Il processo contro il diritto all’autodeterminazione della Catalogna
All’inizio del 2019 si terrà a Madrid un processo contro i leader politici e civili catalani. Per mesi i rappresentanti del popolo catalano scelti democraticamente dovranno affrontare le accuse di un reato di ribellione che non hanno commesso, dal momento che l’unica violenza del processo di autodeterminazione in Catalogna è stata quella esercitata dalla polizia spagnola l’1 ottobre 2017, per reprimere il referendum di indipendenza. Le istituzioni spagnole stanno cercando di trasformare un diritto – quello di autodeterminazione – in un reato. Le società democratiche non dovrebbero tollerare la violazione dei diritti fondamentali nel cuore dell’Europa.
Autunno del 2017: eventi politici e giudiziari
- 1 ottobre: La polizia spagnola reprime violentemente il referendum sull’autodeterminazione in Catalogna. Mille sessantasei elettori sono assistiti da servizi medici. Duecentocinquanta collegi elettorali sono chiusi. Nonostante la repressione, si celebra il referendum, con una partecipazione di 2.286.217 voti (43%), di cui il SÍ impone il 90% (2.044.038).
- 16 ottobre: I presidenti delle due ONG catalane Jordi Sanchez, dell’Assemblea Nacional Catalana (ANC – Assemblea Nazionale Catalana), e Jordi Cuixart, dell’Òmnium Cultural, sono accusati di sedizione e imprigionati senza cauzione per l’organizzazione di una manifestazione pacifica tenutasi il 20 settembre.
- 27 ottobre: Il Parlamento della Catalogna approva la Dichiarazione di Indipendenza con 70 deputati a favore, 10 contrari, 2 voti in bianco e 52 astensioni. Il governo spagnolo attiva l’amministrazione diretta, cessa il governo catalano, scioglie il Parlamento della Catalogna e convoca nuove elezioni.
- 2 novembre: Il presidente Carles Puigdemont e quattro ministri si esiliano a Bruxelles. Otto ministri – la maggior parte ritornati volontariamente dal Belgio – sono imprigionati inizialmente a Madrid, senza cauzione, accusati di ribellione per aver organizzato un referendum che avrebbe portato alla risoluzione parlamentare che dichiarò l’indipendenza.
- 21 dicembre: Elezioni al Parlamento della Catalogna. Vincono le opzioni indipendentiste. Con una quota di partecipazione del 70,09%, i partiti proindipendenza ottengono il 47,5% dei voti e 70 seggi, i partiti unionisti il 43,3% dei voti e 57 seggi, mentre una coalizione pro referendum ma ambigua nei termini di indipendenza, ottiene il 7,4% dei voti e 8 seggi.
I Processi e repressione politica
- Luglio 2018: Un tribunale tedesco nega l’estradizione del presidente Carles Puigdemont per ribellione perché non ottiene prove che dimostrino la violenza richiesta per questo tipo di reato. Il giudice spagnolo ritira il mandato europeo d’arresto per evitare di giudicarlo unicamente per appropriazione indebita di fondi e/o perdere gli altri casi di estradizione dei ministri catalani: quelli di Clara Ponsatí – in Scozia –, Toni Comín, Lluís Puig e Meritxell Serret – in Belgio – , e quella della leader politica Marta Rovira – in Svizzera- dove si trova in esilio anche l’ex deputata Anna Gabriel.
- Novembre 2018: La Procura presenta le seguenti accuse:
-Ribellione e appropriazione indebita di fondi pubblici: per il Vicepresidente Junqueras (25 anni di carcere); Jordi Sànchez, dell’ANC, Jordi Cuixart, dell’Òmnium, e Carme Forcadell, presidente del Parlamento (17 anni di carcere); i ministri Jordi Turull, Josep Rull, Raül Romeva, Dolors Bassa e Joaquim Forn (16 anni di carcere).
-Oltraggio all’autorità e appropriazione indebita di fondi pubblici: per i ministri Carles Mundó, Meritxell Borràs e Santi Vila (7 anni di carcere).
-Oltraggio: per Anna Simó, Lluís Coromines, Ramona Barrufet, Lluís Guinó e Joan-Josep Nuet, membri della segreteria di Presidenza del Parlamento; e per il deputato Mireia Boya (interdizione delle funzioni pubbliche e ammenda).
- Gennaio 2019: La Corte Suprema inizia il processo contro dodici leader politici e leader dei movimenti sociali, accusati di ribellione e/o appropriazione indebita di fondi pubblici, mentre i cinque membri della segreteria di Presidenza del Parlamento – escludendo la presidente –, e la deputata Mireia Boya saranno processati dall’Alta Corte di Giustizia in Catalogna (TSJC) per oltraggio.
Il capo della polizia catalana, Josep-Lluís Trapero, e altri tre alti funzionari saranno processati dalla Corte Nazionale accusati di ribellione e sedizione per non aver represso violentemente il referendum.
Inoltre, settecento sindaci sono indagati, diversi insegnanti sono stati accusati di reato d’istigazione all’odio, decine di attivisti sono stati detenuti (per aver partecipato allo sciopero generale il 3 ottobre o l’8 novembre 2017, o durante le manifestazioni di protesta contro la reclusione dei leader politici). Due di loro sono stati detenuti in base alla legge anti-terrorismo e diversi rapper sono stati reclusi o sono esiliati per il contenuto politico delle loro canzoni (Pablo Hasél, Valtònyc).
Violazione dei diritti umani
1) Negare il diritto dei catalani a celebrare un referendum implica di per sé una seria negazione della democrazia. L’articolo 1 del Trattato Internazionale sui diritti civili e politici – ratificato dalla Spagna nel 1977 – riconosce il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione. Nel reprimere il referendum sull’autodeterminazione, lo stato spagnolo ha anche violato altri articoli del trattato:
Articolo 7 (trattamento inumano o degradante di persone da parte della polizia);
Articolo 19 (diritto alla libertà di espressione);
Articolo 21 (diritto all’assemblea pacifica);
Articolo 22 (diritto all’associazione libera);
Articolo 25 (diritto di partecipare alla direzione degli affari pubblici).
2) Abuso della carcerazione preventiva: All’inizio del processo, gli imputati avranno accumulato tra dieci e quindici mesi di carcerazione preventiva. Il giudice ha ripetutamente negato la loro libertà
sostenendo che non abbiano rinunciato alle loro convinzioni sull’indipendenza, o per la probabilità che organizzino nuove dimostrazioni.
La Corte Costituzionale ha ritardato per oltre un anno la risoluzione dei ricorsi presentati contro la carcerazione preventiva, bloccando di conseguenza l’accesso dei detenuti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Pertanto, il mancato trattamento di tali richieste aumenta il periodo di danni irreparabili causati da arresti arbitrari.
3) Il diritto a un processo equo non è garantito: La maggior parte delle citazioni per presentarsi davanti al giudice il 2 novembre sono state ricevute meno di 24 ore prima, il che costituisce derisione dei diritti fondamentali, impedendo la preparazione di una dichiarazione giudiziaria con le garanzie appropriate.
Molti degli imputati saranno processati da un tribunale (la Corte Suprema) senza poteri e ciò impedisce loro di fare appello, poiché è il più alto organo giudiziario ordinario. Gli eventi sono accaduti in Catalogna e dovrebbero essere giudicati in Catalogna. La presidente del Parlamento, che è membro di un organo collegiale, sarà processata dalla Corte Suprema, mentre i restanti membri saranno giudicati dall’Alta Corte di Giustizia in Catalogna.
La Corte Suprema ha negato ai prigionieri politici catalani il diritto di essere processati nella loro lingua, il catalano. Il partito di estrema destra Vox, che promuove la messa fuorilegge di partiti e associazioni indipendentiste, funge da accusa popolare nei processi, chiedendo condanne più lunghe di quelle richieste dall’ufficio del pubblico ministero.
4) Altri diritti politici sono stati violati: A Carles Puigdemont (presidente in esilio) e a Jordi Sànchez (ex presidente dell’ANC attualmente in carcerazione preventiva) è stato negato il diritto come deputati eletti di presentare la loro candidatura alla presidenza del governo catalano. Il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite richiese misure provvisorie per garantire i diritti politici di Jordi Sànchez, ma sono stati ignorate dal giudice spagnolo.
Carles Puigdemont, Oriol Junqueras, Jordi Sànchez, Josep Rull, Jordi Turull e Raül Romeva, membri del Parlamento della Catalogna, sono stati sospesi dalla carica prima che il processo abbia inizio.