Scritto da Oriol Junqueras – 14 Maggio 2018 – Categoria: Il presente e noi
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L’autore di questo articolo è Oriol Junqueras, leader del partito catalano Esquerra Republicana de Catalunya. Era vicepresidente del governo regionale catalano nel momento in cui, in seguito al referendum del 1 ottobre 2017 e della proclamazione dell’indipendenza, è stato arrestato e rinchiuso in un carcere di Madrid. Da sei mesi vi è detenuto (insieme ad altri ministri del disciolto governo) con l’accusa di ribellione-sedizione contro lo stato, in attesa di un processo. Si tratta dunque di una prigionia preventiva, che ha escluso i principali leader dei diversi partiti indipendentisti dalla campagna per le elezioni politiche volute dal primo ministro spagnolo Mariano Rajoy nel dicembre scorso. Le elezioni hanno egualmente attribuito la maggioranza assoluta dei seggi allo schieramento indipendentista.
Le accuse contro Junqueras e gli altri ministri imprigionati sono state ritenute infondate da vari paesi europei, fra cui recentemente la Germania, che si è rifiutata di estradare per lo stesso reato il presidente Carles Puigdemont in esilio; esperti di diritti umani dell’ONU hanno manifestato preoccupazione, mentre Amnesty International e altre organizzazioni internazionali attente ai diritti civili parlano apertamente di prigionieri politici.
La questione catalana costituisce una delle più inquietanti rimozioni politiche dell’Europa di questi anni, e rivela la fragilità del sistema politico europeo, la inattendibilità dei mezzi di informazione, il disinteresse di politici e di intellettuali. Si leggono sui giornali italiani, in particolare, notizie parziali e scorrette ricopiate dai grandi quotidiani spagnoli, allineati sulla verità dettata dal governo di Madrid e dal presidente Rajoy (dure critiche alla radiotelevisione pubblica spagnola si possono leggere negli ultimi report dell’International Press Institute).
In Italia viene spesso evocata l’analogia con l’indipendentismo leghista, diverso da ogni punto di vista. L’indipendentismo catalano si nutre di una solida cultura democratica che affonda le radici nella guerra civile antifranchista (e basterebbe ricordare Omaggio alla Catalogna di George Orwell); è antimonarchico e repubblicano; è, soprattutto, cosmopolita ed europeista. Contesta i residui postfranchisti della società politica e giuridica spagnola, che esibiscono una scarsa separazione fra i poteri. Crede in una scuola multilingue e multiculturale.
L’intervento che segue è stato pubblicato nel 2014, e oggi Junqueras lo ha tradotto in italiano. Non vi si parla della situazione politica in corso, né della propria prigionia. Vi si allineano alcune citazioni più o meno celebri che evocano il tema della libertà di pensiero e del rapporto fra ricerca intellettuale e potere, facendo centro sulla figura emblematica di Socrate e sul suo rispetto delle leggi. Non può sfuggire la natura allegorica che questa riflessione assume in questo momento; né il significato politico e culturale di questo gesto. È come se questo politico e intellettuale chiedesse ai politici e agli intellettuali italiani di assumere la responsabilità di ciò che sta avvenendo a pochi chilometri, in territori amici presso i quali tanto spesso andiamo per scambi culturali o in vacanza. Come se chiedesse di sapere e di pronunciarci.
(Pietro Cataldi)
Ecco un link di video raccolti da Wikileaks che testimoniano la violenza poliziesca contro i votanti al referendum del 1° ottobre 2017: https://spanishpolice.github.io/
Come diceva R.W. Emerson, la prima delle virtù eroiche consiste nel dire la verità, perché “la sincerità è l’unica forma di parlare e di scrivere che non smette mai di essere attuale”. Inoltre, “il genio consiste nel dimostrare che quello che è vero per noi, nel nostro pensiero e nel nostro cuore, è anche vero per tutti gli umani”. E benché Kant affermi che “nel profondo delle tenebre, l’immaginazione lavori più attivamente che in piena luce”, bisogna ricordare che – come diceva Voltaire – “è pericoloso avere ragione quando il governo ha torto”. Infatti, il potere percepisce, troppo spesso, la libertà di opinione e di pensiero come una minaccia. Tanto che perfino la democrazia ateniese finì per assassinare la libertà della coscienza daimonica di Socrate.
Nella primavera dell’anno 399 a. C., Socrate fu accusato di empietà con l’argomento che spesso faceva appello a una “divinità interiore” (daimon), che guidava i suoi pensieri, opinioni, azioni e omissioni. Socrate era convinto che esista una “norma” universale, eterna e immutabile, di ciò che è buono e giusto. Una norma così assoluta che tutta la natura è orientata alla sua comprensione. E, per questa ragione, ci chiede lo sforzo di esaminare tutto e tutti. Anche noi stessi, perché “una vita senza esame non merita di essere vissuta”. Il vero compito della nostra vita, dunque, consiste nel tentare di capire tutto, sottoponendo a prova la nostra verità – sempre parziale e provvisoria – mediante un dialogo costante, dove è più importante saper fare le domande piuttosto che esporre le proprie convinzioni. Una modestia – qualche volta ironica – che viene sintetizzata dall’aforisma “so soltanto di non sapere”.
Un invito al dialogo, imprescindibile nella costruzione del sapere, sempre così bisognoso di sforzo intellettuale e di tolleranza emotiva. In questo senso, la migliore lezione ce la fornisce una frase di Evelyn Beatrice Hall, attribuita erroneamente a Voltaire: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”. E il poeta canadese William Henry diceva: “Chi non vuole ragionare è un fanatico, chi non sa ragionare è un folle e chi non si arrischia a ragionare è uno schiavo”.
Il fatto che Socrate mettesse in dubbio sistematicamente la realtà, però, fu interpretato dai suoi concittadini come una beffa. In realtà, egli non pretendeva di fare nessun gioco di parole sofistico. Al contrario. Spesso criticava i sofisti per la mancanza di contenuto etico dei loro insegnamenti. Paradossalmente, però, un’assemblea di cittadini ateniesi considerò che la solida coscienza etica del daimon socratico era un ricorso retorico di un filosofo abile nell’uso della parola. E, pertanto, fu condannato.
Senza dubbio, questa è una lezione che non bisognerebbe dimenticare. E non deve meravigliare che questo sia anche lo spirito che pervade John Stuart Mill e Voltaire, quando affermano, rispettivamente, che “il genio può respirare solo in un’atmosfera di libertà” e che “la storia si può scrivere bene solo in un paese libero”. Socrate avrebbe potuto scegliere l’esilio, però – volendo dare testimonianza fino alla fine dell’integrità del suo comportamento – affrontò coloro che lo condannavano, raccomandando che venisse concesso loro un vitalizio come benefattori della società. Infuriati per quest’ultima ironia, furono ancora di più i membri della giuria che lo condannarono a morte, rispetto a quelli che, poco prima, lo avevano giudicato colpevole. E, dopo aver parlato eloquentemente dell’anima – quando il sole si stagliava all’orizzonte –, Socrate bevve la cicuta.
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TESTO ORIGINALE:
Llibertat del consciència
Segons Emerson, la primera de les heroïcitats consisteix a dir la veritat. Doncs, la “sinceritat és l’única forma de parlar i escriure que mai passarà de moda”. A més, “el geni radica en acreditar que allò que és veritable per a nosaltres, en el nostre pensament i en el fons del nostre cor, també és cert per a tots els humans”. I, malgrat que Kant afirmi que “enmig de les tenebres la imaginació treballa més activament que a plena llum”, el cert és que –tal com assenyala Voltaire– “és perillós tenir raó, quan el govern està equivocat”. I, de fet, massa sovint, el poder percep la llibertat d’opinió –àdhuc de pensament– com una amenaça. Tant és així que fins i tot les democràcies poden assassinar la llibertat de la nostra consciència daimònica.
Així, la primavera de l’any 399 aC., Sòcrates va ser acusat d’impietat amb l’excusa que sovint apel•lava a una “divinitat interior” (daimon), que guiava els seus pensaments, opinions, accions i omissions. Curiosament, el concepte daimon adquireix una connotació moralment negativa (com encarnació del mal), quan –en l’intent d’imposar el seu monoteisme– els cristians consideren aquesta figura com un déu alternatiu a l’únic Déu possible. De tal manera que aquella bondadosa veu interior esdevé l’expressió d’un dimoni malvat. En realitat, però, Sòcrates està convençut que existeix una norma universal, eterna i immutable d’allò que és bo i correcte. Una norma tan absoluta que tota la natura està orientada a la seva comprensió. I, per tant, ens exigeix l’esforç d’examinar-ho tot i a tothom. Fins i tot a nosaltres mateixos. “Una vida sense examen no mereix ser viscuda”. La veritable missió de la nostra existència, doncs, consisteix a entendre-ho tot, confrontant la nostra veritat –sempre parcial i provisional–, mitjançant un diàleg constant, en què és més important saber preguntar que no pas exposar les nostres conviccions. Una modèstia –de vegades irònica– que es condensa en el famós aforisme “només sé que no sé res”.
Una invitació al diàleg, imprescindible en la construcció del coneixement, tan necessitat d’esforç intel•lectual com de tolerància emocional. Tal vegada, en aquest sentit, la millor lliçó ens la dóna una frase d’Evelyn Beatrice Hall, atribuïda erròniament a Voltaire: “Estic absolutament en desacord amb el que dius, però donaria la meva vida per a què ho puguis dir”. I el poeta canadenc William Henry també és força contundent en exposar el ventall de causes que poden explicar l’absència d’un diàleg intel·ligent: “El qui no vol raonar és un fanàtic, el qui no sap raonar és un boig i el qui no s’atreveix a raonar és un esclau”.
El fet que Sòcrates qüestionés sistemàticament la realitat, però, va ser interpretat pels seus conciutadans com una burla. En realitat, ell no pretenia pas fer cap mena de joc de paraules sofístic. Ans al contrari. Sovint criticava els sofistes per la manca de contingut ètic de llurs ensenyaments. Paradoxalment, però, una assemblea de ciutadans atenencs va considerar que la sòlida consciència ètica del daimon socràtic només era un recurs retòric d’un filòsof hàbil en l’ús de la paraula. I, per tant, va ser condemnat.
Sens dubte, aquesta és una lliçó que caldria no oblidar. I no és estrany que aquest sigui l’esperit que transpira arreu de l’epidermis de John Stuart Mill i de Voltaire, quan afirmen respectivament que “el geni tan sols pot respirar en una atmosfera de llibertat” i que “la història només es pot escriure bé en un país lliure”.
Sòcrates hauria pogut escollir l’exili, però –volent donar testimoni fins al final de la integritat del seu comportament– es va encarar a aquells que el condemnaven, recomanant-los que li concedissin una pensió vitalícia com a benefactor de la societat. Enfurismats per aquesta darrera ironia, van ser molts més els membres del jurat que el van condemnar a mort, que no pas els que –poc abans– l’havien considerat culpable. I, després de parlar eloqüentment de l’ànima –mentre el Sol es ponia a l’horitzó–, Sòcrates va beure la cicuta.
https://www.nuvol.com/opinio/llibertat-de-consciencia/
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