Oriol Junqueras : "Rinchiuso in cella non rinuncio alla Catalogna libera"

Francesco Olivo
INVIATO A BARCELLONA | 06 Gennaio 2019
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Il regista del referendum per l’indipendenza parla
alla vigilia del processo: «Il tribunale spagnolo mi
condannerà sicuramente. In aula parlerò appellandomi ai valori europei»
 
COLLOQUIO
Per parlare con l’uomo che ha in mano le sorti del movimento
indipendentista bisogna farsi aprire una decina di cancelli blindati,
consegnare telefono e computer ed entrare nella sala colloqui di un
carcere.
Il sogno della repubblica catalana è finito, almeno per ora, dentro le
mura altissime e vigilate del centro penitenziario di Lledoners, sulle
colline alle spalle di Barcellona, nella comarca del Bages. Impossibile
perdersi: il cammino che conduce alle porte della prigione è segnato, per
molti chilometri, da migliaia di lacci gialli disegnati sull’asfalto, il
simbolo del sostegno ai «prigionieri politici», segno di una
mobilitazione che coinvolge tutta la regione che sogna di diventare
nazione.
La cella numero 64
Oriol Junqueras spunta al termine di un lungo percorso, dopo un tunnel
con le finestre oscurate, un cortile deserto dal quale si intravede in
lontananza una bandiera indipendentista. L’ex vice di Puigdemont è
uscito dalla sua cella, la numero 64, ed è seduto in una cabina adibita ai
colloqui. Quando scopre che ci sono visite, sorride e appoggia la mano al
vetro che separa i carcerati dal resto del mondo, un gesto al quale, suo
malgrado, sembra essersi abituato. Le sorti della politica spagnola, per
paradossale che possa sembrare, passano da questo signore, che in
maniche di camicia divide lo spazio con altri 750 detenuti. Le condizioni
estreme alla quali deve far fronte non lo hanno cambiato, il leader
repubblicano scandisce il suo pensiero, ripetendo tre parole quasi
ossessivamente: «Dialogo»; «Rispetto»; «Federalismo europeo». Chi si
aspetta, però, qualche passo indietro, o almeno un’autocritica sul
naufragio del tentativo repubblicano, resterà deluso. Troppo vicino il
processo per ammettere ripensamenti.
 
Junqueras è in prigione preventiva dal 2 novembre del 2017, oltre 8
mesi trascorsi nel carcere di Extremera, vicino a Madrid e altri 7 nella
propria terra, grazie a un trasferimento deciso dal governo socialista la
scorsa estate, aprendo una stagione di dialogo, finora senza molti
risultati. Per il detenuto Junqueras e per gli altri 8 leader catalani in
carcere sono ore frenetiche. Fra poche settimane comincerà, infatti, il
processo che li vede imputati, a diverso titolo, di reati come la ribellione
violenta, sedizione e malversazione di denaro pubblico, per aver
organizzato il referendum sull’indipendenza della Catalogna il 1° ottobre
del 2017, una sorta di colpo di Stato, secondo la tesi della procura
generale spagnola, che ha chiesto una pena di 25 anni per Junqueras. «In
fondo sono contento – dice, parlando con una cornetta – mi hanno
ridotto al silenzio con la forza, chiudendomi dietro a queste sbarre, e ora
finalmente avrò l’opportunità di spiegare agli spagnoli e agli europei,
che non abbiamo commesso nessun reato, che organizzare un
referendum non è punito dal codice penale. Chi ha ragione, non vede
l’ora di parlare. Ci difenderemo politicamente, ma giuridicamente in
nome dei valori europei». Eppure Junqueras non si fa illusioni sulla
possibilità di una sentenza positiva: «Finora niente è stato giusto, tanto
che i tribunali di mezza Europa hanno riconosciuto che non è esistita la
violenza in Catalogna». L’Europa è l’orizzonte ideale e anche giuridico
che torna nella sua strategia: «I prossimi anni della mia vita non saranno
facili, ma il mio scopo resta una Catalogna indipendente in un’Europa
federale, con istituzioni più forti». L’Ue, però, significa anche il
tribunale di Strasburgo, che, nella speranza dei «presos politicos»,
dimostrerà la loro innocenza.
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Junqueras ci tiene a non mostrare cedimenti e fisicamente appare in
forma: «Il mio animo è forte, la prigione è la prova di quanto siamo stati
coerenti». La sua vera preoccupazione è la famiglia, costretta a trasferte
continue per le visite, che diventeranno viaggi molto più lunghi, quando
tra qualche giorno i detenuti verranno trasferiti a Madrid per l’inizio del
processo. Oriol ha scritto una serie di racconti per i suoi bambini di 6 e 3
anni, alcuni ambientati a Roma, «non li posso mettere a letto e cerco
così di essere presente», dice nell’unico momento di commozione.
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Il presidente di Esquerra Republicana, nella sua condizione, può leggere
i giornali e ha accesso a radio e tv, riceve poi visite frequenti dai membri
del governo catalano. Sa quindi perfettamente che l’estrema destra ha
l’ambizione di vincere le Europee (alle quali lui si presenta come
capolista): «Mi spaventa questa ascesa e vedere che si lascino affogare le
persone in mare, mi spinge a proseguire la battaglia europeista».
Il fenomeno ora riguarda anche la Spagna, con Vox che sta guadagnando
posizioni, anche grazie a un discorso molto aggressivo contro gli
indipendentisti. Alcuni sondaggi indicano una possibile maggioranza di
un’alleanza (non così ipotetica) di conservatori e ultra nazionalisti.
Junqueras, in qualche modo, sente la pressione di tutti quelli che gli
ricordano che un argine a questo scenario (catastrofico in ottica
indipendentista) può metterlo lui stesso.
 
Frenare l’estrema destra
I voti di Esquerra, infatti, sono decisivi nel parlamento spagnolo per
approvare la Manovra dando ossigeno e slancio al governo socialista che
ha optato per il dialogo in Catalogna. Per ora gli indipendentisti sono
orientati a votare no, «almeno che Sánchez faccia qualche proposta.
Apprezzo gli sforzi ed è ovvio che preferisco lui a un governo diverso».
Alcuni secessionisti mettono così la questione: appoggio alla
Finanziaria, solo se si liberano i «prigionieri politici». Junqueras rifiuta
l’automatismo, però aspetta qualche offerta. Non può non sapere,
inoltre, che una parte dell’indipendentismo accusa il suo partito di voler
frenare eccessivamente: «Nessuno ha più fretta di me, si capisce, no?
Però io devo fare in modo che, quello che voglio per la mia gente, si
possa effettivamente realizzare». Una chiamata al realismo che lo
distanzia, non solo fisicamente, da Puigdemont, il quale dal suo esilio
belga insiste per nuove accelerazioni, «ma nel fondo siamo d’accordo,
vogliamo un referendum accordato con lo Stato spagnolo». Dopo un’ora
di colloquio, un agente penitenziario fa un cenno. È ora di tornare in
cella. La mano torna ad appoggiarsi sul vetro, con un messaggio finale:
«È dura, certo, ma ne vale la pena».
https://www.lastampa.it/2019/01/06/esteri/oriol-junqueras-rinchiuso-in-cella-non-rinuncio-alla-catalogna-libera-Z7dVvSswx0JhRGzXojjBjP/premium.html

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