Vilaweb.cat – Oriol Izquierdo 12.05.2019
Non ditemi che non siete stanchi: uno dei “mantra” più comuni tra giornalisti e commentatori reticenti e contrari al nostro processo di emancipazione è quello di dire e ripetere, e ripetere ancora, e non smettere mai di affermare che l’unilateralità ha fallito. Questa è, dicono loro, una delle lezioni che possiamo trarre dagli eventi dell’autunno 2017. E pertanto, dicono, bisogna andare oltre le tentazioni unilateraliste. Dicono. Come se le cose fossero andate in quel modo. Ma davvero è andata così?
Lo abbiamo appurato fino alla nausea: il percorso che abbiamo fatto in tutti questi anni, almeno fino a settembre del 2017, ha cercato sempre il dialogo e la bilateralità; abbiamo esteso la mano persistentemente sperando di trovare un giorno una mano tesa di fronte a noi. Se abbiamo peccato di qualcosa è di non aver mai osato di tirare dritto. Fino a quando, in vista di un tale accumulo di negligenza e disprezzo, tra i giorni 6 e 7 settembre e il 27 ottobre, si sono manifestati finalmente alcuni gesti unilaterali; ora sappiamo con certezza che erano gesti con una volontà di porre un ultimatum, un grido disperato alla trattativa, piuttosto che un’affermazione autodeterminata di indipendenza.
No, di fatto nemmeno in ottobre, al di là del referendum, non fu un momento di azioni unilaterali. Il giorno 10 fu proclamata l’indipendenza e subito sospesa. Il 27 si dichiarò soltanto per intraprendere la via dell’esilio o del carcere dando inizio a la fase che attraversiamo ora. No, unilaterali sono sempre stati solo i gesti, l’insinuazione, la minaccia. E in vista dell’insistenza nell’ignorare il grido e dopo la reazione violenta, che avevamo già assaggiato il 1 ottobre, ogni volta che siamo stati vicini a un momento unilaterale abbiamo sempre fatto marcia indietro.
Ecco perché mi sembra che non sia fuori luogo aspettarsi che un giorno ci domandiamo cosa sarebbe successo se avessimo scommesso per l’unilateralità senza esitazione. Se il 3 di ottobre, forse il giorno in cui avevamo accumulato più forza, fossero state tolte le bandiere spagnole dagli edifici pubblici. Se il giorno 10 o il 27 i sogni di tutti quelli che eravamo disposti a difendere la repubblica, non fossero rimasti ghiacciati. Forse è una speculazione inutile. Ce l’avremmo fatta? D’accordo, è una possibilità. Ma perché non potevamo farcela? O, se preferite: cosa avremmo dovuto fare per farcela?
Sapete perché perdo il tempo con questi dilemmi? Perché sono convinto che il momento dell’azione unilaterale ancora non è arrivato. Ma arriverà. L’incapacità dello stato spagnolo e dei suoi dirigenti, di qualunque partito essi siano, per capire e accettare quello che è successo –lo stupore che riscontro nei pubblici ministeri, ogni qualvolta un testimone difende davanti al tribunale, senza paura e senza scuse, la volontà popolare e la disobbedienza civile…– me ne convincono.
Il momento dell’unilateralità si avvicina. E non possiamo rinunciarci. Perché rinunciare sarebbe come arrendersi. Come lasciare stare. Come accettare che tutto quanto non è valsa la pena. Accettare, pertanto, che la repressione è la strada.
E invece no: la strada è la fermezza, la dignità, l’autodeterminazione. L’indipendenza si potrà fare solo facendola. Prepariamoci, dunque, per poterla fare e, quando sarà il momento, facciamola. E poi, difendiamola.
*traduzione Àngels Fita – AncItalia
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