Jordi Sánchez. LaVanguardia 17.09.2018
Presidente del Gruppo Parlamentare di “Junts per Catalunya”
Ex Presidente dell’Assemblea Nacional Catalana
Il Tribunale Supremo ci ha appena negato di nuovo la libertà. Da ieri sono 11 mesi, 335 giorni, che dormo dietro le sbarre. Tutti loro sanno che non c’è alcun reato. Il Codice Penale spagnolo ha depenalizzato sia la celebrazione di un referendum che la secessione pacifica di una parte del territorio. Il primo con il governo di Zapatero, nell’anno 2005, ed il secondo con il presidente González ed il ministro Belloch nell’anno 1995. E sono in centinaia i professori e magistrati in tutto lo Stato che hanno già affermato che in nessun caso esiste l’ipotesi di violenza che la ribellione richiede. E malgrado tutto, la prigione persiste.
Pochi giorni fa il ministro Borrell si è unito a quelle voci che cercano di comprendere le decisioni prese. Ha dichiarato che preferirebbe la nostra libertà ma afferma di comprendere i motivi dei magistrati del Supremo. La questione è, Sig. Borrell, che non è vero che io sia rinchiuso in carcere perché il presidente Puigdemont si trovi a Waterloo.
In un giorno come ieri di 11 mesi fa è stata disposta la carcerazione preventiva nei miei confronti quando ancora nessuno era partito per l’esilio, né alcun membro del governo era stato chiamato a dichiarare. Comprendo perfettamente che cerchi motivi per giustificare la nostra reclusione. Le cose difficili da spiegare devono essere giustificate ripetutamente, lo sappiamo tutti. Ciò nonostante, le cose ingiustificabili non potranno mai essere spiegate.
Nella logica di un uomo democratico non è facile trovare delle ragioni davanti a tale sproposito. E nemmeno nella coerenza del diritto penale. Lei è un gran professionista della politica ed è rinomato per le sue molte risorse che le permettono di cavarsela durante gli scontri dialettici. Ma davanti ad uno scandalo di tale portata, anche i più brillanti oratori si trovano in impaccio.
Comprendo che abbia difficoltà nel giustificare la prigione, ma le chiedo modestamente di non mentire. Non deve più dire che siamo in prigione per colpa di quelli che si trovano in Belgio, Scozia o Svizzera. Perché lei sa che ciò non corrisponde alla verità. I fatti cronologici smentiscono quest’affermazione, e dalla prospettiva dell’applicazione del diritto penale Lei dovrebbe sapere che la privazione della libertà non può essere applicata contro una persona per il presunto comportamento di terzi.
Tutti quelli che siamo in carcere, assolutamente tutti, ci presentammo volontariamente quando ci chiamarono. La maggior parte di noi due volte, come Cuixart ed io stesso, che siamo comparsi davanti al giudice il 6 ottobre e di nuovo dieci giorni dopo, il 16 ottobre, rispondendo sempre alle ordinanze del giudice Lamela. E lo stesso Jordi Turull, Carme Forcadell, Raül Romeva, Dolors Bassa e Josep Rull, che si presentarono la prima settimana di novembre e successivamente il 23 marzo. E sono convinto che anche Oriol Junqueras e Joaquim Forn avrebbero fatto esattamente lo stesso che avevano fatto il 2 novembre (presentarsi volontariamente) se avessero avuto la possibilità di uscire in libertà e fossero stati nuovamente citati a dichiarare.
Mi sono presentato. E così farei anche il giorno del processo se prima fossi lasciato in libertà. Non ho paura. La prigione non mi piace e mi addolora soprattutto per la mia famiglia. Però difenderò, ovunque serva, i diritti e le libertà calpestati. E quando toccherà lo farò in tribunale. Se rimango in carcere mi porterà la Guardia Civil. Se fossi in libertà ci andrei di mia volontà.
La mia libertà ha un valore infinito per me, ma la difesa della libertà d’espressione e del diritto a manifestare pacificamente ha un infinito valore per milioni di persone, non solo della Catalogna ma di tutta la Spagna. Così come ce l’ha, e lo difenderò, il diritto a votare liberamente per potere decidere collettivamente il futuro politico del paese.
Sono in prigione da 11 mesi per avere osato criticare e protestare contro un’azione giudiziaria. Per aver esercitato il diritto di manifestare e di libertà d’espressione. Sempre pacificamente. Manifestazioni, come nell’ultima Diada (giornata nazionale della Catalogna), tanto civiche quanto massicce. Per questo sono in prigione. Perché non possono incarcerare 2.000.000 di cittadini. Perché non ci sono carceri a sufficienza per così tanta democrazia malgrado il desiderio di alcuni giudici di farci tacere tutti definitivamente. Lo scandalo di questo processo giudiziario finirà per divorarli. Lei che può, Signor Ministro, aiuti a mettere “seny” (1). Lei che è un uomo di cultura, non dimentichi che permettere che la gente voti, si esprima e manifesti pacificamente è l’essenza della democrazia.
traduzione Esther Sagrera – AncItalia
(1) N.d.T. Espressione catalana, el seny (una sola parola traducibile in “buon senso/giudizio/sensatezza/raziocinio” che unisce tutte queste accezioni) significa la ponderazione mentale, o sana capacità mentale che ci predispone ad una giusta percezione, valutazione, comprensione ed azione.
https://www.lavanguardia.com/politica/20180917/451843327832/opinion-jordi-sanchez-seny-ministro.html?
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