Cronaca del processo agli indipendentisti catalani / 12-13

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Osservatorio settimanale
11/05/2019 – di Elena Marisol Brandolini
CRONACA DEL PROCESSO AGLI INDIPENDENTISTI CATALANI / 12-13
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«Arrivai al seggio prima delle 7 del mattino, c’era stata molta tensione nei giorni precedenti, finalmente era giunto l’1 ottobre e io non volevo perdermi nulla», «La concentrazione era molto ludica, la gente era contenta perché poteva votare», «Arrivai alle 6,30 del mattino, tutta la gente del paese stava facendo colazione con una cioccolatata. Non ci furono incidenti, era una festa, a pranzo cucinammo una paella», «Non pensavamo di fare nessuna azione violenta, volevamo dare un’immagine di dignità. Se la polizia arrivava che perdesse almeno cinque minuti di tempo per entrare», «Il comportamento della gente era normale, di aspettativa, di speranza. Fino a quando venimmo a sapere delle cariche della polizia in altri seggi, allora ci fu un momento di timore, d’inquietudine», «Era una giornata di allegria. Quando ci arrivarono le immagini delle cariche della polizia altrove diventò una giornata di calma tesa», «Arrivai alle 5 del mattino, fu un giorno, un’esperienza che ricorderò per tutta la vita, di emozione, speranza e solidarietà, perturbata dalle immagini delle cariche della polizia in altri centri di votazione», «La tranquillità era assoluta, c’era collaborazione tra tutte le persone, anche con quelle del quartiere che non erano venute a votare, i vicini ci portarono i computer», «Passai alcune ore con gente che non conoscevo in un centro di votazione che non era il mio. Comprai un’enorme busta di churros e la condividemmo»: queste e altre le espressioni utilizzate dalle persone che andarono a votare per il referendum nel descrivere il loro 1 ottobre, quella giornata attorno a cui si è costruita la macro-causa contro l’indipendentismo catalano.
Persone venute a testimoniare per conto della difesa e diventate protagoniste della tredicesima settimana del processo alla leadership indipendentista. Il contenuto festoso dell’incontro fin dal giorno prima, le attività d’intrattenimento tra le più svariate dal cineforum a quelle sportive, fino all’immancabile ritrovarsi attorno a una tavola, la caduta del sistema informatico che rallentò il voto nelle prime ore del mattino, sono il tratto costante dei racconti degli uomini e delle donne che sfilano davanti alla Corte, di tutte le estrazioni sociali, dall’idraulico allo scienziato, dall’insegnante al carpentiere, quasi tutti con il fiocco giallo in solidarietà con i prigionieri politici. Diversi tra loro alle domande dell’accusa popolare rappresentata da Vox, fanno precedere le risposte con un «per obbligo giuridico», tanto da far infuriare il presidente del tribunale Manuel Marchena che a un certo punto precisa: «Tutto quello che facciamo qui dentro è per obbligo giuridico».
L’Avvocatura dello Stato chiede ai testimoni se abbiano visto aprire o chiudere i seggi, se abbiano assistito al momento in cui sono comparse le urne. Vox domanda se chi stava al seggio con funzioni di presidente avesse qualche segno identificativo. Ma nessuno ha visto i seggi aprirsi, o erano già aperti o venivano aperti dall’interno e le urne erano già sui tavoli per votare, o al più erano state viste trasportate all’esterno da sconosciuti dentro dei sacchi. Né chi era ai seggi ad accogliere i votanti portava qualche distintivo particolare, semplicemente era dietro i tavoli. E soprattutto, lo svolgimento della giornata, civico e festoso, era affidato all’auto-organizzazione, le attività venivano ripartite tra quanti avevano voglia e tempo per collaborare. Tutti i testimoni riferiscono che sapevano perfettamente quel 1 ottobre, andando a votare, che il referendum era stato proibito. Ne viene fuori un’immagine del tutto diversa da quella raccontata nelle settimane precedenti dalle polizie spagnole: un processo pacifico di auto-affermazione popolare, non quella muraglia umana aggressiva e minacciosa che il pubblico ministero descrive per giustificare l’accusa di ribellione.
Alcuni ricordano l’intervento violento delle polizie spagnole in alcuni dei seggi, ma nella gran parte delle testimonianze non vi è presenza né di Guardia Civil né di Policía Nacional, solo di Mossos. Perciò non ci furono incidenti con le forze dell’ordine, neppure in quei casi in cui la polizia catalana si portò via le urne, lasciando tutti “tristi e delusi”. Tra i testimoni anche il giovane universitario Joan Porras, meglio conosciuto come “Joan Bona Nit”, perché ogni notte andava a dare la buona notte ai prigionieri catalani quando erano rinchiusi nella prigione di Lledoners nel barcellonese. È la prima volta che mostra in pubblico la sua vera identità e nell’andarsene, dà la mano a tutti quelli seduti sul banco degli imputati.
Chiamati a testimoniare sono anche il segretario di CCOO de Catalunya, Javier Pacheco, la cui organizzazione è stata parte nel promuovere iniziative per la pace e la celebrazione di un referendum pattuito con lo Stato, e Xavier Trias, ex-sindaco di Barcellona. Intervengono altresì alcuni Mossos d’Esquadra – tra cui il consigliere del sindacato dei comandanti dei Mossos e il capo della Brimo, la Brigada Mòbil, antisommossa – che confermano nella sostanza la versione data nel processo dai rappresentanti del loro corpo di polizia.
L’ultimo testimone della settimana è Nemesio Fuentes, un ex-agente della Policía Nacional ora in pensione che fu presidente di un seggio il 1 ottobre. Racconta l’irruzione violenta della Guardia Civil nel suo centro di votazione in Sant Joan de Vilatorrada: «Un agente della Guardia Civil arrivò alla porta e cominciò a spaccarla con una mazza. Se invece avesse chiesto non sarebbe stato necessario, la porta si apriva da fuori e non era chiusa a chiave».
La settimana precedente, la dodicesima del processo, era iniziata il giorno dopo le elezioni generali del 28 aprile, durando appena due giorni. Ascoltati dalla Corte alcuni degli osservatori internazionali, alcuni dei votanti del 1 ottobre e il cantautore Lluís Llach che, nell’autunno 2017, era deputato nel parlamento catalano per la lista indipendentista di Junts pel Sí.
Dal giorno dopo il 28 aprile, sul banco degli imputati siedono cinque parlamentari delle Cortes spagnole: Oriol Junqueras, presidente di Esquerra Republicana, Jordi Sánchez, Jordi Turull e Josep Rull di Junts per Catalunya eletti alla Camera e Raül Romeva, di Esquerra Republicana, eletto al Senato.

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