Osservatorio settimanale
02/06/2019 – di Elena Marisol Brandolini
CRONACA DEL PROCESSO AGLI INDIPENDENTISTI CATALANI / 16
«La situazione in quel momento era “chiaramente insurrezionale”». Con queste parole, aggiunte al documento provvisorio di accusa, il pubblico ministero descrive il periodo compreso tra il 20 settembre 2017 (quando ci fu la grande manifestazione sotto il dipartimento di Economia a Barcellona) e il 27 ottobre dello stesso anno (quando venne dichiarata l’indipendenza e il Governo spagnolo commissariò la Generalitat attraverso l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione). Tale qualificazione del clima sociale, unitamente ad altre affermazioni aggiunte al testo iniziale ‒ il ruolo dell’associazionismo indipendentista nella mobilitazione, l’inefficace intervento dei Mossos d’Esquadra per impedire il referendum e la consapevolezza del Governo catalano che ci sarebbero potuti essere incidenti ‒ serve alla pubblica accusa per confermare i reati contestati (ribellione, distrazione di fondi pubblici e disobbedienza) e la richiesta di pene da 25 a 7 anni di reclusione (con applicazione dell’art. 36.2 del codice penale che impedisce l’applicazione di un regime carcerario più aperto fino a quando non venga scontata almeno la metà della pena) per la leadership indipendentista catalana sotto processo da ormai quasi quattro mesi.
Tutte le difese confermano per i loro assistiti la richiesta di assoluzione, chiedendo anche l’applicazione dell’art. 20.7 del codice penale, secondo cui si considera esente da responsabilità criminale «chi agisca nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio legittimo di un diritto, funzione o incarico».
Finisce così, con le dichiarazioni delle parti rispetto alle loro posizioni iniziali, la sedicesima settimana del processo presso il Tribunal Supremo, dedicata alle prove documentali e all’avvio della fase conclusiva del dibattimento. Il prossimo 12 giugno, dopo le arringhe di accusa e difesa e l’ultima parola alle 12 persone imputate, il presidente della Corte Manuel Marchena dichiarerà il “visto para sentencia”, la formula che chiude il processo e apre la fase per la scrittura della sentenza, che si attende per il prossimo settembre o ottobre.
In questa sedicesima settimana si vedono finalmente i video tanto reclamati dalla difesa nelle sessioni precedenti. Prima però, il presidente Marchena risponde alla richiesta fatta alcune settimane prima dalla difesa di un confronto all’americana tra il coordinatore delle tre polizie per l’1 ottobre, il colonnello della Guardia Civil Diego Pérez de los Cobos, e il vice del major Trapero, Ferran López, responsabile per la parte riguardante i Mossos d’Esquadra. Le loro testimonianze avevano infatti dato due versioni completamente opposte sul dispositivo di ordine pubblico previsto per quel giorno. Ma il tribunale non ritiene di dover procedere al confronto indicato.
Sullo schermo passano oltre 200 riproduzioni audio-visive, riguardanti soprattutto le giornata del 20 settembre davanti al dipartimento di Economia e dell’1 di ottobre. I video dell’accusa vogliono dimostrare l’impedimento opposto dalla gente riunita all’esecuzione del mandato giudiziario; sono presenti alcune aggressioni specifiche da parte dei manifestanti, ma sorprende che le immagini proposte segnalino per lo più l’esistenza di un clima generalmente pacifico nelle mobilitazioni. I video prodotti della difesa privilegiano le cariche violente della polizia sulla popolazione inerme ai seggi. Sono immagini indelebili per chi quel giorno c’era, ma non così conosciute nel resto della Spagna e dalla Corte, che sembra vederle per la prima volta. Difficile poter affermare, dopo, che l’autunno catalano fu una rivolta pianificata per sovvertire violentemente l’ordine costituzionale. Ma questi video, assieme alle 422 testimonianze e alla decina di perizie dei mesi passati, non hanno modificato per nulla il pregiudizio originario dell’accusa.
Nove dei dodici imputati sono in carcere da oltre un anno; quattro da oltre un anno e mezzo. Cinque sono stati eletti alle Cortes spagnole lo scorso 28 aprile. Ma la Camera e il Senato, nei giorni scorsi, li hanno sospesi dalle loro funzioni, perché in carcere (situazione che potrebbe cambiare nel caso in cui il Tribunal Supremo li mettesse in libertà condizionata fino alla sentenza). Il leader di Esquerra Republicana ed ex-vicepresidente della Generalitat, Oriol Junqueras, è stato eletto anche eurodeputato nelle elezioni del 26 maggio. Come Carles Puigdemont, ex-presidente della Generalitat, e Toni Comín, ex consigliere della Sanità, entrambi in esilio a Bruxelles e rispettivamente primo e secondo nella lista di Junts per Catalunya per l’Eurocamera. Quim Forn, ex-consigliere degli Interni, è stato invece eletto, domenica scorsa, nel comune di Barcellona per la lista Junts per Catalunya.
Intanto il Gruppo di Lavoro sulla detenzione arbitraria delle Nazioni Unite ha emesso una comunicazione in merito al ricorso presentato dalla difesa di Oriol Junqueras, Jordi Sánchez e Jordi Cuixart, in cui considera la loro privazione di libertà arbitraria, perché contravviene vari articoli della Dichiarazione universale dei diritti umani e del Patto internazionale dei diritti civili e politici. Il Gruppo, le cui decisioni non sono vincolanti, chiede pertanto al Governo spagnolo la loro immediata liberazione.