Osservatorio settimanale
20/04/2019 – di Elena Marisol Brandolini
CRONACA DEL PROCESSO AGLI INDIPENDENTISTI CATALANI / 10
Settimana di Pasqua, la decima del processo all’indipendentismo catalano, la prima della campagna elettorale per le politiche del 28 aprile. Tra una settimana si vota in Spagna e dopo un mese si torna a votare per le europee, le municipali e le “autonomiche” (che designano i presidenti delle Regioni).
Questa settimana il dibattimento in Aula è iniziato il lunedì ed è finito il mercoledì, per via delle feste, liberando alcuni giorni utili per la campagna elettorale, dato che la Giunta elettorale ha accordato agli imputati che si presentano alle elezioni politiche la possibilità di partecipare a iniziative di campagna elettorale per via telematica, al di fuori delle sessioni processuali. Perciò Jordi Sánchez e Oriol Junqueras, capolista rispettivamente di Junts per Catalunya e di Esquerra Republicana de Catalunya al Congresso, hanno tenuto ciascuno una conferenza stampa dal carcere madrileno di Soto del Real, con i giornalisti convocati dall’agenzia spagnola EFE e da quella catalana ACN.
I tempi processuali vanno oltre le diverse consultazioni elettorali. Il processo si concluderà presumibilmente entro la fine di giugno e la sentenza arriverà all’inizio dell’autunno. I catalani lo seguono quotidianamente attraverso la radio e la televisione pubbliche locali, o anche solo attraverso la sintesi che ne fanno i media, con un sentimento ambivalente di rifiuto e di attrazione; ne hanno appreso il linguaggio pomposo, la gerarchia delle relazioni, i tempi a volte estenuanti. I testimoni sentiti finora sono circa la metà degli oltre 500 chiamati a deporre da accusa e difesa. Solo in questa settimana ne sono passati oltre 50, agenti del corpo della Policía Nacional che l’1 di ottobre intervennero nel dispositivo di ordine pubblico per impedire il referendum in alcuni dei distretti della città di Barcellona e in diversi collegi elettorali di Girona, Lleida e Tarragona.
Il racconto dei poliziotti ripropone il medesimo cliché della settimana precedente: la denuncia di un clima di violenza e aggressività ai seggi, la stigmatizzazione del comportamento inerte dei Mossos d’Esquadra. A parlare sono agenti che quel giorno, nella gran parte dei casi, subirono contusioni di vario tipo, anche se diversi tra loro riconoscono di aver fatto uso della difesa regolamentare per aprirsi un varco tra la gente. L’accusa popolare di Vox controinterroga i testimoni insistendo nel chiedere se le persone concentrate ai seggi proferissero minacce di morte, si riferissero nei loro slogan a ETA, utilizzassero oggetti come armi di offesa.
Il primo a deporre è un comandante della Guardia Civil che, nell’autunno catalano, era il numero due del tenente colonnello Daniel Baena, il capo della polizia giudiziaria della Catalogna che firmò i rapporti di indagine alla base dell’istruttoria nella macro-causa contro l’indipendentismo. L’esponente della polizia militare torna a segnalare il documento “Enfocats” e l’agenda Moleskine ritrovate nell’appartamento di Josep Maria Jové, vice di Oriol Junqueras, il 20 settembre 2017. Documenti da cui, secondo il pubblico ministero, emergerebbe la strategia di ribellione poggiata sulle famose tre gambe del potere politico, della mobilitazione popolare e della polizia catalana.
«“Enfocats” è un documanto strategico e la Moleskine un documento di tipo esecutivo in cui si possono riscontrare i nomi delle persone coinvolte. Nell’agenda appare una modulazione del conflitto» sostiene il vice di Baena. E continua dicendo: «Vi si trovano i possibili scenari di un’uscita della Catalogna dalla Spagna non concordata con lo Stato e le diverse opzioni di finanziamento all’estero, con prestiti a livello internazionale. Si parla di controllo del territorio». Per quanto riguarda il clima sociale di quei giorni, distingue tra «una prima fase di protesta fino al 17-18 di settembre» e un’altra «dal 20 settembre, in cui l’atteggiamento della popolazione diventa di assedio all’iniziativa della polizia». «Si vede la connivenza di Trapero con Puigdemont», afferma, per evidenziare la complicità della polizia catalana con il Governo della Generalitat. Le indagini cominciarono nel 2015, ma furono prese in considerazione anche le manifestazioni occorse nel giorno della Diada de Catalunya fin dal 2013, considerate come «antecedenti di fatti, in grado di dare contesto all’istruttoria».
Se questi documenti non fossero sufficienti a dimostrare i delitti di ribellione e sedizione, ci sono le testimonianze dei poliziotti appunto, a denunciare come, nei giorni dell’autunno catalano, ci fosse un clima generale di tipo “insurrezionale” fomentato apposta per impedire il compimento del mandato giudiziario, con la collaborazione della polizia catalana. È un nuovo concetto di ribellione quello che si cerca di affermare da parte dell’accusa, non più la classica sollevazione in armi, ma l’esistenza di una violenza di tipo ambientale.
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