Titolo del libro scritto nel 1946 dal dottore Josep Trueta, eminente ortopedico in esilio dal 1939, mentre lavorava come chirurgo presso l’Università di Oxford, dove più tardi ottenne la cattedra di Ortopedia.
Vilaweb.cat – Joan Ramon Resina 03.11.2019
Alla fine del libro che Trueta scrisse quando la Catalogna sembrava definitivamente affossata dal fascismo, il famoso dottore citava nella conclusione una frase di Waldo Frank, che traduco dall’edizione originale. Parlando dei catalani, Frank diceva: ‘Questa vita non resiste: ritorna. […] Perché sono come la primavera, la primavera evanescente –che sempre torna…’
Trueta, intimo conoscitore della realtà catalana, aggiungeva: ‘Ancora una volta, in un prossimo futuro, la Catalogna tornerà, pacifica e desiderosa di essere una buona vicina se gli altri le dimostrano buon vicinato; aspra, folle e fonte di conflitto permanente se la torturano.’ Ebbene, la Catalogna dopo quella notte (la notte franchista) della sua storia, tornò pacifica e desiderosa di buon vicinato. Ma la Castiglia, rapitrice della Spagna da tempi immemori, non è capace di buon vicinato e, ancora una volta, è entrata a sacco depredando in casa d’altri. Per questo i catalani ritornano. Come diceva Frank: ‘Castiglia li strangola e li tortura: e loro tornano.’
In effetti, i catalani tornano in una primavera autunnale simile a quelle che, poco tempo fa, hanno rovesciato altri regimi corrotti nel bacino mediterraneo, proprio come se la rivolta fosse pollinizzata da popolo in popolo alla velocità della comunicazione globale.
I poliziotti che Grande-Marlaska (ministro degli interni spagnolo) ha inviato per contenere la risposta popolare alla sentenza della Corte Suprema pensavano che avrebbero fatto un giro trionfale tra teste spaccate, come capitò in quell’infausto primo di Ottobre. Hanno trovato la resistenza dei giovani e, senza l’aiuto disinteressato e volontario (a quanto pare) della Brigata Mobile della polizia catalana, la spedizione punitiva sarebbe stata una sconfitta del Ministero degli Interni. Per cui, dopo un fine settimana vergognoso, Grande-Marlaska alzava la resistenza cittadina al livello di massima violenza negli annali del regime.
L’impotenza di fronte a una resistenza per la maggior parte pacifica ma ferma, obbliga lo stato a infiammare la situazione per poter sostenere un racconto che giustifichi una repressione impazzita. I socialisti scrivono da soli il secondo capitolo della tesi che Aznar (ex-primo ministro del PP) inaugurò dieci anni fa, secondo cui non esiste alcuna differenza importante tra l’indipendentismo catalano e quello basco. Poco a poco, il governo spagnolo riempie il puzzle con pezzi apparentemente diseguali. Lunedì la Corte Nazionale Spagnola, ammise l’associazione delle vittime del terrorismo come “accusa popolare” contro i CDR¹ (che non hanno compiuto alcun atto violento). Quasi alla stessa ora, la ministra Carmen Calvo ridefiniva José Antonio Primo de Rivera (fondatore della falange) come una vittima e non come quello che fu: ideologo della violenza, cospiratore del golpe e causa della guerra civile. La confusione categoriale non può essere più grande, e dimostra che un PSOE farcito di figli e nipoti di falangisti non può aspirare a scappare dalla forza di gravità del fascismo e neppure a fare una lettura post-fascista della storia.
Non può nemmeno pretendere di fare una lettura proficua dei propri classici. Diceva Cervantes, buon conoscitore del Principato della Catalogna: ‘I cortesi catalani, gente arrabbiata, terribile; pacifica, dolce; gente che facilmente dà la propria vita per l’onore e che, per difendere tutt’e due, sorpassa se stessa, che sarebbe come sorpassare tutte le nazioni del mondo.’ Cervantes conosceva il modo di essere catalano come non lo conoscevano i fanti inviati a provocare la gente normalmente cortese e dolce. Da circa quindici anni, i valorosi “goliat” che si lanciano in gruppo sopra gli adolescenti indifesi hanno scoperto che, arrivati al limite di una pazienza che alcuni ancora confondono con la codardia, i catalani andranno così lontano come sarà necessario per difendere non l’onore –quella cosa vitrea che Cervantes descrive in diversi passaggi della sua opera–, ma la dignità, che è qualcosa di più intimo e molto più solido. Il catalano è lento a infuriarsi e fa fatica ad arrivare a quel punto in cui la cortesia diventa ira, ma quando finalmente ci arriva non gli importa nessun sacrificio. E fino a quel punto è stato trascinato dallo stato con la sfrenata ingiustizia e la brutalità arrogante. Aspra, folle e fonte di conflitto acceso, che non si spegnerà mentre lo stato pretenda di soffocarlo con benzina, la Catalogna ritorna.
La Catalogna stordita dal franchismo e addormentata nel sogno dogmatico del “buon senso”, rivive. Politologi, sociologi ed economisti si affannano a spiegare il risveglio mediante questo o altro “fattore determinante”. Globalizzazione, crisi economica, populismi… Tutti hanno ragione e tutti torto. Perché nessuno di quei fattori, agendo con la stessa o maggior forza in altri luoghi della penisola iberica, ha scatenato la stessa tempesta di volontà. Se mi permettete di ricorrere a una parola sospettosa di misticismo, dirò che la spiegazione risiede nello spirito.
Ciò che in queste ultime settimane ha fatto tremare le strutture profonde dello stato è lo spirito della Catalogna, che si risveglia e percorre le terre catalane come una ventata di solidarietà tra le generazioni. La ventata che comincia nella lontananza storica e chissà dove si calmerà. Quando meno lo si aspettava, lo spirito catalano ha ringiovanito la forza collettiva. Un mese fa sembrava che l’indipendenza era un affare da pensionati, di quelli che ricordano il franchismo come chi ricorda la campagna di Napoleone in Russia. Ma il 14 ottobre, i giovani sono usciti in piazza per difendere i nonni e le nonne malmenati dalla democrazia “plenissima”, come la ministra Calvo ha nominato questo stato delle cose. Difendendo i nonni e lottando per il futuro che lo stato gli sta sottraendo, i giovani rendono veritiero il detto di Cervantes senza saperlo.
L’elemento più stimolante della manifestazione del 26 ottobre era vedere dei bambini imparando l’abc della rivendicazione. Ragazzi di 3 o 4 anni indossando la bandiera stellata o la maglietta della
libertà, ragazzine “castelleres” che in diversi punti alzavano torri umane solidali con i mòtti della giornata, o un bambino in carrozzina in mezzo alla gente con la tranquillità di uno esperto in manifestazioni. Mi dice la sua mamma che il bimbo è nato in una manifestazione. Poco più in là, una ragazza di appena sedici anni si arrampica ad un lampione per esibire un cartello che dice ‘Liberi o morti… ma mai in ginocchio!’. E all’altro estremo della gamma delle età, vedo i genitori di Jordi Ros, in carcere durante gli arresti indiscriminati del 23 settembre scorso, che con inquietudine comprensible e un filo di disperazione spiegano che non hanno soldi per i costi della difesa del loro figlio. Al centro di questo atto di solidarietà multitudinaria, appellano con discrezione ma con speranza alla solidarietà puntuale e concreta che transita del concetto alla realtà. Anche loro sono parte della fenomenologia dello spirito con cui l’idea di Catalogna si manifesta attraverso i secoli, una idea che ora e qui è indicata dalla sofferenza contenuta e degna di questi genitori.
E ancora un gruppo di valenziani che sono arrivati da Bétera: Albert e Empar, Rosa e Vicent, Toni, Conxa e Mari, che sono anche andate a Strasburgo e a Bruxelles quando si è reso necessario e non importa quanti chilometri devono fare per essere a Barcellona- via Marina o Gran Via, oppure alla Grande Place per difendere con il loro bell’accento la catalanità comune che rivendicano ogni giorno nel loro paesino, di questo grande paese che la Spagna ha smembrato per poterlo dominare. Qualche cosa si muove anche nel Paese Valenziano; lo spirito soffia dove vuole e nessuno può imbrigliarlo.
Non è uno spirito metafisico nè una chimera territoriale, come lo era l’ànima della Spagna inventata da quei pre-fascisti che i professori di letteratura chiamano generazione del 98 e che tanto male ha fatto nel secolo scorso.
É, come mostrava il Dott. Trueta, una continuità, non nella uniformità o identità essenziale dei fenomeni storici, ma nella provvidenza dell’attuale generazione per quelle a venire e nella responsabilità verso quelle precedenti. Lo spirito è memoria e volontà di essere. Quello della Catalogna, in particolare, è una immensa e inarrestabile fame di libertà.
¹ Comitati per la Diffesa della Repubblica
* traduzione Àngels Fita-AncItalia
https://www.vilaweb.cat/noticies/spirit-catalonia-opinio-joan-ramon-resina/
Sono commossa!!! Conosco i catalani: semplici, lavoratori, miti, cordiali ,affidabili, dignitosi. Lasciateli LIBERI!!!