di inizio del processo che lasciava le risoluzioni della Corte Costituzionale in secondo ordine e si impegnava a raggiungere l’indipendenza. Il testo cadde come una bomba nel Governo di Mas, sospettoso di qualsiasi accordo con la CUP. Il plebiscito non era vinto – il 48% dei voti per l’indipendentismo, pur con la maggioranza assoluta dei seggi-, e il processo ancora vivo e vegeto nelle istituzioni.


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8 – Esce Mas, entrano Puigdemont e il referendum

Quando: 10 gennaio del 2016

Dove: Parlamento della Catalogna

Cosa: Quando il paese si stava dirigendo verso un’altra convocazione elettorale frutto del disaccordo tra  Junts pel Sí e la CUP, Mas decise di fare un “passo indietro” e scelse Carles Puigdemont come successore. In quel momento, Puigdemont era sindato della città di Girona e presidente dell’Associazione di Municipi per l’Indipendenza (AMI), e dovette decidere in brevissimo tempo se assumere il compito di sbloccare la legislatura. Fu investito il 10 gennaio del 2016, quando il termine stava per scadere. Ricevette il sostegno -non unanime- della CUP, che si era divisa con il veto sul leader di Convergència.

Consapevole che il plebiscito non era stato vinto con il 50% dei voti e che la tabella di marcia doveva essere ridefinita, Puigdemont scelse questa formula: “Referendum o referendum”. La priorità era concordare con lo Stato; se non era possibile, sarebbe stato organizzato unilateralmente. Diede l’incarico di occuparsi dei dettagli a Junqueras e a Raül Romeva nel corso di una mozione di sfiducia derivada dal fatto che gli anti-capitalisti non accettarono il primo bilancio per la regione di Junts pel Sí. Con il referendum all’orizzonte, l’esecutivo raggirava le crisi che sorvolavano nell’aria –cambiamenti nel Governo inclusi– per arrivare a mantenere la promessa di collocare le urne vincolanti.


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9 – Il 20 di settembre infiamma gli animi

Quando: 20 settembre del 2017

Dove: Ministero catalano dell’Economia

Cosa: I preparativi per il referendum sono stati portati a termine nella discrezione più assoluta. Coinvolse la macchina governativa -senza l’esecutivo, il 1° di ottobre non sarebbe stato possibile- e anche il cosiddetto stato maggiore, nel quale confluivano partiti e associazioni. Si concluse che era la formula migliore per superare la sfiducia quando mancavano pochi mesi al voto e il Governo aveva già firmato un documento in cui si impegnava per il 1° ottobre (1-O). A giugno del 2017, dopo il rifiuto dello Stato a concordare un referendum -Puigdemont, Junqueras e Romeva si recano a Madrid per tendere la mano, come avevano già fatto a gennaio a Bruxelles-, si decide di stabilire una data e una domanda per la votazione. Si va in dirittura di arrivo, e il decreto di convocazione viene firmato il 6 settembre del 2017 in una sala del Parlamento catalano dopo l’approvazione della legge che proteggeva il referendum. Il giorno dopo si sarebbe fatta la stessa cosa con la norma di transitorietà giuridica. La camera catalana si collocava, quindi, ai margini della legalità spagnola in un clima di tensione tra i diversi gruppi.

Si nascondono le urne in assoluta segretezza, grazie a una rete di volontari che riesce a beffare la polizia spagnola. La polizia cerca disperatamente le urne per poter dimostrare un controllo del territorio che, ormai, risulta perso definitivamente.

I piani dello Stato per impedire il 1-O erano già in corso. Il 20 di settembre è il giorno in cui i cittadini scoppiano dopo gli arresti di quindici alti funzionari del Governo coinvolti nella preparazione del  referendum. Una folla si radunò davanti alle porte del Ministero di Economia catalano per protestare contro le perquisizioni della polizia. Jordi Sànchez e Jordi Cuixart chiedono a tutti di tornare a casa verso mezzanotte e salgono sopra una jeep della Guardia Civil per farsi ascoltare meglio dagli astanti. Soltanto 26 giorni dopo sarebbero entrati in carcere preventivo con l’accusa di sedizione, e più tardi condannati definitivamente. Quella notte di fine estate rende evidente lo scontro tra lo Stato e la Catalogna, poi esacerbato dalle immagini del 1-O.


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10 – Il referendum diventa lo spartiacque tra prima e dopo

Quando: 1 Ottobre del 2017 (chiamato anche 1-O)

Dove: Dappertutto in Catalogna

Cosa: Dopo gli eventi del 20 settembre, lo Stato decise di prendere il controllo “de facto” della polizia catalana (conosciuti come Mossos) e di mandare migliaia di poliziotti spagnoli in Catalogna con l’obiettivo di fermare il referendum. Furono alloggiati in navi –alcune di queste molto appariscenti e motivo di beffa da parte della popolazione- nel Porto di Barcellona e agirono duramente contro i cittadini che si radunavano nei seggi elettorali. Si votava nelle urne, acquistate e trasportate in clandestinità e senza che i servizi segreti spagnoli -con Soraya Sáenz de Santamaría (vice presidente del governo spagnolo) come responsabile politica- riuscissero a trovarle. Le immagini dell’1-O erano contradittorie: da un lato, normalità assoluta e affluenza di votanti -fins a 2,3 milioni- nella maggior parte dei seggi; dall’altra parte, violenza della polizia in alcune scuole selezionate dove Puigdemont o Forcadell dovevano votare, per esempio. Il numero di feriti superò il migliaio, secondo i dati ufficiali.

La giornata fu frenetica, con il centro internazionale per la stampa organizzato da Mediapro, scelto come luogo per le apparizioni pubbliche e con il Palazzo della Generalitat come centro per la raccolta dei dati. La Generalitat informò che la mobilitazione raggiunse i 3 milioni di persone, ma la repressione impedì il conteggio di circa 700.000 voti. Il censimento universale, in ogni caso, permise di superare le difficoltà logistiche. In serata, Puigdemont insieme al Govern tennero un discorso nel Palazzo della Generalitat che indirizzava verso la dichiarazione di indipendenza, ma senza precisare. Iniziava un periodo di massima incertezza in cui il dibattito era: convocare elezioni o proclamare la repubblica?


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11 – Indipendenza dichiarata, futuro incerto

Quando: 27 ottobre del 2017

Dove: Parlamento della Catalogna

Cosa: L’1-O aprì un periodo di mediazione e trattativa tra lo Stato e la Generalitat, con multipli attori e intermediari, teso a evitare la dichiarazione di indipendenza -da parte spagnola- e ad allontanare la minaccia dell’applicazione dell’art. 155 che avrebbe tolto l’autonomia alla Catalogna -da parte catalana-. Sebbene la legge del referendum stabiliva che il Governo catalano doveva comunicare il risultato al Parlamento e applicarlo entro due giorni, Puigdemont non comparve nella camera catalana fino al 10 ottobre, quando lasciò sospesa la proclamazione della Repubblica con lo scopo di iniziare una nuova fase di dialogo con Madrid. Ma sei giorni dopo, Sànchez e Cuixart furono incarcerati preventivamente per ordine dell’alta Corte Nazionale e le tensioni all’interno del Governo diventarono sempre più forti, anche tra l’esecutivo e lo stato maggiore del processo, fino a quando si riunirono il 25 ottobre protraendo l’incontro fino all’alba.

Fu la prima volta -e l’ultima- che si videro tutti insieme. Si decise di convocare nuovamente elezioni -opzione scelta da Puigdemont e difesa da Junqueras (ERC) particolarmente silenzioso in quei giorni-, ma l’indomani tutto andò storto per due motivi: la tensione all’interno del gruppo parlamentare di Junts pel Sí e la mancanza di garanzie sulla retromarcia dello Stato nell’applicare l’articolo 155 che era già pronto per uscire dal forno del Senato. Infine, il Parlamento dichiarò l’indipendenza in una sessione piuttosto triste, con i discorsi del presidente e del vicepresidente che non chiarivano cosa sarebbe successo nei giorni successivi. L’incertezza prese il sopravvento e non scomparve più per molto tempo.


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12 – Carcere ed esilio

Quando: 30 ottobre e 2 novembre del 2017

Dove: Alta Corte Nazionale e Belgio

Cosa: Con il 155 applicato, la Generalitat commissariata, il Parlamento sciolto e nuove elezioni regionali convocate da Rajoy, l’indipendentismo era in stato di shock. Le decisioni che i membri del governo catalano dovettero affrontare nei giorni posteriori alla dichiarazione di indipendenza erano basate sull’esilio o sul rischio di andare in prigione. Il procuratore generale dello stato intentò una causa contro l’intero esecutivo e contro Carme Forcadell (presidente della camera catalana) per ribellione, e l’Alta Corte Nazionale e la Corte Suprema -dove prestò dichiarazione l’ex-presidentessa del Parlamento- li convocò tutti per il 2 novembre. Quello stesso giorno, metà del Governo entrò nelle carceri di Estremera e di Alcalá Meco, allungando così  la lista dei prigionieri politici.

Nel frattempo, in Belgio, Puigdemont iniziava una nuova fase in esilio con Toni Comín, Lluís Puig, Clara Ponsatí e Meritxell Serret. Affrontarono i primi mandati di arresto europeo, tutti respinti, mentre il presidente fondava il partito Junts per Catalunya (JxCat) preparandosi a lo scontro politico con Junqueras alle urne del 21 Dicembre. Da allora, i viaggi della gente verso Bruxelles o verso le carceri divennero abituali. Sia il Belgio che il carcere di Estremera divennero gli epicentri della politica catalana in un periodo di sconcerto che non si sarebbe risolto nemmeno con le elezioni del 21-D.

 

13 – Elezioni sotto l’atmosfera cupa dell’art. 155

Quando: 21 dicembre del 2017

Dove: Parlamento della Catalogna

Què:
I cittadini, scioccati e ancora sotto l’influsso della violenza del 1-O, del carcere e dell’esilio del governo legittimo deposto, andarono in massa a votare prima di Natale del 2017. La vittoria del partito Ciutadans (pro-spagnolo), non rallentò il processo di indipendenza: la somma dei partiti indipendentisti (JxCat -34-, ERC -32- e CUP -4-) diede ancora maggioranza assoluta all’indipendentismo. Puigdemont, contro ogni previsione, si impose a Junqueras per 12.000 voti, e diventava il candidato con il maggior supporto per essere nuovamente investito presidente. Nonostante ciò, le manovre giudiziarie dello Stato e il rifiuto di ERC a tendere troppo la corda impedirono l’investitura di Puigdemont e il suo ritorno in Catalogna, come aveva promesso in campagna elettorale.

Una campagna elettorale nella quale poterono partecipare Josep Rull, Jordi Turull, Dolors Bassa, Raül Romeva, Carles Mundó e Meritxell Borràs dopo il loro breve passaggio in carcere. Alcuni di loro sarebbero rientrati a marzo, altri restarono in libertà in attesa di processo. Fu la campagna elettorale più eccezionale che la Catalogna abbia mai vissuto, con la Generalitat commissariata, prigionieri politici ed esiliati, e si concluse con un risultato che Rajoy non avrebbe mai voluto. Lui convocò il 21-D per far perdere la maggioranza all’indipendentismo e non ci riuscì. Il leader del PP ancora non lo sapeva, ma sarebbe rimasto ancora per poco nel palazzo della Moncloa.

 

14 –Torra, soluzione di emergenza

Quando: 14 maggio del 2018

Dove: Parlamento della Catalogna

Cosa: Dopo il fallimento dell’investitura di Puigdemont, JxCat propose come candidato Jordi Sànchez (che era in carcere preventivo). Incontrando per ben due volte il rifiuto del giudice  Pablo Llarena di farlo uscire dal carcere e con l’impossibilità di seguire un dibattito a distanza (peraltro, fattibile). In questo contesto, gli indipendentisti proposero Jordi Turull come candidato (libero ma in attesa di processo). Il 22 marzo del 2018 lesse il suo discorso in Parlamento consapevole che il giorno dopo sarebbe entrato in carcere per ordine dellla Corte Suprema, dove era finito sotto processo per ribellione. La CUP decise di non votare l’investitura al primo giro impedendo de facto che diventasse presidente. Ciò costrinse a cercare un’alternativa, che finalment ricadde su Quim Torra.

All’epoca, Puigdemont gestiva JxCat dalla Germania, dove fu arrestato il 25 marzo al suo ritorno dalla Finlandia. Nonostante i dodici giorni trascorsi in carcere, fu rilasciato e la corte di Schleswig Holstein rifiutò di concedere l’estradizione per ribellione. Torra, ingaggiato come indipendente, soddisfaceva le caratteristiche necessarie per convincere la CUP. L’editore ed ex-dirigente assumeva quindi la responsabilità più alta della Catalogna in un momento complesso, come si dimostrò fin dall’inizio: lo Stato non gli permise di nominare i ministri che voleva -alcuni di loro in carcere preventivo, altri in esilio- e tutti capirono che l’ombra del 155 si sarebbe allungata ancora. Il suo arrivo a Palau (palazzo) coincise con quello di Pedro Sánchez alla Moncloa dopo un mozione di sfiducia eseguita a tempo di record.

 

15 –Mozione di sfiducia inaspettata

Quando: 1 giugno del 2018

Dove: Parlamento spagnolo (Cortes Españolas)

Cosa: A Sánchez piace vantarsi del suo spirito di sopravvivenza e resistenza. Fu spodestato dal PSOE per aver forzato l’astensione nell’investitura di Rajoy nel mese di ottobre del 2016, ma tornò alla segreteria generale del partito dopo elezioni primarie che vinse superando la rivale Susana Díaz e la vecchia guardia del partito. Il passo successivo fu completamente inaspettato: emergere vittorioso da una mozione di sfiducia per la prima volta nella democrazia spagnola. Fu presentata dopo la sentenza del caso Gürtel (una enorme rete di corruzione del PP) che accreditava il finanziamente illecito del PP, e se la cavò grazie al sostegno dell’indipendentismo e dei partiti regionalisti. Si apriva una nuova fase di dialogo con lo Stato che presto sarebbe scivolato nelle sabbie mobili della sfiducia.

Sebbene Torra e il leader del PSOE si siano incontrati a luglio 2018 e i due governi si dessero appuntamento nel palazzo di Pedralbes di Barcelona per il 20 dicembre, la controversia nel accettare la presenza di un relatore durante le trattative, rovinò i tentativi di riavvicinamento. Sánchez, con il processo sul 1-O già in corso, vide come il congresso spagnolo bocciava la legge di bilancio e decise di convocare nuove elezioni. Vinse ma, le elezioni furono convocate di nuovo, per l’incapacità di raggiungere un accordo con Podemos. L’arrivo dei socialisti al Governo non ha fermato la repressione contro i catalani –come si evidenzia dalla situazione giudiziaria dei leader indipendentisti e dagli arresti come quello dei membri CDR avvenuto il 23 settembre-, ma la musica che arriva dalla Moncloa (ora socialista) appare diversa da quella trasmessa da Rajoy.

 

16 – Processo contro l’indipendentismo

Quando: 12 febbraio del 2019

Dove: Corte Suprema

Cosa: Fu l’evento che segnò il 2019 e che, in un certo senso, continuerà a librarsi sulla scena politica del 2020. Il primo giorno del processo fu particolarmente simbolico perché erano mesi – anni, in alcuni casi- che molti dei protagonisti non si vedevano di persona. L’udienza orale alla Corte Suprema, condotta dal giudice Manuel Marchena che oscillava tra formalità impeccabile e procedura implacabile, è durata quattro mesi e funzionò sia come autopsia del processo d’indipendenza –specialmente sugli eventi del 2017- sia per prendere atto della distanza emotiva tra la Catalogna e la Spagna. Il proceso, trasmesso in TV e intervallato dalle elezioni del 2019, permise di veder le difese tecniche –come quella di Joaquim Forn o di Dolors Bassa, consigliati dai loro avvocati- e quelle politiche, con Jordi Cuixart e il motto Ho tornarem a fer  (lo rifaremo) come riassunto finale.

La Corte Suprema, in un certo senso, divenne durante 52 sedute –nel mezzo di due cicli elettorali, comunali ed europee- il forum di dibattito del referendum e della dichiarazione di indipendenza, con una grande presenza di politici –Mariano Rajoy, Soraya Sáenz de Santamaría, Artur Mas, Íñigo Urkullu- e di testimonianze della polizia che, allineati con il Pubblico Ministero, tentarono di provare la tesi della ribellione. La sentenza arrivò a ottobre. La condanna per sedizione contro i principali responsabili del processo di indipendenza, complessivamente andava oltre i 100 anni di carcere, incendiò gli spiriti e portò l’indipendentismo –istituzionale e cittadino- en una dimensione sconosciuta.


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17 – Disordini di piazza a causa della sentenza

Quando: 18 ottobre del 2019

Dove: Piazza Urquinaona (Barcellona)

Cosa: La settimana dal 14 al 18 ottobre del 2019 fu molto tesa in tutto il paese catalano. La mobilitazione del “Tsunami” all’aeroporto provocò violente cariche della polizia catalana (Mossos) contro i manifestanti, un’immagine che si ripetè anche nei giorni seguenti e che mise il ministro degli interni del governo catalano, Miquel Buch, nell’occhio del ciclone. Torra arrivò a pensare di destituirlo. Il Palazzo della Generalitat era  un fascio di nervi, con una commissione di monitoraggio delle proteste che si riuniva più di una volta al giorno per centralizzare il numero di feriti e di arrestati nel pieno del veto istituzionale di Sánchez al presidente catalano per –secondo il leader del PSOE- non esser abbastanza duro nel condannare la “violenza”.

I disordini più forti si verificarono il 18 ottobre nella Piazza Urquinaona di Barcellona, teatro di una battaglia campale tra manifestanti e forze di polizia. Gli agenti spagnoli spararono proiettili di gomma, vietati in Catalogna, agendo in modo perfettamente coordinato con i Mossos catalani. Il ministro Fernando Grande-Marlaksa supervisionò i dispositivi a fianco di Buch presso il ministero degli interni catalano. Le immagini ebbero un forte impatto sulla stampa internazionale e mostrarono un grande disagio di fondo tra i più giovani per la sentenza. Furono i momenti più tachicardici di tutto l’anno e, sicuramente, dell’ultimo decennio di manifestazioni.

 

18 – Giustizia in Europa

Quando: 19 dicembre del 2019

Dove: Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Lussemburgo)

Cosa: Il 19 dicembre dell’anno scorso era una data segnata in rosso nelle sedi centrali dei partiti catalani ERC e JxCat, perché la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (TJUE) doveva pronunciarsi sull’immunità di Junqueras come europarlamentare. Il verdetto era in linea con le previsioni più ottimistiche degli avvocati coinvolti nella causa, perché significava esautorare la Corte Suprema spagnola: il leader repubblicano sarebbe dovuto uscire dal carcere per ritirare l’accredito nell’Europarlamento.

Una battuta di arresto per lo stato spagnolo che, di rimbalzo, beneficiava anche a Puigdemont e a Comín, che il giorno dopo ottennero l’accredito provvisoria nel Parlamento Europeo. Il presidente, con l’immunità parlamentare in tasca ma con un mandato d’arresto europeo abita in Belgio, e programma di viaggiare per il continente organizzando un evento nella Catalogna del Nord (francese), specialmente a Perpignano. La libertà di Junqueras, e il futuro dei mandati di arresto europei, sono ancora nelle mani della giustizia spagnola, colpita e ferita dopo il verdetto della Corte Europea.

 

19 – Il presidente, condannato

Quando: 19 dicembre del 2019

Dove: Corte Superiore di Giustizia della Catalogna

Cosa: Meno di due ore dopo il verdetto della Corte europea, il Tribunale Superiore di Giustizia della Catalogna (TSJC) rendeva pubblica la condanna di un anno e mezzo di interdizione contra Torra (presidente del governo catalano in funzioni) per uno striscione con un fiocco giallo appeso sul balcone del palazzo della Generalitat. Una decisione ormai attesa, ma che ha un impatto rilevante sulla legislatura in corso. La sentenza non è ferma, perché la difesa del presidente, diretta da Gonzalo Boye, riesce a portare il caso alla Corte Suprema e chiederà di pronunciare questioni pregiudiziali in Europa. Il dirigente di JxCat sostiene che “soltanto il Parlamento” può togliergli la carica, e promuoverà un voto affinché la camera possa ratificare il sostegno il sostegno. Nel discorso di Fine Anno assicurò che non avrebbe “permesso” nè “accettato” che nessuno, nemmeno la “Junta Electoral Central” (JEC), “soppianti” la sovranità dei catalani.

Torra volle accelerare verso l’autodeterminazione nelle prime mosse del 2020 –convocò partiti e associazioni per costruire un “accordo nazionale” in questo senso, ma non fu possibile, anche per l’irruzione della pandemia – mentre il dibattito per l’anticipo delle elezioni –Puigdemont sta calibrando la possibilità di candidarsi- ha preso sempre più piede. Infatti, ci sono buone probabilità che questo scenario si avveri e che i comizi si tengano tra l’autunno e l’inverno di quest’anno, perché la Corte Suprema deciderà sull’interdizione dopo il 17 settembre. Allo stesso tempo, il suo Governo ha approvato il bilancio grazie al sostegno dei “Comuni” con chi aveva già concordato, alla fine del 2019, un capitolo di entrate attraverso una riforma fiscale. La condanna e il coronavirus hanno aperto una nuova fase della presidenza di Torra, un leader sottoposto  a grandi pressioni interne ed esterne.

 

20 – Investitura di Pedro Sánchez

Quando: Gennaio del 2020

Dove: Congresso dei Deputati (Cortes españolas)

Cosa: Il 2019 è finito con l’accelerazione dell’investitura di Sánchez. Ottenne l’astensione di ERC in cambio di un tavolo di dialogo istituzionale –che si è incontrato solo una volta prima della pandemia, il secondo appuntamento è in attesa di risolvere le discrepanze tra i soci del Palazzo della Generalitat- e di una consultazione sul contenuto che possa uscirne. L’episodio ha causato disagio tra JxCat e ERC, tra Torra e il vicepresidente Pere Aragonès, e suppone una nuova crisi per i due partner. Il partito di Puigdemont (JxCat) ha mantenuto il rifiuto a Sánchez sostenendo che l’accordo “indeboliva” l’indipendentismo e mancava di “lealtà”.

Il leader del PSOE, in ogni caso, è arrivato alla Moncloa grazie a una patto con Pablo Iglesias, dopo averle posto il veto l’estate scorsa. Socialisti e Unidas Podemos si sono impegnati ad abrogare la riforma del lavoro, aumentare le tasse per i redditi alti e a mantenere aperto il “percorso politico” per risolvere il “conflitto politico” con la Catalogna. Una svolta a sinistra che suppone una altro episodio nella traiettoria  camaleontica di Sánchez, e che con lo stato di allarme e la gestione della pandemia non ha avuto problemi a cercare i voti del partito “Ciudadanos” (di destra) nel Congresso dei Deputati, per portare avanti delle misure “urgenti”.

 

* traduzione  Àngels Fita-AncItalia

https://www.naciodigital.cat/noticia/205630/10-j/sentencia/suprem/decada/proces/20/moments

 

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