Le tre cose che so sulla reazione alla sentenza, prima che venga resa pubblica
Editoriale – vilaweb.cat – Vicent Partal – 10.10.2019

Manifestazione di protesta per la detenzione di 7 membri dei CDR a Sabadell 28.09.2019
Foto: Albert Salamé / VWFoto
Supponiamo che la sentenza del Tribunale Supremo sia comunicata lunedì 14 ottobre. Dicono che potrebbe trapelare –ah!, quest’usanza così spagnola!– nel fine settimana, ma la comunicazione formale e ufficiale sarà, a quanto pare, lunedì. In tal caso, dobbiamo essere tutti consapevoli che inizierà una nuova fase della lotta per l’indipendenza. Per quello che significherà la sentenza, ma soprattutto per le reazioni contro di essa.
Come è logico e comprensibile, tutti sono molto agitati. Ci sono molte cose che si muovono verso tante direzioni, nostre e loro, molte voci e manipolazioni, e la tensione si trascina da molti giorni ormai senza che nessuno sia capace (è impossibile!) di sapere con certezza se la reazione alla sentenza sarà appena simbolica, se segnerà un cambiamento di atteggiamento e un improvviso aumento dello scontro con la Spagna o se, addirittura, porterà a creare un nuovo Primo di Ottobre aprendo, pertanto, delle opportunità uniche.
Io posso dire quello che so. E, fondamentalmente, in questo preciso e delicato momento, so tre cose.
In primo luogo, so che i partiti e le istituzionni catalane sembrano aver riflettuto e hanno intrapreso il lavoro di ricostruzione della fiducia senza la quale non ci sarebbe futuro, semplicemente. Fin dove arriverà, lo vedremo. Ma è una buona notizia.
In secondo luogo, sono sicuro che la reazione sarà più una questione della gente, della piazza, piuttosto che del governo catalano e si baserà sulle grandi mobilitazioni promosse dalle organizzazioni sociali. Ma sono anche sicuro che tutto andrà molto oltre, fino a un punto difficile da prevedere ora. E so anche che le organizzazioni non potranno controllare tutto ciò che accadrà. Le marce o lo sciopero di venerdì saranno grandi dimostrazioni di potere popolare e le grandi vetrine dell’indignazione collettiva, ma se c’è uno scoppio di disobbedienza civile di massa è ovvio supporre che porterà a una situazione completamente nuova.
E la terza cosa che so, ancora di più dopo i discorsi di poche ore fa, è che ci sarà repressione. Non solo da parte della polizia catalana (Mossos), dai quali mi aspetto solo che si comportino in modo da non complicare le cose inutilmente, ma direttamente dalle forze spagnole. Arresti, agressioni, atti violenti. Difficilmente resteranno fermi.
Se la sentenza arriverà lunedì, le proteste saranno spontanee e suppongo generalizzate tra lunedì e martedì. E queste proteste faranno aumentare di molto la temperatura con la quale le marce inizieranno a camminare il mercoledì. L’arrivo a Barcellona il venerdì, coincidendo con lo sciopero generale, potrebbe essere un momento chiave. Insisto: specialmente se la disobbedienza civile è diventata visibile e ancora di più, se la Guardia Civil e la polizia spagnola non sono stati capaci di reprimere i loro istinti.
Ciò nonostante, una parte di gente molto attiva e mobilizzata si chiede cosa succederà dopo? O come potrà essere utile tutto questo? C’è chi vorrebbe misure che possano rendere effettiva la repubblica come una risposta alla sentenza. C’è chi teme che le organizzazioni politiche tentino di smobilitare la popolazione. C’è chi ha paura di agire e poi di ritrovarsi solo o, peggio ancora, perseguitato dagli stessi che vuole difendere. Come già capitato.
Non ho una riposta a queste domande. E’ una decisione troppo intima. Posso solo spiegare che io, anche diffidando, farò tutto quello che potrò come cittadino per ottenere che la sentenza sia l’inizio del confronto finale. E come giornalista, lavorerò fino allo sfinimento per mantenervi informati di tutto quello che succederà, insieme ai miei colleghi del giornale VilaWeb. Tra le tante ragioni, per quello che ho spiegato qualche giorno fa dopo il mio rientro da Hong Kong. Laggiù insistevano a dirmi, una e mille volte, che se perdi l’ansia di vincere, allora perdi di sicuro. Loro hanno trascorso cinque anni di resistenza terribile, prima della rinascita. E ora non si chiedono più in che modo vinceranno, come facevano nel 2014. Semplicemente vogliono vincere. E si sono uniti per rispettare le reciproche differenze e unirsi contro Pechino.
Forse dobbiamo seguire questo percorso, facendo ognuno di noi quello che vuole. Protestando contro la sentenza in piazza, nelle istituzioni e al lavoro. Camminando, percuotendo pentole e/o attaccando dei poster. Proteggendo compagni, liberando territori o difendendo i vicini. Stando vicino agli esiliati che riceveranno nuovi mandati europei di ricerca e cattura, rafforzando il Consiglio per la Repubblica fuori dal paese e dentro, insistendo nelle decisioni giuridiche internazionali che tanto li mettono alle strette. Vincendo elezioni, tante quante ne verranno, a cominciare dal 10 novembre prossimo, nelle quali Esquerra e Junts dovrebbero mantenere o aumentare il numero di seggi e la CUP vincere tanti nuovi seggi come sarà possibile. E facendo qualsiasi cosa che a ognuno possa venire in mente, togliere soldi dalla banca, cambiare compagnia elettrica, o telefonica, fare graffitti sui muri, assistere alle assemblee dei CDR, iscriversi ad un partito, diventare socio di Òmnium, di ANC o di qualsiaso altro ente indipendentista. E tutto questo sapendo che nulla, nulla di quello che gli altri possono fare è incompatibile.
Finora il movimento indipendentista catalano ha fatto cose straordinarie, che dovrebbero renderci orgogliosi. Ha generato una coscienza di paese aperto al mondo e rispettoso delle differenze, semplicemente ammirevole. Ha costruito la nazione, anche oltre i confini regionali che ci hanno imposto. Ha completamente spogliato lo stato spagnolo mostrando il carattere autoritario del regime, portandolo a una crisi istituzionale come non avevamo mai visto. Ha sostenuto in piazza la rivendicazione piú multitudinaria della storia recente in Europa, per un intero decennio, senza perdersi mai d’ànimo. Mai. Nemmeno quando ha compiuto l’atto più èpico di disobbedienza, il referendum sull’autodeterminazione, nonostante sia stato vittima dell’aggressione più violenta che ha visto l’Europa in tempo di pace: mai, da nessuna parte, tanti poliziotti avevano picchiato in così poco tempo, contemporaneamente, su un territorio così vasto. Ha vinto tutte le elezioni, anche quelle convocate mediante lo svolgimento irregolare del articolo 155.
Di errori ce ne sono stati e alcuni importanti, sfortunatamente. Ne abbiamo fatto tutti. Non avevamo mai raggiunto un territorio così sconosciuto e le cartine non sono state utili, come abbiamo constatato troppo tardi. Abbiamo perso troppo tempo in controversie sterili.
Ma il mosaico, questo mosaico di voci, progetti, organizzazioni, sensibilità e idee che conformano il movimento indipendentista, due anni dopo non è morto, come speravano Rajoy e Sánchez quando concordarono l’applicazione del 155. Anzi, fa ancora più paura, destabilizza sempre più lo stato e rafforza molto di più la società. Una società che oggi è molto più consapevole che mai del mostro che ha davanti e di perchè bisogna andarsene prima possibile.
Sono consapevole che alla fine la decisione su come reagire da lunedì in poi sarà personale. Credo che tutti dobbiamo riconoscere questo. Se la delusione, il disappunto, la paura o la sfiducia vi attanaglia, non muovetevi e non angosciatevi. Ma se quello che vedete vi incoraggia, allora uscite critici e scettici quanto volete, e aggiungetevi senza prevenzioni, con entusiamo. Semplicemente perché abbiamo già imparato che alcuni giorni non possono essere vissuti due volte. Vedremo cosa siamo capaci di fare ma la settimana prossima, di giorni che possono essere vissuti una volta sola, potremmo viverne un bel pò. Di nuovo.
* traduzione Àngels Fita-AncItalia
https://www.vilaweb.cat/noticies/sentencia-reaccio-editorial-vicent-partal/