
Vilaweb.cat – Vicent Partal – 11.11.2019
All’improvviso arrivano alcune centinaia di macchine, coordinatamente e in segreto, come capitò con le urne del Primo di ottobre del 2017. E in pochi minuti organizzano una cucina da campo, capace di alimentare tanta gente quanta si renderà necessario. Per tre giorni. E, subito, alcuni ragazzi installano un palcoscenico, con microfoni, luci e riflettori. Un palcoscenico intero e completo, professionale, nel bel mezzo dell’autostrada. Spuntato dal nulla. E appaiono attrezzi e macchinari industriali di ogni tipo per spostare i guardrail centrali, in modo da convertire la barriera verticale in una barriera orizzontale, per segnare il territorio. Il territorio liberato che contemplano i gendarmi dal nord e la polizia catalana (Mossos) insieme alla Guardia Civil dal sud. E l’app funziona. Cavolo, se funziona. Invia messaggi geolocalizzati alla gente. Uno a uno, messaggi privati. Spiegando cosa conviene fare e dove è meglio indirizzarsi. E come arrivarci.
Fa freddo, molto freddo. Ma di colpo si materializzano coperte e tende da campeggio per offrire rifugio alla gente. E bagni portatili, bagni piantati in mezzo all’autostrada con il mòtto ‘Spain, sit and

talk’ appiccicato sulla porta. Sale Lluís Llach per cantare sul palcoscenico e intona la canzone ‘Venim del nord, venim del sud’ (veniamo dal nord, veniamo dal sud) che suona ancora più magnifica che mai, precisamente in quel punto chilometrico esatto. Il sindaco di Prats de Molló, con la fascia tricolore francese sul petto e un fiocco giallo appuntato sulla giacca, si avvicina per trattare. Il Tsunami Democratico ha isolato la Spagna da territorio catalano ma fuori dallo stato spagnolo. E’ lunedì e la stampa di Madrid, distratta ancora sulle elezioni che non hanno risolto nulla e che non serviranno a nulla, guarda quello che succede senza capire la portata dei fatti. La stampa francese, invece, è all’erta. Questo è grande. Questo è grosso.
E lo diventa di più, si ingrandisce, man mano che passano le ore. Le code presto diventato di venti chilometri da una parte e dall’altra e l’indifferenza iniziale dello stato spagnolo diventa preoccupazione. Alle nove di sera le autorità francesi tagliano l’autostrada fino a Narbona, novanta chilometri. A sud ci sono altri cinquanta di coda. Tutti cominciano a capire le conseguenze di tre giorni di controllo della frontiera da parte del Tsunami. Non si può assicurare la fornitura di pesce per mercoledì, perchè la maggior parte arriva dall’Europa. E le grandi industrie dipendono dal materiale proveniente dall’Europa e cominciano a calcolare che, mercoledì, non potranno produrre. Ci sono dei camion che intraprendono la strada verso Hendaye-Irun, centinaia di chilometri più in là e non precisamente in linea dritta. Il ministro dell’Interno spagnolo non sa cosa dire. Formalmente la manifestazione si svolge fuori dal suo stato. Su “Catalunya Ràdio” un energumeno pericoloso del partito Ciutadans,… grida che se fosse ministro questo non succederebbe. Dieci deputati, caro. Dieci. Stai zitto, che la baracca sta crollando…

Il taglio della AP-7 arriva dopo una giornata di riflessione, sabato, nella quale il Tsunami Democratico aveva organizzato più di 300 eventi –si, la stessa piattaforma che il parlamento della comunità autonoma di Madrid, dando una mostra eccelsa di disorientamento totale, vuole che venga iscritta nella lista delle organizzazioni terroriste. L’organismo chiamato “Junta Electoral” che dovrebbe vegliare per lo svolgimento regolare della campagna elettorale insieme al governo spagnolo si arresero e non fecero nulla per impedirli. Perchè non avrebbero potuto farlo. Perchè non si può fermare una ribellione di queste dimensioni. Io stesso iniziai il sabato entrando in una scuola destinata a seggio elettorale per mantenere un amabile dibattito insieme a due o trecento persone, che non si sarebbe dovuto tenere, con le loro leggi in mano e se loro avessero il controllo che dicono che hanno, ma che non hanno già. E dissi che non sappiamo valutare le cose che stiamo facendo, fino a che punto è importante tutto quello che stiamo facendo dal 14 di ottobre. Non sappiamo dare il giusto valore perchè l’epica della libertà è così: ‘Le cose più grandi assomigliano sempre alle cose semplici’, disse Churchill mentre sopportava i bombardamenti nazi su Londra. La libertà allora era prendere un tè, uscire a passegiare, comprare delle scarpe nuove mentre dal cielo cadeva la morte. Cose semplici. Così semplici e quotidiane come mangiare una fideuà, fare una partita di carte e accendere un fuoco nel bel mezzo dell’autostrada conquistata, prima di dormire sull’asfalto, sotto le stelle del nord e in mezzo alla tramontana.
Diceva Camus che l’unico modo di far fronte a un mondo che non è libero, è diventarlo, facendo della propria esistenza un atto di libertà, di ribellione. Questo è la ribellione di ieri e di oggi, come lo fu la ribellione di sabato scorso. Occupare senza pudore la riga della cartina che è il massimo emblema dello stato-nazione centralista, cancellare semplicemente la riga della cartina che separa i catalani da una parte e dall’altra. Trascinare –come un tsunami, si, precisamente come un tsunami– uno stato spagnolo che inizia a sembrare un poco più intimorito. Perché la Moncloa e la Zarzuela (sede del governo e residenza del monarca rispettivamente) si affidavano alla violenza cieca dei sicari in uniforme ma furono inaspettatamente sconfitti dai nostri giovani nelle cinque notti della battaglia nella piazza di Urquinaona (riferimento non voluto alle cinque giornate di Milano) e non hanno smesso di perdere il controllo del territorio da allora fino ad oggi. Perché due anni fa promisero all’Europa che avrebbero risolto il conflitto catalano e ora vedono che diventa sempre più grande e più europeo. Ah!, come doveva essere divertente la chiamata di ieri del ministro degli Interni francese chiedendo a quello spagnolo: che cavolo succede! e perchè deve sorbirsi lui il conflitto?, perchè la Spagna non vuole fare una cosa così semplice come sedersi e parlare, non vuole riconoscere che ha un problema enorme che non riesce a controllare. Il silenzio del governo spagnolo sui fatti –nemmeno una sola declarazione ieri, nemmeno un commento,– era assordante. Significativo. Descrittivo dello stupore nel quale vivono.

Questo nostro paese è un piccolo paese poco degno di nota. Ma nel corso della storia ha dimostrato in alcune occasioni che è capace di pensare in grande e che, quando lo fa, mostra il volto migliore di sè al mondo. Nel libro Omaggio alla Catalogna, George Orwell restava ammirato dal fatto che i catalani erano capaci di andare controcorrente e di far fronte a tutti gli autoritarismi, nel momento più difficile e complicato della storia di Europa. Soli contro tutti. E ottant’anni dopo torniamo ad essere qui, i catalani, in prima linea, se è certo quello che dice Bertrand Badie che l’ondata di proteste a Hong Kong, Cile, Libano o Catalogna è l’inizio della seconda fase della globalizzazione, la fase della risposta dei popoli in difesa delle libertà e l’uguaglianza.
Siamo qui di nuovo, dunque, piantati in piedi contro la tirannia. Pensando in grande e lottando come i più grandi. Rendendo il nostro paese un paese nuovo e disegnando, se necessario in un pezzo grigio di asfalto di autostrada, una società libera e solidale, che vogliamo sia più degna e migliore.
* traduzione Àngels Fita-AncItalia
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