Affarinternazionali 29 Dic 2018 – Elena Marisol Brandolini
Succede a volte in politica che gli avvenimenti che si susseguono a distanza di poche ore l’uno dall’altro contengano il significato di tutta una fase, prefigurando il tempo successivo. E’ quanto è accaduto in Spagna e in Catalogna nella settimana precedente il Natale, con l’udienza preliminare del processo agli indipendentisti e il primo anniversario delle elezioni catalane convocate da Mariano Rajoy. Due giorni che racchiudono l’ultimo anno: l’autunno catalano 2017 nel segno dell’indipendentismo, la cacciata dal governo di Mariano Rajoy e il nuovo esecutivo di Pedro Sánchez, le elezioni andaluse con l’exploit dell’estrema destra, l’anormalità della situazione in Catalogna con la leadership indipendentista in carcere o in esilio.
Primi passi della macro causa contro l’indipendentismo
Martedì 18 dicembre, a Madrid, presso il Tribunal Supremo (TS), si sono incontrati per la prima volta accusa e difesa davanti al tribunale che giudicherà la leadership del procés nella macro-causa contro l’indipendentismo. L’udienza preliminare ha definitivamente concluso la fase previa del procedimento giudiziario, con la conferma da parte della Procura Generale del teorema secondo cui, nell’autunno dello scorso anno, ci fu un’insurrezione violenta dell’indipendentismo tesa a sovvertire l’ordine costituzionale, da inscriversi perciò nel delitto di ribellione.
E per quanto questa udienza fosse convocata per discutere sulla competenza del TS nel processo, contestata dalla difesa perché in contraddizione con il diritto al giudice naturale per legge, è parso di assistere a una sorta di preludio di quello che sarà il dibattimento vero e proprio che inizierà nelle prossime settimane. Tre giorni dopo quell’avvenimento, il 21 dicembre, ricorreva l’anniversario delle elezioni catalane convocate un anno prima da Rajoy, in virtù del commissariamento della Generalitat applicato con l’articolo 155 della Costituzione e vinte dallo schieramento indipendentista.
L’evoluzione dell’atteggiamento verso Sánchez
L’annuncio del governo spagnolo, alla fine di agosto, che avrebbe celebrato una propria riunione a Barcellona entro la fine dell’anno, voleva rientrare nella strategia di distensione che Sánchez aveva offerto alle istituzioni catalane per ottenere il voto dei partiti indipendentisti alla sua mozione di sfiducia a Rajoy. E così fu letta in principio in Catalogna, fino a che tutto cominciò a cambiare quando, all’inizio di novembre, la Procura Generale, dipendente in linea gerarchica dall’esecutivo, emise la propria petizione di condanna per i 18 leader indipendentisti per un totale di 177 anni di carcere, imputandone nove per un delitto di ribellione, con pene pro-capite oscillanti tra i 25 e i 16 anni.
Quello fu un duro colpo per la fiducia dell’indipendentismo sulle sorti del dialogo con il governo spagnolo. Lo scetticismo tra le file catalane aumentò ancora di più quando, in seguito all’esito delle elezioni andaluse e all’exploit dell’estrema destra, basato per gran parte sull’avversità all’indipendentismo catalano, il discorso di Sánchez cambiò di tono rispetto ai giorni dell’investitura.
Nel dibattito monografico sulla Catalogna celebrato nel Congresso dei Deputati il 12 dicembre, Sánchez, stretto tra la destra spagnola ringalluzzita dai risultati andalusi e l’ala moderata del suo partito preoccupata per la perdita dell’ultimo granaio di voti, pronunciava parole dure nei confronti dei partiti indipendentisti. Cominciò così a crescere in Catalogna l’avversione per l’arrivo del governo spagnolo vissuto come una provocazione, tanto più perché coincidente con l’anniversario delle elezioni.
La vigilia e la giornata del 21 dicembre
Le ore precedenti il 21 dicembre sono di attesa, per sapere se ci sarà o meno l’incontro tra i presidenti dei governi spagnolo e catalano; di timore, per ciò che potrà succedere in piazza, con la destra a preconizzare sangue e guerre civili; di gesti, con l’approvazione dell’obiettivo di deficit della finanziaria 2019 grazie al voto dei partiti indipendentisti.
Nella maggioranza che sostenne la mozione di Sánchez contro Rajoy al principio di giugno, sembra ora prevalere la preoccupazione del precipitare del quadro politico spagnolo senza controllo, in piena auge dell’estrema destra che i sondaggi danno con il vento in poppa e con la destra parlamentare intenta a scatenare gli istinti più reazionari dell’elettorato. E Sánchez, che a gennaio porterà al Congresso la finanziaria concordata con Podemos, comincia a crederne possibile l’approvazione con il concorso degli indipendentisti catalani.
E alla fine arriva il 21 dicembre. Preceduto il giorno prima dall’incontro tra i presidenti dei governi spagnolo e catalano Sánchez e Quim Torra nel Palau de Pedralbes di Barcellona, al termine del quale un comunicato congiunto propone alcune formulazioni sufficientemente ambigue perché ci si possano ritrovare tutti, mentre parla dell’impegno a un “dialogo effettivo” per una proposta politica “che conti con un ampio appoggio nella società catalana”.
Il giorno dopo, il governo spagnolo riunito a Barcellona presso la Llotja del Mar, approva l’aumento a 900 euro del Salario minimo interprofessionale. Poi fa una serie di gesti simbolici, decidendo, senza però concordarlo con la Generalitat, di aggiungere al nome dell’aeroporto di Barcelona-El Prat quello del president Josep Tarradellas, in esilio dal 1954 al 1977. Quindi stila una dichiarazione istituzionale di riabilitazione politica di Lluís Companys, condannato a morte da un tribunale franchista e ucciso per fucilazione nel 1940, senza tuttavia annullarne la sentenza per cui sarebbe necessario un provvedimento di legge.
Fuori, il centro della città è invaso per tutto il giorno da manifestazioni e cortei promossi dal movimento indipendentista contro la presenza del governo spagnolo. La mobilitazione è pacifica come sempre; solo un gruppo di incappucciati crea qualche disordine, caricati a tratti dalla polizia, ma per lo più isolati dal resto dei manifestanti, o dai pompieri che si frappongono tra loro e i Mossos d’Esquadra. Alla fine non si apprezza nessuna catastrofe, nessun bagno di sangue. Solo una mobilitazione popolare per rivendicare il diritto all’autodeterminazione che nessun governo spagnolo sembra, fino a questo momento, voler riconoscere.