Cronaca del processo agli indipendentisti catalani / 6

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Osservatorio settimanale
23/03/2019 – di Elena Marisol Brandolini
CRONACA DEL PROCESSO AGLI  INDIPENDENTISTI CATALANI / 6
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Sesta settimana di processo all’indipendentismo catalano a Madrid, con testimonianze impegnate a sostenere un po’ tutti i delitti di cui il pubblico ministero accusa i leader del movimento, dalla distrazione di fondi pubblici alla ribellione violenta e alla sedizione tumultuosa.
La settimana è segnata anche dalla contestazione degli avvocati della difesa nei confronti del presidente del Tribunale Manuel Marchena, che ha deciso di separare la fase orale del dibattimento dalla visione delle immagini, rendendo così impossibile l’eventuale contestazione di una testimonianza nel momento della deposizione.
«Il controllo del ministero si limitava al solo ambito finanziario del bilancio, perciò qualunque contrattazione irregolare sarebbe sfuggita», afferma il sottosegretario alle Finanze dell’epoca Felipe Martínez Rico, non escludendo perciò che risorse pubbliche siano andate a finanziare il referendum del 1 ottobre, così come aveva già adombrato, giorni prima, il suo ex-ministro.
Un agente della Guardia Civil, coinvolto nella perquisizione di alcuni uffici della Generalitat il 20 settembre 2017, afferma che il Governo catalano si stava attrezzando per disporre di un’agenzia tributaria propria e stava cercando di ottenere finanziamenti dalla Cina per gestire la transizione da uno Stato all’altro. La sua è una delle 24 testimonianze di agenti della polizia militare spagnola che occupano l’intera settimana e che propongono una lettura a tinte fosche dei fatti del 1 ottobre.
Le concentrazioni di persone davanti ai luoghi in cui la polizia spagnola entrò per perquisire gli uffici e le abitazioni di funzionari della Generalitat, requisire materiale di propaganda del referendum o impedire il voto il 1 di ottobre sono descritte dagli agenti della Guardia Civil come una sorta di bolge infernali. Le espressioni usate nelle testimonianze sono più o meno le stesse. Si ripetono con frequenza le parole “rabbia”, “tumulto”, “muraglia umana”. «Mi sorpresero i volti delle persone che esprimevano una rabbia fuori controllo. Temevo che il tumulto di gente assaltasse l’edificio», racconta un agente impegnato nella perquisizione di un ufficio della Generalitat. «Ci fu una pioggia di bottiglie» continua. «Non so se due o cinque», specifica, poi, a domanda della difesa. Anche se quella perquisizione, come tutte le altre, poté essere portata a termine con normalità e se, in generale, non fu assaltato nessun edificio e non ci furono arresti.
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«Venivamo insultati e colpiti. Ci furono lanci di sedie e di bottiglie», riferisce un altro agente in relazione all’intervento in un seggio elettorale, nel quale diversi cittadini risultarono feriti il 1 ottobre e per cui alcuni agenti sono attualmente indagati per la brutalità della polizia. «Non avevo visto niente di simile in vita mia», sostiene un altro agente che pure in passato si è occupato di mafia e narco-traffico. «Non ho vissuto il conflitto basco – gli fa eco un commilitone –, ma colleghi veterani lì presenti mi hanno detto che quello assomigliava molto al principio del conflitto basco». «Quel che ho vissuto quel giorno – racconta un altro appartenente alla Guardia Civil, intervenuto in un seggio il 1 di ottobre – non lo dimenticherò mai: una esibizione di odio e disprezzo. Non c’era pacifismo in nessun posto». «Facemmo un uso della forza proporzionale e congruo», continua quest’ultimo, anche se il comportamento ingiustificato di alcuni agenti del suo gruppo è attualmente oggetto d’indagine presso un altro tribunale. «Le persone convenute sul posto erano totalmente ostili», ribadisce un altro agente e alla domanda dell’accusa popolare rappresentata da Vox su quale fosse la tecnica di aggressione adottata dai manifestanti, risponde senza scomporsi: «La tecnica era sedersi per terra e prendersi per le braccia».
C’è chi giura di aver visto, in occasione di una delle perquisizioni precedenti il referendum, Carme Forcadell passare su una macchina ufficiale, con il braccio fuori dal finestrino ad aizzare la folla lì concentrata. Chi è sicuro di aver notato l’attuale presidente della Generalitat Quim Torra, che allora era quasi uno sconosciuto, mentre usciva dal deposito di un’impresa dove venne requisito materiale di propaganda del referendum.
Nella selezione dei messaggi tratti dalla posta elettronica degli imputati, la Guardia Civil ha considerato degni d’interesse, oltre ai temi economici, quelli riferiti a riunioni, a manifestazioni e all’11 settembre, festa nazionale della Catalunya.
Per lo più, gli agenti della Guardia Civil chiamati a testimoniare, in linea con le precedenti testimonianze dei loro capi, ribadiscono l’atteggiamento passivo dei Mossos davanti alle concentrazioni popolari, insistono sull’unità di azione degli stessi con il Governo catalano e, anzi, suggeriscono che la polizia catalana li spiava. Si capisce che non comprendono l’attività di mediazione che i Mossos applicano, ormai da alcuni anni, per risolvere pacificamente le questioni di ordine pubblico in occasione di manifestazioni.
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Il presidente Marchena non permette, in questa fase, la visione delle immagini e perciò la difesa non può contestare la veridicità della deposizione degli agenti; in rete, però, tornano i video relativi alle cariche della polizia nei seggi elettorali tirati in ballo.
È certo possibile che negli oltre 2200 seggi del referendum ci siano stati episodi di aggressività e perfino di violenza puntuale da parte di alcuni manifestanti, magari in reazione alle cariche della polizia. Ma mai risulta che essi abbiamo avuto l’intensità e la generalità necessarie a integrare i delitti di ribellione e di sedizione, tesi a sovvertire l’ordine costituzionale con una sollevazione violenta. Delitti sui quali si celebra questo processo contro l’indipendentismo.

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