Sit and talk

 

El mon.cat – Ramón Cotarelo – 12 novembre de 2019

 

Il terremoto catalano non ha smesso di scuotere la Spagna fin dal 2014. Preferisco parlare di rivoluzione catalana ma ammetto che, come immagine, è più diffuso e astratto il tremore della terra. Il sisma è più plastico, visibile, tangibile. E anche se di solito è breve, il catalano è uno sciame, una serie di terremoti che da cinque anni a questa parte rende visita al paese. A volte con più intensità, a volte meno, il sottosuolo si agita, rabbrividisce e, di colpo, torna a mettere tutte le cose sottosopra. E’ una rivoluzione. Una mobilitazione collettiva, di massa, permanente, disobbediente e di resistenza pacifica. Che finisce con un tsunami democratico. Il terremoto è diventato un sisma sottomarino.

All’inizio, la classe politica, mediatica, intellettuale, lo stablishment spagnolo reagì, come al solito, ignorando la questione con un misto di stupidità, ignoranza e arroganza tradizionali nell’imperialismo castigliano. La Catalogna? Non interessa; non esiste; quattro matti; parlano ma non fanno niente; minacciano ma non vanno oltre; alla fine, è tutto per i soldi. Un soufflé.

Non volevano sapere niente. Non sapevano niente.

Non avevano idea di quello che succedeva in Catalogna. La prova è che trattarono un problema politico, essenzialmente politico (ogni rivoluzione è un problema essenzialmente politico), come una questione di ordine pubblico. Come un dibattito di legalità quando si trattava di legittimità. Affidarono il compito ai giudici e alla polizia, invece di affidarlo ai teorici e agli intellettuali. Vabbè, è anche vero che non ne avevano. Ma non avevano nemmeno dei veri giudici nè poliziotti e ciò non ne impedì l’utilizzo.

Quattro anni e quattro elezioni politiche più tardi, la crisi dello Stato spagnolo è smisurata. Senza governo nè una ragionevole certezza di averne uno, con le carceri ogni volta più piene di prigionieri e prigioniere politici, con un sistema giudiziario arbitrario e screditato dentro e fuori, e con il sistema mediatico meno credibile di Europa, il terremoto irrompe di nuovo con un’intensità insospettata.

Prodotto della loro arrogante ignoranza. Ossessionati con la questione dell’ordine pubblico, non capiscono la dimensione rivoluzionaria del processo che li sta macinando. La stessa cosa succede con la sinista (spagnola e catalana), che non capisce il fenomeno sul quale amano pronunciarsi. Nemmeno riescono ad annusare la rivoluzione; probabilmente perchè non la vogliono. Podemos ha accettato la versione “un’affare di ordine pubblico” e, controvoglia, si aggiunge al gruppo che vuole applicare un nuovo 155. ERC dice che crede nelle virtù di quello che chiama vagamente “politica”, come se il rapporto tra la Spagna e la Catalogna fosse questo: “politica”, e non fosse invece una guerra aperta, anche se ancora di bassa intensità.

I risultati delle ultime elezioni lasciano vedere la desolazione dopo il terremoto con uno Stato spagnolo sempre più disalberato di fronte ad un indipendentismo catalano rinforzato. L’aumento di un deputato catalanista al Congreso ha questo valore simbolico di forza, ma impallidisce nella conversione da terremoto a sisma sottomarino con il tsunami e la lotta anticoloniale che si sviluppa nelle piazze.

Le elezioni hanno iniziato a mietere vittime. Le prime sono stati gli improbabili Rivera e Girauta (del partito Ciudadanos). Ma dovrebbero essercene altre. Iglesias e Rufián dovranno chiedersi se fanno più male che bene ai loro rispettivi partiti. E questi, a loro volta, interrogarsi su l’atteggiamento che deve avere la sinistra di fronte a una rivoluzione nazionale; non di classe e non di ideologie.

Sánchez convocò elezioni disperatamente, perché non sapeva più cosa fare, confidando nella sorte e sperando che gli spagnoli risolvessero il rebus per comporre un governo dopo quattro anni. Dà l’impressione di aver fallito e di trovarsi in una situazione impossibile: avrà bisogno di tempo per formare un governo, ma non ha tempo, visto che la situazione del momento non lo permette e l’Unione Europea sta perdendo la pazienza e non gliene darà molto di più.

Ora come ora, la questione si limita a sottolineare la cattiva educazione del presidente Sánchez che non risponde alle chiamate telefoniche dell’onorevole presidente catalano Torra. Ma tra poche ore, si renderà palese una cosa che lascerà la Spagna fuorigioco. Il mòtto “Spain, sit and talk” è impossibile, è utopico, perché sebbene l’indipendentismo rimane seduto al tavolo della trattativa, la Spagna non può sedersi perchè non c’è nessuno che possa parlare in suo nome.

 

* traduzione  Àngels Fita-AncItalia

 

https://www.elmon.cat/opinio/sit-and-talk_2100646102.html

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