Le prime auto catalane e la reazione del potere spagnoloMarc Pons – Barcellona – 31 maggio 2020 |
Barcellona 14 aprile 1890. 130 anni fa. L’ingegnere Francesc Bonet i Dalmau (Valls, 1840 – 1898) metteva in circolazione la prima automobile della storia della Catalogna e della penisola iberica. La Bonet, che il suo ideatore aveva brevettato il 12 dicembre del 1889, era un triciclo da 4 posti sospinto da un motore a scoppio Daimler de 2.5 CV fabbricato in Germania. In compenso il disegno e la costruzione del telaio erano interamente catalani. La prima Bonet fu allestita in una fabbrica tessile situata in via Diputació a Barcellona e i suoi primi viaggi (tra Barcellona e Gràcia) avrebbero determinato un grande impatto sociale, culturale ed economico.
Quando la Bonet mise le ruote sul selciato del Passeig de Gràcia, erano passati solo quattro anni (1886) da quando i primi veicoli motorizzati della storia lo avevano fatto per le strade di Stoccarda e Monaco. Bonet pose la prima pietra di un’industria automobilistica catalana che, durante i primi anni del XX secolo, promosse la creazione di un tessuto industriale che avrebbe trasformato la Catalogna in una potenza automobilistica: nel 1898, nacque La Cuadra (che nel 1904 sarebbe stata trasformata in Hispano-Suiza); nel 1908, la Vallet i Companyia (che nel 1910 sarebbe stata trasformata in Biada-Elizalde), e nel 1912, l’Abadal i Companyia (in seguito Abadal-Buick). Nel 1915, quando era trascorso un quarto di secolo dal primo viaggio della Bonet, a Barcellona c’erano tre fabbriche di automobili; che non solo erano leader nel mercato della penisola, ma che facevano concorrenza – e spesso superavano – i modelli dei grandi marchi francesi e tedeschi dell’epoca. Questo dettaglio non passò inosservato ai governi spagnoli dell’epoca, i quali, lungi dal promuovere politiche favorevoli al consolidamento dell’industria automobilistica catalana, la sottoposero ad una brutale pressione con il solo scopo di delocalizzarne la produzione. Nel caso dell’Hispano-Suiza, il fiore all’occhiello dell’industria automobilistica catalana, il governo spagnolo ricorse al ricatto più brutale. In effetti, la Hispano-Suiza era diventata uno dei marchi automobilistici leader del continente. I suoi modelli erano esportati in tutta Europa e in Sudamerica. A quell’epoca la compagnia era guidata dai catalani Damià Mateu e Francesc Seix e dallo svizzero Marc Birkigh. In Catalogna, Enric Prat de la Riba aveva già creato la Mancomunitat (1) e il suo lavoro politico – con tutti i limiti economici del mondo – aveva già costruito un sistema di educazione tecnica. Il governo della Spagna era presieduto dal conte di Romanones, che poco prima (1909) aveva provocato la guerra di Melilla per interessi strettamente personali. In questo scenario e con il concorso imprescindibile del re Alfonso XIII – il bisnonno del re Filippo VI (i Borboni sono sempre nel mezzo di queste manovre) – la Hispano-Suiza fu costretta ad aprire una fabbrica a Guadalajara. È interessante notare che questa piccola capitale castigliana viveva una situazione di crisi da quando un secolo prima (1822) Ferdinando VII – bisnonno di Alfonso XIII – aveva decretato la chiusura della Real Fábrica de Paños per mancanza di redditività. E la manovra di Guadalajara, che comportò il trasferimento forzato di personale tecnico e manodopera specializzata, fu mascherata – ufficialmente giustificata – dall’interesse del marchio ad avvicinarsi fisicamente al suo mercato di Madrid. Ma la verità è che a nessuno è sfuggito (lo rivelano fonti storiche) che l’operazione aveva una forte componente politica. A quel tempo, le auto erano un prodotto di lusso e la loro produzione suscitava una grande attenzione mediatica che alimentava il prestigio dell’ambiente sociale e del territorio in cui erano costruite quelle macchine favolose. Il cerchio si chiude quando veniamo a sapere che Álvaro de Figueroa y Torres-Mendieta, conte di Romanones (icona spagnola del politico palatino, manovriero e senza scrupoli), in quel momento presidente del governo spagnolo per il Partito liberale, era originario di Guadalajara e la sua famiglia aveva lì importanti interessi economici. Con la scomparsa dei fondatori – negli anni Trenta – Hispano-Suiza entrò in una situazione di crisi, che costrinse la società a vendere la divisione di produzione automobilistica (gli impianti de L’Eixample e La Sagrera) alla Fiat, il gigante automobilistico italiano. Questa operazione è all’origine di Seat, che sarebbe apparsa dopo la guerra civile. Ma nemmeno in questo modo la vecchia Hispano-Suiza (cioè l’icona dell’industria automobilistica catalana) poté sbarazzarsi dell’ingerenza del potere spagnolo. Dopo la guerra civile (1936-1939), il regime di Franco tentò in tutti i modi di convincere la Fiat a spostare l’ex Hispano-Suiza intorno a Madrid.
Questi dettagli – le manovre di Romanones e Franco – spiegano molto bene che la Catalogna, per secoli, ha lavorato con uno stato contro di essa. In quell’occasione, la “leva del cambio” fu Juan Antonio Suances Fernández, un amico personale del generale Franco, fondatore dell’INI (Istituto Nazionale dell’Industria) e Ministro dell’Industria. Ma la seconda guerra mondiale era finita (1945) con il risultato che tutti sappiamo e l’influenza che Franco avrebbe potuto avere sul nuovo regime democratico italiano era nulla. Gli Agnelli (i proprietari della Fiat) rifiutarono categoricamente di spostare la fabbrica e dissero al dittatore che a Barcellona avevano le risorse umane e la situazione strategica adeguate. Franco inaugurò lo stabilimento di Seat nella zona Franca (1950) masticando vetro. Da allora, sono passati quasi tre quarti di secolo e un cambio di regime. Ma la cultura diffusa da Queipo de Llano, uno dei leader della ribellione militare del 1936 (“raderemo al suolo Barcellona”) non è scomparsa. Se torniamo alla storia più recente – dalla proclamazione del regime costituzionale – scopriamo che questo attacco storico e permanente all’industria catalana (anche automobilistica) si è evoluto nel campo del disinvestimento pubblico ed è stato praticato da tutti i tipi di governo. E quando c’è bisogno di una mano, arrivano i Borboni. Basta ricordare cosa è successo il 3 ottobre 2017: le lunghe e funeste ombre di Alfonso XIII, dei Romanones, di Franco o Suances – e di tanti e tanti altri – che Queipo de Llano ha riassunto nel suo proclama. Ombre lunghe e funeste che hanno sempre oscurato il panorama industriale catalano e che spiegano il capitolo più recente di questa storia: il dramma Nissan (2). Chissà se Nissan finirà per chiudere, ma come insegna la storia potrebbe riapparire in un altopiano desolato, vicino a un’autostrada vuota ma in modo sospetto vicina a oscuri affari politici e a sporchi interessi personali. Dovremmo sorprenderci? *traduzione Claudia Daurù
(1): La Mancomunitat de Catalunya è stata una istituzione, attiva tra il 1914 e il 1925, che riuniva 4 province catalane (Barcellona, Girona, Tarragona e Lleida). Sotto il suo governo furono realizzate opere fondamentali per la società catalana: un efficiente sistema di strade, porti, ferrovie, rete telefonica, scuole, biblioteche, opere sanitarie e molto altro. Il suo motto era “non ci sia nessun comune senza scuola, biblioteca, telefono e strade” (2): l’autore fa riferimento alla possibile chiusura dello stabilimento Nissan vicino Barcellona.
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