Osservatorio settimanale
06/04/2019 – di Elena Marisol Brandolini
CRONACA DEL PROCESSO AGLI INDIPENDENTISTI CATALANI / 8
Ferran López era il secondo nella scala di comando dei Mossos d’Esquadra ai tempi dell’autunno catalano. Con l’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, il Governo spagnolo indicò lui a sostituire il major Josep Lluís Trapero alla guida della polizia catalana. Era López a partecipare alle riunioni delle polizie spagnole coordinate dal colonnello della Guardia Civil Diego Pérez de los Cobos, perché tra Trapero e de los Cobos «non c’era una buona chimica personale».
«Fui io a fare una nota interna sulla nomina del coordinatore – dice il commissario ascoltato come testimone nell’ottava settimana del processo contro l’indipendentismo catalano ‒. Accettavamo la scelta fatta, ma non concordavamo con la designazione di quel coordinatore, perché era una figura ibrida tra il politico e l’operativo».
La sua testimonianza è una difesa del corpo dei Mossos. La ricostruzione degli avvenimenti di quei giorni è puntuale, l’accusa alle altre polizie spagnole di aver fatto saltare il dispositivo unitario d’intervento il giorno del referendum è senza tentennamenti, sulla stessa linea della deposizione di Trapero nei giorni precedenti. «I Mossos erano impegnati a dare attuazione al mandato giudiziario» in una situazione complicata per la determinazione del Governo catalano di far svolgere il referendum, anche se sempre dalla Generalitat venne risposto «che facessimo quello che dovevamo fare». L’1 ottobre «lo scenario previsto era di un’alta partecipazione e di una resistenza passiva. Ma era più che sicuro che ci sarebbero stati degli incidenti per il clima di polarizzazione che si era determinato in quei giorni».
Contraddicendo de los Cobos che aveva accusato la polizia catalana di aver effettuato un intervento del tutto inadeguato per il giorno del referendum, López conferma quanto già detto da Trapero, precisandolo: «L’1 ottobre ci fu un dispositivo congiunto delle tre polizie che constava di tre parti: una prima, consistente nell’invio di una coppia di Mossos in ogni seggio elettorale; una seconda che prevedeva un primo intervento di ordine pubblico da parte dei Mossos; e una terza, in cui i Mossos avrebbero eventualmente chiesto il sostegno alla Guardia Civil e alla Policía Nacional. Ma a un certo punto, nel giorno del referendum, questo dispositivo si ruppe». López afferma che de los Cobos aveva condiviso l’insieme del dispositivo, anche la parte a carico dei Mossos e nega con fermezza che ci sia mai stata alcuna attività di spionaggio dei Mossos nei confronti delle polizie spagnole. La sua testimonianza contrasta in modo netto con quella di de los Cobos di qualche settimana prima, che la difesa di Quim Forn chiede alla corte di prevedere un confronto all’americana tra i due testimoni. E il presidente Manuel Marchena si vede obbligato a prendere tempo per decidere.
A López fa eco, il giorno successivo, Joan Carles Molinero, allora numero tre dei Mossos d’Esquadra. Con un castigliano elegante e calibrato, conferma la versione data dall’alta dirigenza della polizia catalana. «L’ex-consigliere Forn non diede nessuna indicazione operativa ai Mossos sul referendum, consapevole che avremmo dovuto applicare il mandato giudiziario» ‒ dichiara ‒. «Noi non pensammo mai a un dispotivo per compiacere il potere politico, ma per rispettare il mandato giudiziario». E insiste: «L’1 di ottobre si produsse un dispositivo congiunto tra le tre polizie, diretto da de los Cobos».
Per il resto, nel corso della settimana, si sono succedute le deposizioni di poliziotti della Policía Nacional, della Guardia Urbana e di molti appartenenti alla Guardia Civil, per la gran parte testimoni dell’1 ottobre in qualcuno degli oltre 2200 seggi elettorali. Non si può fare a meno di cogliere, in tali testimonianze, la somiglianza nel racconto dei fatti, nell’utilizzo dei termini e nella ricerca di una descrizione coerente con i delitti di ribellione e sedizione contestati. Tutti riferiscono la presenza di manifestanti aggressivi e violenti; alcuni denunciano di aver riportato contusioni; tutti negano di avere agito con una forza sproporzionata e dichiarano di non avere visto aggressioni perpetrate nei confronti dei cittadini riuniti. Questa narrazione e quella dell’indipendentismo descrivono due realtà parallele destinate a non incontrarsi e, in questa fase, non è consentito alla difesa contrastare con immagini il contenuto delle testimonianze. Gli avvocati difensori utilizzano, allora, un escamotage e, per controinterrogare i testimoni, descrivono le immagini che fanno scorrere sui loro computer. In attesa che l’aula possa prenderne visione.
Posted in Il processo, La questione catalana