Tra toghe e sbarre

 

 

Tra toghe e sbarre di Joaquim Forn – tratto da www.ara.cat – 3.11.2019

 

In “Scritti di prigione”, Joaquim Forn ha raccontato con coraggio e sincerità i primi mesi di reclusione. Ora, in “Tra toghe e sbarre” pubblicato da Enciclopèdia, riprende quel diario spiegando i mesi del processo. Anticipiamo qui il capitolo in cui racconta la sua emozione quando ha assunto la carica di consigliere al Comune di Barcellona.

Dopo la sentenza è stato destituito.

 

Cinque giorni prima della costituzione del Consiglio Comunale di Barcellona, il Tribunale Supremo ha deciso che mi consentirà di essere presente. Nella sua decisione interlocutoria, il Tribunale Supremo mi autorizza ad andarci un giorno prima della costituzione, prevista per il 15 giugno, in modo che possa adempiere a diverse pratiche amministrative.

È una buona notizia, mi rende felice tornare a camminare a Barcellona e a Plaça de Sant Jaume, sia pur in condizioni molto dure: controllato, prigioniero e senza libertà di movimento. Comunque, è pur sempre un tornare a casa, per connettermi con quella che è stata la mia vita passata, per tornare nei luoghi in cui sono stato felice e il solo pensiero mi rende felice.

È l’ultimo giorno del processo; quando sono arrivato a Soto del Real alle nove di sera, il funzionario del modulo mi ha informato che il giorno successivo alle 7 del mattino sarei andato direttamente a Brians II e che da lì sarei stato trasferito a Barcellona.

Sebbene la decisione interlocutoria della Corte Suprema affermi che, una volta terminata la cerimonia al Comune, debba tornare a Soto del Real, i miei avvocati stanno cercando di far in modo che possa restare in Catalogna. Di fronte a questa possibilità, mi porto tutti gli effetti personali a Brians. L’unica cosa che non mi lasciano portare è il computer, che mi verrà inviato tramite corriere.

Alle sette e mezza del mattino del 13 giugno lascio Soto del Real accompagnato da due macchine con stampati i loghi della Guardia Civil. Non è un veicolo molto comodo, perché il sedile dei detenuti è molto duro, ma ha il vantaggio di permettere di guardare il paesaggio attraverso i finestrini. Quanto mi piace farlo! Lo faccio come farebbe un bambino piccolo che guarda il mondo e trova tutto nuovo. Dopo quattro mesi a Soto del Real, è la prima volta che vedo i dintorni della prigione. Mi perdo nei piccoli dettagli del paesaggio.

Conosco uno degli agenti che mi accompagnano. Lo ha fatto altre volte quando andiamo al Tribunale Supremo. È gentile e attento, mi chiede sempre se sto bene e se ho bisogno di qualcosa.

Facciamo una sola fermata alla caserma della Guardia Civil di Calatayud, e alle tredici arriviamo a Brians II.

Sono rimasto nella zona d’ingresso, un reparto provvisorio attraverso il quale passano i detenuti prima che venga loro assegnato un reparto definitivo. Nel mio caso, dopo la presa di possesso, non si sa ancora se tornerò a Soto o se da Brians sarò trasferito a Lledoners. Bisognerà aspettare.

Mi mettono al secondo piano del reparto, sono da solo.

Preferiscono che non abbia contatti con altri detenuti. Faccio tutti i pasti in cella e qualche volta posso passeggiare nel cortile.

Nel pomeriggio ricevo la visita di Quico Homs. Mi dice che stanno facendo il possibile perché non debba ritornare a Madrid, e spera di ottenerlo, anche se è una decisione che spetta al Tribunale Supremo. Trascorro una buona notte. Nella cella ho una televisione e dopo molti mesi ho potuto vedere Està passant [Sta succedendo], il TN (telegiornale), il Polonia e il programma di Graset. Ho fatto una immersione nella TV3.

Nel primo pomeriggio mi vengono a prendere i Mossos d’Esquadra [la polizia catalana] e mi portano a Barcellona, ​​al Comune, dove devo fare delle pratiche preliminari per l’insediamento. Sento un certo nervosismo. Come troverò la città? Chi potrò vedere e salutare quando entrerò in Comune? Non vedo l’ora di ritrovarmi con così tante persone e avrei bisogno di ore per salutare e parlare con tutti coloro con cui mi farebbe piacere farlo.

Vado con una macchina dei Mossos d’Esquadra senza loghi. Ci accompagna un’altra macchina. Andiamo per la Ronda Litoral, prendiamo l’uscita che porta a Colom, passo davanti alla stazione dei pompieri di Montjuïc, le Drassanes, il Passeig di Colom fino a Via Laietana, giriamo per via di Jaume I e infine Plaça Sant Jaume . Quante volte devo aver fatto questa strada? So a memoria tutti i dettagli del percorso.

Il tempo è bello e Barcellona è piena di turisti. Mi piacerebbe fare come loro e perdermi per la città, ammirarla da cima a fondo. Prima di arrivare in piazza Sant Jaume vedo che l’Haiti dove di solito facevo colazione, è aperto. Vedo Joan e Quima , i proprietari. Con che piacere mi fermerei a mangiare una fetta di frittata di melanzana!

Entriamo in piazza di Sant Miquel, l’auto si ferma davanti alla porta ed esco. Vedo alcune persone che chiedono a gran voce la mia libertà e che hanno delle fotografie. Vedo i compagni del gruppo consiliare, i dipendenti del Comune e molti giornalisti.

Ho solo il tempo di salutarli con la mano.

 

All’ingresso del palazzo Novíssim saluto le guardie che controllano l’ingresso e vado dritto al quinto piano, Segretariato generale, sempre accompagnato dai Mossos e anche dalla polizia municipale. Là trovo Jordi Casas, il segretario del consiglio comunale. Jordi mi aveva fatto visita all’Estremera. C’è anche l’avvocato Carlos Lloveras e un informatico.

Dopo pochi minuti entra la sindaca. Siamo rimasti soli per un po’. Mi spiega come sono le negoziazioni.  E’ ancora vaga sulla decisione che prenderanno quel pomeriggio i militanti di Barcelona en Comú ma è evidente che tutto è deciso e che l’accordo con il PSC e i voti di Valls non mancheranno.

Mossos mi sospingono a fare le scartoffie. Rosa Rodríguez, per molti anni la mia segretaria, ha già predisposto il lavoro e devo solo rivedere i dati e firmare elettronicamente la dichiarazione di beni e reddito. Lavoro svolto. Dopo cinquanta minuti dal momento in cui sono entrato, torno a fare la stessa strada, ora in uscita.

Ho trascorso così tante ore, così tanti giorni tra queste mura, che ho avuto la sensazione che il tempo non fosse passato, come se i diciannove mesi in prigione fossero stati un piccolo istante della mia vita. Avrei potuto essermi svegliato nel mio vecchio ufficio come se mi fossi svegliato da un sogno e avrei continuato a fare il lavoro di ogni giorno.

Non so se questa sensazione sia buona o cattiva. Non mi piace ricordare le brutte esperienze, è come se cercassi di cancellarle dalla memoria. So che ci sono ma non mi piace ritrovarmici. Mi piace di più attaccarmi ai momenti felici che anch’essi ci sono stati. È una questione di semplice sopravvivenza, suppongo.

Con i compagni ne parliamo e credo che usiamo tutti le stesse risorse. Non cancello i brutti momenti ma li accantono. Sì, so che sono lì, che posso ricordarmene e recuperarli. A volte lo faccio, non voglio dimenticare.

Ho vissuto momenti difficili di solitudine, paura, incomprensione, nostalgia. Ho avuto tanto freddo, insonnia, stanchezza.

So di averli vissuti, ma so anche di aver avuto il supporto delle persone e la forza per superare tutte queste avversità. Non voglio essere, il giorno in cui uscirò di prigione, vittima di brutti ricordi che mi porterebbero solo a uno sterile sentimento di risentimento.

Ora ci siamo, arriva il sabato, è il grande giorno: quello dell’ insediamento del Municipio. Oggi potrò calpestare il Saló de Cent e incontrarmi di nuovo con i vecchi compagni del consiglio comunale. La mattina approfitto per finire il mio discorso. I Mossos verranno a prendermi presto. Al Municipio mi è stata data una stanza per cambiarmi e aspettare fino al momento di incontrare gli altri consiglieri dei gruppi politici al Saló Ciutat.

So che ci saranno mia madre, Laura e Beta, e forse potrò vederle un po’ prima che inizi la cerimonia. Lo spero. Da più di quattro mesi non vedo mia madre. Non volevo che venisse sino a Soto del Real: è troppo anziana per fare questo viaggio.

Questa volta non prendiamo la Via Laietana, passiamo per la Rambla, via Escudellers, piazza George Orwell fino al Municipio.Ci sono molte persone che attendono in Plaça de Sant Miquel. Vedo i miei amici di Viladrau. All’ingresso del Municipio c’è il capo della Guardia Urbana, Evelio Vázquez, uomini della scorta della Guardia Urbana e dei Mossos d’Esquadra. Vedo anche due uomini della scorta del mio periodo da consigliere degli interni. Sono emozionato perché si può dire che non ho avuto il tempo di salutarli quando ho smesso di fare il ministro.

Mi cambio d’abito e dopo aver ricevuto le istruzioni sullo svolgimento della cerimonia mi dirigo al Saló Ciutat. Prima posso vedere mia madre. Si emoziona e mi fa emozionare. Laura e le mie figlie mi abbracciano. Mia figlia Anna mi sorprende per il fatto che è venuta espressamente da Londra e non sapevo che sarebbe stata con noi. Nel Saló de Cent ci sono le mie sorelle, la zia Maria,  mia suocera, il compagno di Anna, Dominik,  i miei nipoti e  mio cognato.Nel Saló de Cent mi aspettano il presidente Torra e sua moglie. Sono venuti ad accogliermi perché non sono autorizzato a spostarmi con il consiglio comunale fino al Palazzo della Generalitat, dopo l’assunzione in carica della sindaca. Saluto tutti i consiglieri, i nuovi e quelli che c’erano già in precedenti mandati. Tutti sono molto gentili con me. Alcuni mi sono venuti a trovarmi in prigione, ma anche quelli che appartengono ai gruppi politicamente più distanti mi salutano educatamente.Saluto  Manuel Valls, ci stringiamo la mano e mi dice che abbiamo delle cose in comune: abbiamo condiviso delle responsabilità, lui come ministro e io come consigliere degli interni. L’unico che rifiuta di stringermi la mia mano è Josep Bou. Mi dice che è contrario alla mia presenza in Comune. Lo prendo come un fatto senza molta importanza.

Facciamo l’ingresso al Saló de Cent, in primo luogo i capilista che hanno ottenuto rappresentanza e dietro il resto dei consiglieri. Appena entro sento molti applausi e richieste di libertà. Molte persone mi salutano.

Abbraccio Xavier Trias e Artur Mas che siedono in prima fila. Anche Laura e mia madre siedono in prima fila, accanto alla moglie di Ernest Maragall.

La prima cosa che facciamo è la promessa o il giuramento dell’incarico. Uso la seguente formula: “Prometto per imperativo legale, [di agire] con lealtà verso il mandato democratico e il popolo della Catalogna”. Subito dopo inizia la votazione nominale e segreta. Junts per Catalunya vota Ernest Maragall. Ada Colau riceve i voti di Barcelona en Comu, del PSC e i tre voti della lista di Manuel Valls, che le permettono di ottenere i voti necessari per diventare sindaca al primo giro.

Ho pensato molto a quello che avrei detto nel mio discorso e alcune cose le ho molto chiare. Incomincio ricordando tutti i miei compagni e compagne che sono in esilio o in prigione. Il mercoledì prima, l’ultimo giorno del processo, tutti loro erano contenti del fatto che potessi andare all’insediamento del nuovo consiglio comunale e mi hanno dato forza e coraggio. So che saranno attenti alla televisione e mi farebbe piacere che potessero ascoltare le parole che dedico loro.

Com’è logico, inserisco nel discorso una parte critica. Anche se sono in prigione, praticamente sono il capo gruppo di un partito del Comune. La scelta della Colau come sindaca è legittima, e non mi passa per la testa di metterla in dubbio. Ma non posso non ricordare come sia iniziata questa operazione e come “i potenti” di cui parla Colau siano intervenuti in modo decisivo. Lei è stata lo strumento di alcuni poteri economici e sociali che si sono uniti per far sì che a Barcellona non ci fosse un sindaco indipendentista.

Anche Josep Bou, candidato del PP, si complimenta con la scelta di Colau sindaca prima di finire il suo discorso con un “Viva España”.

Finisco il mio intervento positivamente. Ricordo le nostre argomentazioni finali davanti al Tribunale Supremo. Tutti gli imputati concordavano nel richiamare il ritorno alla politica e abbandonare il terreno dello scontro e recuperare il dialogo ed il consenso.

Probabilmente, nella mia posizione di prigioniero politico potevo appellarmi a uno scenario di scontro. Non l’ho fatto volutamente.

Sono convinto che potremmo andare avanti come nazione e come società soltanto attraverso il dialogo e il consenso.

Tutti gli interventi del resto dei candidati hanno fatto qualche riferimento alla mia persona, nella maggior parte positive. La sindaca nel suo discorso ha segnalato l’ingiusta situazione che sto subendo e si è impegnata nel continuare a lavorare per la nostra libertà e per il ritorno degli esiliati. L’atto d’insediamento è finito con il canto de “Els segadors” e la fotografia di tutti i consiglieri. Subito dopo mi sono congedato e sono andato nella sala per cambiarmi d’abito e tornare nella prigione de Brians, da dove sarò trasferito verso Soto del Real. Non ce l’abbiamo fatta. Ritorno a Madrid con tutti i miei pacchetti in spalla come se fossi una lumaca.

Vado via velocemente, senza fermarmi. Alle nove e mezza di sera arrivano due macchine della Guardia Civil incaricate del mio trasferimento ed iniziamo il viaggio: entro nella cella di Soto el Real alle quattro del mattino.

Da solo, una volta in cella, sono contento di essere stato all’atto d’insediamento del Comune. Ne è valso lo sforzo. Ricorderò sempre questi due giorni. Ho ricaricato le batterie. Vedo che molta gente al di là del mondo indipendentista è con noi. Nonostante le limitazioni imposte nella decisione interlocutoria del giudice Marchena, il trattamento è stato corretto ed ho potuto essere presente nel Saló de Cent ed inviare un messaggio politico.

Dobbiamo sapere approfittare di tutte le occasioni che ci si presentino per poter denunciare la situazione che subiamo. Molti mezzi di comunicazione, tra numerosi commentatori e politici, seguono una strategia per disumanizzarci e normalizzare la situazione in cui viviamo. Bisogna far sentire ovunque la nostra voce.

Quasi non ho dormito, non riuscivo a prendere sonno e prima delle sette del mattino ero già in piedi. Appena aperta la cella i compagni mi aspettavano perché gli spiegassi tutti i dettagli della cerimonia. Mi ha fatto molto piacere potergli spiegare le numerose dimostrazioni di supporto che ieri abbiamo ricevuto e l’amore e la solidarietà di tante persone. Una cosa mi è chiara: la gente di Catalunya non ci dimentica. La sentenza è già nella fase di redazione – vedremo cosa ne esce – e il processo è già storia. Ma la Storia continuiamo a scriverla. Ogni giorno.

 

Traduzione di Claudia Daurù e Esther Oto i Grima

 

https://www.ara.cat/suplements/diumenge/JOAQUIM-FORN-togues-Retorn-Barcelona_0_2337366255.html

 

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