Sciopero della fame, galera e secessione

Forn, ex ministro catalano: l’Europa ci ascolti
 
di Andrea Nicastro, inviato nella prigione di Lledoners
CorSera   20.12.2018
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Sciopero della fame, galera e secessione: «Noi, da 14 mesi
nel limbo di Madrid»

Un singhiozzo spazio-temporale e l’ora dei colloqui nel carcere di Lledoners, a 60 chilometri da Barcellona, potrebbe trasformarsi in una riunione di giunta catalana. In effetti è appena uscito l’artista cinese Ai Weiwei («che vergogna vedere prigionieri politici in Europa»), però invece delle guardie d’onore ci sono i secondini.
Nella cabina 1, dietro al vetro blindato, con la cornetta dell’interfono in mano, c’è Oriol Junqueras, ex vice presidente catalano e tuttora leader di Esquerra Republicana, seconda forza di maggioranza. Dopo qualche minuto, arriva anche Raül Romeva in completo da ginnastica ultra tech, è l’ex «ministro degli Esteri». Si sistema nel box 3. Nella cabina 2, invece, è seduto l’ex «ministro dell’Interno» Joaquin Forn. Nell’ottobre scorso era responsabile di 17 mila poliziotti, i Mossos d’Esquadra, ora è il detenuto del Blocco 2 che usufruisce di un incontro extra familiare concesso per buona condotta. Se l’è guadagnato pulendo due volte al giorno la sala grande e frequentando i corsi di informatica e ginnastica. Tutto questo almeno sino a quando, 16 giorni fa, ha iniziato lo sciopero della fame.
Dottor Forn, come sta?
«Ho perso quasi 8 chili, ma credevo peggio. Insonnia e senso di nausea, mi dicono, sono normali. Quel che conta però è lo spirito che rimane determinato».
Perché rifiuta il cibo?
«I magistrati di Germania e Belgio hanno già stabilito che nel nostro referendum o nella dichiarazione di indipendenza non ci fu violenza. Eppure 9 politici sono in carcerazione preventiva da 14 mesi per ribellione e sedizione, roba da assalto alla Bastiglia con i forconi. Capisco che la magistratura spagnola abbia paura di un giudizio europeo, ma non ha diritto di insabbiare i nostri ricorsi. Li bocci, così potremo ricorrere al Tribunale dei Diritti dell’Uomo. Proprio quel che Madrid non vuole».
Non mangia per riuscire a farsi sentire.
«Per smuovere le coscienze, sì. Per avere un’intervista come questa».
Ha pensato se è disposto a lasciarsi morire?
«Non sono Bobby Sands anche se da adolescente catalanista quell’eroe irlandese mi aveva emozionato. Il modello per me resta la non violenza di Gandhi. Non una vita deve andare sprecata in questo cammino, neanche la mia».
Il prezzo che sta pagando è altissimo. Davvero ne vale la pena? La Spagna è una democrazia, Barcellona è ricca, cosa avreste di più con l’indipendenza?
«Il catalanismo è un’aspirazione vecchia di secoli, ma non è solo una questione di identità nazionale, lingua e cultura. C’è l’idea di poter fare le cose meglio, in una repubblica invece che in una monarchia, con un rapporto cittadini-istituzioni più moderno, rispettoso».
Considerato che solo il 50% dei catalani vota secessionista, si aspettava che Madrid dicesse «prego, portatevi via il 20% del Pil»?
«Ho il diritto di opinione e di espressione? Allora li uso per pensare che indipendente è bello. E per dirlo. Poi se la maggioranza è d’accordo con me, qualcosa succederà. L’80% dei catalani vorrebbe un referendum, magari per votare “no”, ma lo vuole. Madrid invece mi nega la libertà provvisoria per il rischio di “reiterazione del reato”. Cioè: avere un’opinione, pur senza violare alcuna legge, è un crimine. La verità è che siamo prigionieri politici in Europa e nessuno vuole sentirselo dire».
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Il 20% conquistato dall’estrema destra di Vox in Andalusia è una reazione alla vostra sfida?
«Nella transizione dal franchismo alla democrazia molte cose sono rimaste irrisolte, ma ora, in ogni angolo d’Europa, non solo in Spagna il mostro si è risvegliato. Colpa della crisi economica, della globalizzazione, non solo nel nostro conflitto territoriale».
Si pente di non essere in esilio come l’ex President Puigdemont?
«No, ho deciso io di restare. Ero responsabile politico della polizia, i loro comandanti sono imputati, come avrei potuto?».
Come si esce dal conflitto?
«In modo civile. La Scozia ha avuto la possibilità di un referendum legale d’indipendenza. Il Quebec pure. Perché non la Catalogna?».
20 dicembre 2018
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https://www.corriere.it/esteri/18_dicembre_20/sciopero-famegalera-secessionenoi-14-mesinel-limbo-madrid-954cabfc-0445-11e9-99fb-7abecb367628.shtml

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