Sangue, morti, ecc….

Naciodigital.cat – Jordi Cabré, 17 dicembre 2018

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Jordi Cabré

 
Non abbiamo paura delle minacce, perché staremmo ben oltre tutto questo, ma soprattutto perché i morti e il sangue li abbiamo già incorporati nella memoria e nella storia
Zapatero non si sbaglia quando dice che il problema catalano non è “qualcosa di casuale o minoritario”, e che per questo motivo, cioè perchè l’indipendentismo è arrivato per restarci, bisogna trovare una soluzione politica e non solo poliziesca o giudiziaria. Ha molta pià ragione di quel che pensa, temo. Quando dice ciò lo fa pensando ad evitare mali maggiori, per dare un’immagine di dialogo e di rifiuto all’escalation del conflitto, ma per gli indipendentisti non sono necessarie minacce di violenza o di carcere o di commissariamento con un nuovo 155 per sapere su quale terreno si muovono.
Quello che non immaginano la maggioranza dei politici dello Stato è che tutto questo è già interiorizzato da noi, non proprio pensando a una strada slovena o a una minaccia futura, ma a quello che abbiamo marchiato sulla pelle. Sulle nostre cicatrici. Personali. Dirette.
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Che si tratta di sangue lo dimostra il fatto che io stesso, il 1° di ottobre del 2017, vidi come sangue del mio sangue era picchiato dai poliziotti: mio padre. Quello che non immaginano è che la ferita è così diretta, così intima, che arriva ai nostri cari: picchiarono alle nostre nonne, ai nostri cugini, a nostra sorella, alla vicina del sesto piano. E non hanno imprigionato ai membri del nostro governo: hanno imprigionato ai nostri amici, a gente che era vicino a noi, troppo vicino per limitare il problema a una questione politica o astratta.
Io, come molti altri, non parlo in termini esclusivamente politici ma in termini di vicinanza, di pelle, di sangue: hanno colpito mio padre e i miei amici. Dopo, più su, risulta che hanno anche colpito il mio governo e il mio presidente. E, in ultima sede, la mia (la nostra) autonomia, il nostro auto-governo. Hanno colpito tutto, a livello fisico, a livello personale: non si tratta di morti futuri ma di tatuaggi sulla pelle che ci hanno inflitto appena quattro giorni fa. Loro pensano che dimentecheremo tutto questo.
Quello che è successo l’ultimo anno in termini di vendetta, castigo, umiliazione e autoritarismo di Stato è qualcosa che ci lascerà il marchio per tutta la vita a noi e ai nostri figli. Pertanto, è una questione di sangue, come lo era la repressione franchista, come il fatto che io stesso dovetti chiamarmi Jorge per 2 anni. Questo si vive sulla pelle, lascia il marchio, non si dimentica, e conservo il foglio dell’anagrafe civile dove mio padre riuscì ad ottenere il cambio del mio nome.
Come abbiamo marchiata sulla pelle la dittatura di 40 anni fino all’assassinio di Salvador Antich, il genocidio culturale perpetrato e l’annientamento delle istituzioni. Come anche, prima di questo, ci marchiò sulla pelle la fucilazione del presidente Companys e il golpe di Franco che ci trascinò a una guerra civile. Tutto questo lascia il segno, è sangue del sangue, è recente, una generazione soltanto, al massimo due.
E se andiamo indietro, oltre la terza generazione, ci resta marchiato sul sangue quello che vissero i bisnonni: la dittatura di Primo de Rivera, il pistolerismo di stato, la carcerazione di imprenditori e sindaci vincolati alla “chiusura delle casse”… I prima di questo, se andiamo ancora pià in là nell’albero di sangue, ci colleghiamo direttamente con il sangue dei seppelliti nel Fossar de les Moreres, che ancora ricordiamo ogni anno per qualche motivo (11 settembre 1714) e che, ragionando in termini storici, sono una ferita recentissima.
Non sembra vero che non riescano a vederlo: ci hanno fatto esattamente la stessa cosa ma con mezzi moderni. E arriviamo fino a Pau Claris, e prima addirittura, con un filo di sangue continuo e ininterrottto. Morti? Sangue? Non bisogna andare oltre, non ne abbiamo bisogno, non li vogliamo e non crediamo che si producano in nessun paese civile di Europa.
Non abbiamo paura delle minacce, perché saremo molto al di sopra di questo, ma sopratutto perché abbiamo già i morti e il sangue incorporati nel pensiero e nella storia. Zapatero è il primo che lo ha espresso così com’è: non pensiamo come pensiamo per caso nè per capriccio. Pensiamo come pensiamo perché parliamo dei nostri genitori, nonni, zii e amici. Pensiamo come pensiamo perché la Spagna è stata una costante secolare di abuso di potere sulla nazione catalana. Pensiamo come pensiamo perché non possiamo pensare in nessun  altro modo, e non ci sono belle parole per fermare questo.
Morti? Non ci raccontino balle: noi ci siamo già passati e ci limitiamo a trattenerlo nel neocòrtex. Ora, se ci permettono, vogliamo andarcene via da questo stato caduco e marcio, democraticamente, e vivere in pace e prosperità.
 
traduzione  Àngels Fita – AncItalia
https://www.naciodigital.cat/opinio/18802/sang/morts/etcetera

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