Vilaweb.ca – Vicent Partal – 27.05.2019
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Quando iniziavano queste due lunghe campagne elettorali avevo commentato che, per l’indipendentismo, c’erano tre chiari obiettivi da raggiungere.
1 – Nelle elezioni politiche spagnole bisognava avvicinarsi alla metà dei seggi in lizza per la Catalogna e, se possibile, vincere per la prima volta.
2 – Nelle amministrative, vincere tanti comuni come fosse possibile.
3 – E nelle europee, vincere e tentare di superare il 50% dei voti.
I tre obiettivi sono stati raggiunti. Il 28 aprile, nelle politiche, ERC raggiunse una vittoria storica e aggiungendo i voti di “Junts per Catalunya” ha portato nel Congresso 22 deputati indipendentisti, soltanto ne mancano due per avere la maggioranza assoluta. E ieri, il risultato delle municipali e delle europee sono stati palesemente favorevoli.
L’obiettivo di vincere il massimo numero di comuni è stato raggiunto, calcolando anche l’effetto simbolico della vittoria di Maragall (ERC) a Barcellona. ERC ha vinto a Lleida e “Junts per Catalunya” a Girona, mentre a Tarragona (se ci fosse un accordo tra l’indipendentismo e i “Comuns”) sarebbe possibile allontanare Ballesteros, che non riesce ad avere maggioranza con PP e Ciutadans insieme.
Se andiamo oltre le capitali di provincia, le cifre sono molto chiare, con delle sfumature importanti.
Così, Junts per Catalunya ottiene 302 possibili sindaci, ERC 256, la CUP dodici e Primarie una. E ci sono 165 comuni con maggioranze relative indipendentiste. Ciò significa che 736 comuni della Catalogna, da un totale di 947, potrebbero avere un governo indipendentista.
Però, ed è un però importante, vediamo un chiaro recupero del PSC, specialmente nell’area metropolitana. Possiamo dire che i socialisti hanno deciso di guidare il blocco unionista e ci sono riusciti, come dimostrato anche nel risultato di Barcellona. Questo è un elemento preoccupante che dovremo calcolare d’ora in poi. Il fallimento di Ciutadans e del PP è spettacolare, ma non dobbiamo illuderci. Il prezzo da pagare è che il PSC, che ha vinto in 96 comuni, è diventato il partito-ombrello del voto unionista e questo avrà delle conseguenze serie nella politica catalana, e non saranno certo positive.
In quanto alle elezioni europee, l’obiettivo del 50% dei voti è andato vicino soltanto per alcuni decimi. Anche se non è abbastanza, è anche vero che il 49,71% dei voti è il miglior risultato raggiunto dall’indipendentismo in qualsiasi elezione. E se guardiamo in base alle circoscrizioni, i dati sono ancora più sconvolgenti: 66% di voti indipendentisti a Girona e Lleida, 52% a Tarragona. Soltanto Barcellona, con un 45%, rimane sotto. E ancora un altro elemento da sottolineare: nella circoscrizione di Girona la candidatura del governo in esilio ha raggiunto da sola il 44,91% dei voti, una cifra certamente sensazionale.
Il risultato straordinario raggiunto dal presidente Puigdemont ha un valore politico speciale e doppio. Da una parte, perchè si consolida come il dirigente politico dell’indipendentismo, e porta a una curiosa situazione: ERC ha l’egemonia indiscutibile come partito, ma Puigdemont ce l’ha, indiscutibile, come persona. Credo che l’indipendentismo debba riflettere su questa situazione e se, dopo quello che è successo, ha senso perdere la forza in una battaglia sterile tra partiti, che i cittadini non capiscono e non condividono. Perché la gente nelle politiche ha dato il voto a ERC praticamente con lo stesso numero di voti con i quali, nelle europee, un mese dopo, ha reso vincente a Carles Puigdemont.
Il secondo valore politico della vittoria della lista di “Junts per Catalunya” è quello fondamentale. Questa notte scorsa è stato solo un aperitivo, necessario, della grande battaglia che inizia oggi e che avrà una durata di circa una settimana. Lo stato spagnolo ha violentato impunemente l’esercizio dei diritti democratici nel Parlament della Catalogna e in quello spagnolo. Ma ora cozzerà direttamente con l’Europa e lo scontro avrà delle conseguenze immense. Finora l’esilio ha vinto sempre contro la repressione, al contrario di quello che è successo all’interno. Ma la grande partita si gioca oggi stesso. Se il 2 luglio Carles Puigdemont e Toni Comín siedono come eurodeputati nell’emiciclo di Bruxelles, se la Spagna non riesce a impedirlo, l’indipendentismo avrà fatto un passo da gigante che potrà ribaltare la repressione e mettere alle strette il regime. Ancor di più se, come si prevede, lo stato spagnolo è costretto dai tribunali europei ad accettare che non può impedire l’esercizio libero della democrazia, come ha fatto sistematicamente da quando ha applicato l’art. 155. L’elezione di Oriol Junqueras sarà anche un grande test, visto che d’accordo con la normativa europea l’europarlamentare di ERC dovrebbe essere libero e il processo sospeso.
Con tutto questo siamo dunque arrivati al punto esatto in cui la decisione di intraprendere la via dell’esilio, subito dopo la proclamazione della Repubblica, ci voleva portare: allo scontro diretto tra la pseudo-legalità spagnola e la legalità europea. E, in questo senso, non credo che sia un caso che Puigdemont, Comín e Ponsatí abbiano scelto, per parlare, la stessa sala in cui il governo apparve quando arrivò in Belgio, un anno e mezzo fa.
*traduzione Àngels Fita-AncItalia