‘La Catalogna mette il dito nella piaga Europea’

Andrea Lapponi: ‘La Catalogna mette il dito nella piaga Europea’

Intervista in due tempi al musicista italiano residente a Barcellona, autore del ‘Diario della Catalogna’

Vilaweb.catMartí Estruch Axmacher – 01.05.20

 

La prima traccia su Andrea Lapponi me la diede, come non poteva essere altrimenti, l’amico Marco Giralucci, che è sempre aggiornato su qualsiasi cosa succeda in Catalogna relativa all’Italia. Ma nemmeno Marco ne sapeva molto: soltanto che Lapponi è un musicista, che abita a Barcellona e che ha pubblicato il Diario della Catalogna, una raccolta di testi che descrivono i fatti che segnarono la Catalogna tra il 27 settembre 2017 e il 14 ottobre 2019. Ma era già abbastanza allettante per programmare un incontro con il musicista scrittore, apparso nel giardino del Museo Marittimo di Barcellona poco prima dell’inizio dell’isolamento per covid-19, quando ancora potevamo guardarci in faccia, con una maglietta antifascista svedese e un giubbotto nero. Fondamentalmente abbiamo parlato del libro, ovvio, sebbene alcuni dei suoi avi sembrano personaggi usciti da un romanzo e meriterebbero un’altra chiacchierata. Dopo aver aspettato invano un certo ritorno alla ‘normalità’ per pubblicare l’intervista, abbiamo deciso di farlo ora aggiungendo alcune domande sull’attualità in chiusura, alle quali Lapponi ha risposto tramite WhatsApp.

 

Ha scritto un libro, ma è un musicista. Che tipo di musica fa?
—Quella che mi piace, ed è molto varia. Dall’elettronica, hip-hop e rock fino al heavy-metal o al blues, di tutto… Tranne il jazz, non è il mio linguaggio, anche se mi piace ascoltarlo.

Vive di musica?
—Prima si, ora non più. E nemmeno prima ero esclusivamente un musicista. In Italia ho lavorato in una casa discografica, in radio, in una sala di concerti, ho fatto la guida…

E come mai nel 2008 arriva a Barcellona?
—Vivere a Roma è stancante, stressante, e anche violento. Invece qui, la gente sorride e quando entri in un autobus ti salutano.

Nell’introduzione del libro dice di aver trovato una citta accogliente e solidale, tollerante e impegnata. E’ questa la sua visione sulla Catalogna?
—Assolutamente si. Qui c’è un senso civico e un modo di vivere molto diverso dall’Italia.

Vi è rimasto per questo? Un altro catalano?
—Si. Ho venduto l’appartamento che avevo a Roma e ne ho acquistato uno qui. Ma mi considero un italiano che vive in Catalogna.

L’origine del Diario della Catalogna sono dei testi pubblicati su Facebook. Come mai?
—La gente di The Globalist si mise in contatto con me. Mi dissero che non c’era nessuno in Italia che spiegasse le cose che io spiegavo nei miei posts e mi chiesero il permesso per pubblicarli. E dopo

qualche tempo, arriva altra gente e mi propongono: ‘Perché non ne facciamo un libro?’ Io, da musicista sono abituato a dover lottare molto per i progetti, e devo dire che rimasi sorpreso che questo fosse arrivato così, caduto dal cielo. Inoltre, io non sono uno scrittore, non scrivo nemmeno tanto bene.

Perché scriveva?
—All’inizio, perché ero stanco di litigare con i miei amici italiani. Fino a quando capii che mancava informazione. ‘Quando sarete informati, potremo continuare a parlare.’ Appena iniziai a pubblicare i post, ho subito avuto seicento lettori dai cinquanti iniziali. La maggioranza non li conoscevo ma mi dicevano che non si fidavano dei giornali italiani e che, invece, si fidavano di me.

Il suo diario è molto giornalistico, molto descrittivo. Fugge apposta dalle emozioni o dalle valutazioni personali?
—Sí. Credo che per fare informazione bisogna mantenere una certa distanza. Voglio che la gente si crei la propria opinione, non voglio trasmettere o imporre la mia. Certamente non è un libro accademico, ma è stato pensato per la signora che va al mercato.

Dunque, mi sembra di capire che vuole, in parte, colmare una lacuna: siccome i giornali non informano correttamente sul conflitto catalano, lo faccio io. Non salva nessuno dalla stampa italiana?
—Giornale, nessuno; giornalista, qualcuno. Ma perfino “Il Manifesto”, giornale di sinistra che ancora oggi si proclama comunista, ha scritto cose sulla Catalogna che, oltre a essere orribili, sono false!

Crede che per chi non vive in Catalogna sia difficile da capire cosa succede qui e di quale conflitto parliamo?
—Sí. Nel caso dell’Italia è una questione di mentalità. Per un paese diviso e invaso da francesi, austriaci, borboni, ecc., l’unità significa libertà. Un paese che riduce tutte le sue multipli lingue a una sola per la libertà non capisce che qualcuno voglia intraprendere la strada opposta. Gli italiani, come succede in altri luoghi, guardano il mondo con occhi italiani, e questo è un problema. ‘Unità’ è ‘libertà’ in Italia, ma non deve essere necessariamente così ovunque.

Per un italiano, credere che gli indipendentisti catalani sono come i seguaci della Lega Nord è l’associazione più semplice?
—Sí. Per questo credo sia importante sottolineare il fascismo rimanente nello stato spagnolo, perqué questo sì che si riesce a capire in Europa. La maggioranza non sa la quantità di fascismo che ancora oggi c’è nello stato spagnolo. La gente non lo sa. Per esempio, solo quando sono arrivato qui ho scoperto il funzionamento del tribunale dell’”Audiencia Nacional”.

Anche se nel libro non si schiera molto, la sua posizione non è neutrale.
—Io credo che il conflitto tra la Catalogna e la Spagna è una buona opportunità per la sinistra europea, evidentemente sprecata. In un momento in cui la UE non funziona e lo stato-nazione è un concetto del passato, abbiamo bisogno di una nuova UE, con sovranità popolare. La Catalogna mette il dito nella piaga dell’Europa. Inoltre, bisogna stare all’erta, perché in Italia ci sono dei personaggi come Salvini che si appropriano della parola sovranità per i propri interessi nazionalisti e fascisti.

Le sue origini famigliari hanno a che fare con questo punto di vista?
—Da parte di mia madre vengo da una famiglia con una forte tradizione antifascista. Mio bisnonno e suo fratello erano i fratelli Rosselli, ben noti in Italia. Fecero cose importanti, oltre a consumare il patrimonio famigliare, per combattere il fascismo allora nascente. Mio nonno guidò una fuga di partigiani dal carcere di Ustica nel quale si trovava Sandro Pertini, che sarebbe poi diventato presidente della Repubblica. Andò in esilio in Francia e a Barcellona, organizzò il movimento antifascista degli italiani in Catalogna, combattè sul fronte aragonese… Mio nonno morì nel 1937 in Francia per mano dei fascisti francesi che obbedivano agli ordini di Mussolini. Nel funerale celebrato a Parigi c’erano mezzo milione di persone! Quindi, ho un’impronta antifascista e legata a Barcellona.

Come visse il giorno del referendum del Primo di Ottobre?
—Io abitavo nel quartiere “Guinardó” e trascorsi tutta la notte all’interno della scuola. La mattina decisi di andare a casa per una rinfrescata, visto che ho già una certa età, e allora arrivò la polizia, verso le undici meno un quarto. Poi sono tornato e ho trascorso il resto della giornata là. Ricordo di aver scrito che l’atmosfera era triste e allegra, c’erano lacrime  ed euforia.

Il libro termina molto laconico con le sentenze di condanna degli organizzatori del referendum. Come vede la situazione attuale?
—Per l’indipendentismo, male. Il momento è pasato. La Spagna era debole mentre diceva di no a tutto, ma se ora alza la bandiera del dialogo, anche se è un inganno, recupera posizioni. Solo se la Spagna decidesse di sbarazzarsi del franchismo che si trascina, si potrebbe avere un’opportunità.

La sua famiglia o gli amici in Italia si mostrano interessati a ciò che accade in Catalogna?
—L’interesse è molto diminuito. Inoltre, ora si parla solo del coronavirus. Il mio editore mi ha già detto che tutte le presentazioni del libro sono state interrotte. Ma in Italia la visione generale della Catalogna è leggermente cambiata e molti non credono più ad occhi chiusi alla versione di Madrid.

Ci sarà un seguito? Continuerà a scrivere?
—Per ora, no. Il libro finisce con la sentenza di condanna e io ho scritto fino alla creazione del tavolo di dialogo. Per il momento, non penso di continuare, ma forse lo farò. Dipende da come evolveranno i fatti.

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Sono passati quasi due mesi da quando ci siamo incontrati. Come va il confinamento? 
—Molto bene, un poco noioso…

Si dedica alla musica in questi giorni?
—Sí, è l’attività che pratico di più, ma da solo e in casa. Mi mancano gli altri e i concerti.

Sia l’Italia che la Spagna hanno un numero molto elevato di casi e decessi per coronavirus. Crede sia per un motivo specifico?
—In Italia, o meglio, in Lombardia, le fabbriche non hanno mai chiuso, né hanno creato zone rosse dove c’erano più contagi, la confindustria non ha voluto chiudere. Inoltre, il sistema sanitario in Lombardia è stato notevolmente privatizzato negli ultimi anni, il che spiega perché ci sono molti più decessi rispetto alla Germania. In Spagna, come in Italia, hanno fatto le cose con grande ritardo.

Immagino che le presentazioni del libro dovranno aspettare?
—Sì, abbiamo dovuto cancellarne molte che erano già state programmate in Italia, a Girona, per la festa di Sant Jordi (23 aprile). Speriamo che si possano fare presto. Per molti è un argomento scomodo ed è per questo che la libreria italiana di Barcellona, Le Nuvole, non è interessata. Ma troveremo sicuramente uno spazio alternativo.

* traduzione  Àngels Fita-AncItalia

 

https://www.vilaweb.cat/noticies/andrea-lapponi-catalunya-posa-el-dit-a-la-llaga-deuropa/

https://www.facebook.com/andrea.lapponi

https://it.wikipedia.org/wiki/Fratelli_Rosselli

 

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