Osservatorio settimanale
30/03/2019 – di Elena Marisol Brandolini
CRONACA DEL PROCESSO AGLI INDIPENDENTISTI CATALANI / 7
Nel processo contro la leadership indipendentista catalana si susseguono le testimonianze degli agenti della Guardia Civil.
Tra queste, la più attesa è quella del tenente colonnello Daniel Baena, capo della polizia giudiziaria della Catalunya, che firmò i rapporti delle indagini compiute dalla sua polizia sul procés posti a fondamento delle istruttorie che hanno dato vita alla macro-causa contro l’indipendentismo e che perciò sono alla base del processo che si sta celebrando a Madrid da sette settimane. La sua immagine è nota, ma sceglie comunque di testimoniare senza essere ripreso dalle telecamere.
La credibilità della testimonianza è contestata dalla difesa, perché dietro Daniel Baena si nasconderebbe il titolare di un account Twitter dallo pseudonimo Tácito, i cui messaggi erano rivolti contro i leader indipendentisti e i Mossos oggetto della sua indagine. Ciò risulta dalla registrazione di una telefonata intercorsa nel febbraio del 2018 tra il giornale spagnolo Público e il colonnello, nel corso della quale quest’ultimo riconobbe di essere uno dei gestori di quel profilo Twitter. Ma davanti al tribunale, a domanda della difesa, nega di esserne il proprietario.
«Investighiamo persone che fanno cose» ripete Baena, per smontare l’argomento del processo politico e della causa contro l’indipendentismo. Si apprende, peraltro, che le indagini cominciarono ben prima dell’autunno 2017: fu l’Audiencia Nacional a ordinargli, nel 2015, di investigare sulla possibile esistenza di strutture di Stato e sull’eventuale connesso delitto di distrazione di risorse pubbliche, dopo la consultazione del 9 novembre 2014 e la dichiarazione di sovranità votata dal Parlamento catalano. Fu poi nel corso dell’indagine, sostiene il colonnello, che cominciarono ad apparire indizi di altri possibili reati.
Baena parla di «clima chiaramente insurrezionale» e di «polveriera» in riferimento al moltiplicarsi delle manifestazioni di piazza che si svolsero in Catalunya dal 20 settembre al 28 ottobre 2017, quando, in applicazione dell’articolo 155 della Costituzione, vennero commissariate le istituzioni della Generalitat. Dice che, nelle diverse perquisizioni, «si trovò moltissimo materiale» che consentì di stabilire «una relazione tra fatti e persone che aveva un preciso riscontro con quanto si stava pubblicando sulla stampa». Ciò perché le fonti originarie delle indagini erano principalmente le notizie pubblicate sui mezzi d’informazione.
Il referendum – continua Baena – era «la pietra angolare attorno a cui girava il procés ed era la condizione indispensabile per dichiarare l’indipendenza»: tutto questo risultava dall’agenda Moleskine e dal documento “Enfocats” trovati nell’appartamento di Josep Maria Jové, numero due di Oriol Junqueras. Perché alla base dei rapporti della polizia spagnola e perciò dell’istruttoria del giudice Pablo Llarena del Tribunal Supremo, assunta dal pubblico ministero per imputare nove persone del delitto di ribellione, ci sono un’agendina con appunti di riunioni che arriva fino al 2016 e un documento di cui non si conosce l’autore, forse apocrifo, il cui contenuto comunque non coincide nei tempi e nelle modalità con la realtà dei fatti. In “Enfocats” venivano indicati due livelli, uno di direzione e l’altro esecutivo, spiega il colonnello. Nella direzione erano previsti il governo, il parlamento, la mobilitazione popolare: le tre gambe su cui poggia tutto l’impianto accusatorio. E se «le date non sempre coincidevano con i fatti reali» è perché si produssero degli eventi che li anticiparono, ma c’era una coincidenza «con le mobilitazioni popolari vincolate ad alcune deliberazioni parlamentari».
È su basi di questa consistenza che si è costruita la macro-causa contro il movimento indipendentista.
Il resto delle testimonianze degli agenti della Guardia Civil riguarda alcune delle perquisizioni effettuate il 20 settembre 2017 negli edifici della Generalitat o negli appartamenti di diversi funzionari: in quel giorno si effettuarono 40 perquisizioni e furono arrestati 15 alti funzionari dell’amministrazione catalana.
Tra gli agenti ascoltati, il comandante responsabile della perquisizione del dipartimento di Economia che parla di Jordi Sánchez «come portavoce della massa» e sottolinea che era l’ex-leader dell’Assemblea Catalana a prendere le decisioni, mentre l’intendente dei Mossos, Teresa Laplana, si limitava a recepirle. Poi riferisce di un tentato sfondamento della porta dell’edificio da parte dei manifestanti nelle prime ore della notte, ma non ci sono immagini a confermarlo.
Dello stesso tenore la deposizione del suo collega capo della sicurezza in quel 20 settembre al dipartimento di Economia, che ammette di aver «spaccato con la mazza due finestrini dei veicoli lasciati fuori per accertarmi che ci fossero ancora le armi all’interno», una volta che gli ultimi manifestanti erano stati dispersi dall’intervento dei Mossos attorno alle 3 del mattino.
Vengono ascoltati anche cinque Mossos, rimasti contusi in forma lieve nel corso di una perquisizione a Sabadell. Riferiscono di un comportamento dei manifestanti improntato per lo più a una resistenza passiva e di un gruppetto di un centinaio di persone con atteggiamento aggressivo.
Infine parlano gli agenti della Guardia Civil alloggiati negli alberghi o responsabili delle caserme alloggio di alcune località catalane. Lamentano gli assembramenti che in quei giorni si ebbero davanti agli edifici e dicono che ciò impediva la loro libertà di movimento e incideva negativamente sulla vita quotidiana delle persone, specie dei familiari dei poliziotti.
Ascoltati anche due degli ospiti internazionali che l’1 di ottobre si recarono in alcuni dei seggi elettorali. Felix Von Grünberg è un ex-deputato della SPD tedesca. Venne in Catalogna per il referendum dell’1 di ottobre perché interessato alla situazione politica. Ma «le spese furono totalmente a mio carico, come sempre anche nel caso di missioni per conto delle Nazioni Unite, perché voglio mantenere la mia indipendenza» chiarisce, sgombrando il campo dal possibile uso di risorse pubbliche per la sua permanenza legata al referendum. Quindi è la volta della scozzese Helena Catt, esperta internazionale di processi elettorali. Riconosce di aver ricevuto un onorario da Diplocat, ma «non era per una missione di osservatori internazionali, si trattava di una ricerca. Il proposito di una missione di osservazione è elaborare un report sulla validità dei risultati. A noi, invece, nessuno chiese di convalidare nulla».