Vilaweb. Cat Vicent Partal – 19.07.2018 22:00
Dopo la decisione del Tribunale di Slesvig-Holstein, il giudice Llarena e il Tribunale Supremo spagnolo dovevano scegliere tra accettare la consegna del presidente Puigdemont soltanto per un reato di malversazione –consegna che apriva la porta alla presidenza della Generalitat– oppure fare una figuraccia. E hanno scelto la figuraccia, dando priorità ancora una volta al fare politica invece di impartire giustizia.
Perché il giudice Pablo Llarena non ha ritirato soltanto l’euro-ordine di estradizione contro il presidente, che sarebbe la conseguenza logica della decisione tedesca, ma le ha ritirare tutte. TUTTE. E ha rinunciato anche a quella cosa tanto chisciottesca di portare il caso al Tribunale dell’Unione Europea. La lettura evidente di tutto questo è che il giudice Llarena ammette di trovarsi isolato come lo fu la Spagna di Franco e che non otterrà alcuna comprensione per la terribile finzione giuridica creata nè in Germania, nè in Scozia, nè in Belgio, nè in Svizzera. In nessun luogo. Per questo motivo ha scelto, di fatto, una ritirata. La ritirata entro i confini del proprio stato, sognando l’autarchia, là dove la giustizia è una pura entelechia senza base legale, per poterla manipolare a propria convenienza. Là dove tutto è permesso, sempre che sia al servizio del potere.
Ma il risultato dell’espedizione giudiziaria di Llarena non può essere più disastroso per la Spagna: in forma empirica tutti hanno constatato che è excentrica e che si è collocata fuori dall’Unione Europea. E se osano andare avanti con il giudizio (dei prigionieri politici), ciò sarà ancora più evidente. Per la Spagna, è stata una sconfitta in tutta regola. Meritata, per aver posto nelle mani di un piromane –e di un ignorante su come funziona il mondo, visti i fatti– la gestione della crisi politica più grande che ha vissuto lo stato da decenni. Mettere il processo politico catalano in una pendenza ferroviaria, allontanandolo dal dibattito politico per metterlo in un binario giudiziario, poteva portare soltanto al punto dove ora ci troviamo, con un treno impazzito che corre giù a valle senza che il macchinista sappia cosa fare per prevenire la catastrofe che si avvicina. Avevamo avvisato di questo in molti.
In queste condizioni, nel prossimo autunno, osare portare ai tribunali la presidentessa del Parlament Carme Forcadell, il vice-presidente della Generalitat Oriol Junqueras, i consiglieri del governo e i leader dei movimenti popolari ANC e Omnium (i Jordis), come se non ci trovassimo nello spazio europeo e come se la Spagna fosse completamente fuori dall’Unione e dalle norme giuridiche internazionali, è un passo azzardato in avanti che non può finire bene per loro. Pedro Sánchez, se fosse il dirigente che non è, dovrebbe chiudere definitivamente questo spettacolo deplorevole iniziato da Mariano Rajoy, lasciare in libertà i prigionieri e ricondurre la situazione. In queste condizioni, il processo giuridico non ha senso: il ritiro degli euro-ordini con lo stesso giudice istruttore riconoscendo che non c’è reato. Purtroppo, ieri abbiamo già capito che non possiamo aspettarci niente da Sanchez, nemmeno regalandogli i voti.
Tra pochi giorni, dunque, Carles Puigdemont tornerà a Waterloo e darà impulso al Consiglio della Repubblica catalana. La storiografia spagnola, per dei motivi che non ho mai capito, preferisce disegnare Waterloo come la sconffitta di Napoleone, invece di presentarla come la vittoria di Wellington, quello che fu veramente. Oggi non posso non ricordare –e chiedo scusa ai lettori– due dettagli collegati con questa battaglia che penso siano interessanti.
Il primo è quello di constatare che Wellington vinse quando ebbe il supporto dei prussiani –già allora. E il secondo è la trascrizione di un frammento del racconto che l’ammirevole autore di “Della guerra”, Claus von Clausewitz, fece del comportamento di Napoleone in battaglia, nella quale egli stesso vi partecipò come giovane colonnello delle truppe prussiane.
Dice Von Clausewitz: ‘Bonaparte e i suoi seguaci vogliono sempre dimostrare che il motivo delle loro sconfitte è legato soltanto alla fortuna. Vogliono far credere ai suoi che loro hanno una sapienza infinita e una energia straordinaria che gli permette di avanzare con grande fiducia verso la vittoria, ma succede che quando questa vittoria è vicina, appare sempre qualche incidente, o la cattiva sorte, che distrugge tutto. Nè lui nè i suoi seguaci non possono e non vogliono ammettere mai che gli errori monumentali, il lavoro mal fatto e soprattutto l’ambizione smisurata che sottovaluta sempre la realtà, sono la causa vera dei loro fallimenti.’
Era il 18 giugno del 1815 ma non mi negherete che, particolarmente oggi, queste parole suonano molto vicine e attuali.
traduzione Àngels Fita-AncItalia
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